A luglio se ne dovrà rendere conto, per aver rimandato il licenziamento di migliaia di docenti e a settembre quando una cattedra su due sarà vuota. Allora dovrà rispondere al Paese e ai cittadini sul perché non ha voluto risolvere un problema semplice: consentire l'immissione in ruolo o confermarlo a chi ha un titolo ‘strumentale’ per insegnare da anni nelle nostre scuole. Nel frattempo, qualche novità potrebbe arrivare dalla Cassazione o dal Consiglio d'Europa
Commentando la sentenza dei giorni scorsi dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, il Ministro dell’Istruzione ha accostato quell’esito alla lungimiranza delle decisioni prese dal Governo. Cosa risponderà Bussetti, però, a settembre, quando non potranno più essere nominati 45 mila insegnanti dalle graduatorie ad esaurimento e si dovrà ricorrere alle chiamate dei presidi dalla seconda fascia delle graduatorie d'istituto in base alle dieci scuole selezionate da ciascun candidato fortuitamente con il risultato scontato di cattedre scoperte e senza titolare? Già, perché il concorso riservato pensato dal Governo coprirà soltanto un posto su cinque che ogni anno serve per garantire la continuità didattica senza parlare delle 7 mila maestre assunte con riserva che hanno superato l'anno di prova e dovranno vincere il nuovo concorso per essere confermate. In verità, spiega Pacifico, il Miur prima si è costituito contro queste maestre, poi ha deciso di lavarsene le mani come Ponzio Pilato continuando però a chiamarle come supplenti per soddisfare al suo fabbisogno organico. Se i cittadini giudicheranno le scelte politiche dell'attuale maggioranza, quelli che pagheranno saranno comunque i nostri bambini che dal prossimo anno non avranno un insegnante a settembre. Nel frattempo, continuano i ricorsi in tribunale con l'udienza della Cassazione prevista per il prossimo 12 marzo, e la decisione sul reclamo collettivo presentato da Anief al Consiglio d’Europa.
In molti speravano in un ripensamento del Consiglio di Stato sul giudizio espresso in Adunanza plenaria contro il giudicato formatosi sulla validità del diploma magistrale quale titolo di accesso per le graduatorie ad esaurimento, ma non certo l'attuale Ministro dell’Istruzione, per il quale “la decisione del Consiglio di Stato sui diplomati magistrali conferma la bontà e la lungimiranza delle decisioni prese dal Governo e dalla maggioranza con il Decreto Legge Dignità a tutela di questi lavoratori”.
Il Ministro Bussetti ha aggiunto che “grazie alle norme varate questa estate, il personale è stato messo nelle condizioni di partecipare a un concorso semplificato che consentirà agli interessati di accedere all’immissione in ruolo. I magistrati amministrativi hanno fatto ulteriormente chiarezza su una vicenda molto delicata e complessa, su cui il Governo, insieme ai gruppi parlamentari di Lega e Movimento 5 Stelle, si è mosso nei modi e nei tempi giusti per salvaguardare la continuità didattica e il destino di migliaia di docenti”.
Con queste dichiarazioni, il Ministro si assume la piena responsabilità politica del disastro che colpirà la nostra scuola il prossimo 1° settembre, quando soltanto una cattedra su cinque sarà coperta dal nuovo concorso e del licenziamento di massa di 50 mila insegnanti contro cui Anief non smetterà di ricorrere in tribunale.
Anche Orizzonte Scuola ricorda come non sia tutto così semplice come il Miur vuole far pensare: “per poter procedere alle assunzioni da graduatorie del concorso straordinario indetto con DDG n. 1456 del 7 novembre 2018, le graduatorie regionali devono essere pronte entro il 30 luglio, e devono essere esaurite o non più in corso di validità le graduatorie del concorso 2016”.
Anief ribadisce, tuttavia, che quella dei concorsi, ordinari o straordinari, non può essere la soluzione al problema di oltre 6 mila docenti con diploma magistrale già immessi in ruolo e altri 45 mila espulsi dalle GaE. Il punto, infatti, è un altro, ovvero che le Graduatorie ad Esaurimento non possono essere negate a questi docenti: starvi dentro, per i tutti i diplomati magistrale, è un diritto. Punto.
E poi, visto che le espressioni dei giudici vanno intese come oro colato, perché dal Miur non sono state espresse le stesse considerazioni di rispetto e di estensione pratica quando sempre il Consiglio di Stato ha prodotto sette sentenze passate in giudicato di tenore opposto? E perché da Viale Trastevere non ha proferito verbo, ammettendo quindi i propri errori, quando sempre il massimo consesso della giustizia amministrativa, con sentenza 1973/2015, ha avuto da eccepire sul D.M. 235/2014 che regolava l’aggiornamento sempre delle GaE?
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, si parla a sproposito. L’amministrazione scolastica, così facendo, sbaglia due volte: prima perché li ha abbandonati ed ora perché si fa forte di una decisione più che discutibile, fingendo pure di avere offerto loro la strada per rimanere in cattedra”.
“I diplomati magistrale – continua il leader del sindacato autonomo – sanno bene che quella messa a disposizione dal Miur è una ciambella di salvataggio per pochi, per molti persino umiliante dopo esser stati giudicati dai collegi docenti come idonei all'insegnamento. Mentre, chi si è diplomato nel 2002 ora si vede pure mettere in dubbio la natura sacrosanta di quel titolo di studio: se, infatti, c’è un punto fermo, questo si collocava proprio nel diploma abilitante dei diplomati magistrale. Un punto su cui, per anni e sino a due giorni fa, non aveva espresso incertezze lo stesso Consiglio di Stato, poiché i dipendenti sono tuti uguali, un’amministrazione centrale super partes avrebbe quindi dovuto accogliere l’ultima sentenza rassicurando i dipendenti con dei fatti. E non inviare a loro, a chi ha intrapreso una battaglia di giustizia, le solite promesse senza futuro”.
“Noi, comunque, non ci arrendiamo e attendiamo a questo punto l'udienza della Cassazione prevista per il prossimo 12 marzo e la decisione del Consiglio d’Europa, che a breve dovrà esprimersi sul reclamo collettivo presentato dal nostro sindacato sull’uso sistematico del precariato pur in presenza di chiare direttive dell’UE che ne condannano la pratica, oltre i 36 mesi, in presenza – conclude Pacifico – di posti vacanti e disponibili”.
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