Il sindacato ha analizzato nel dettaglio il documento “Proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”: nel suo complesso il paragrafo 4.2 “Dalla Ricerca all’impresa” della Proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza costituisce certamente una proposta articolata per lo sviluppo della Ricerca italiana. Anief: “Un rilancio della Ricerca in Italia può compiutamente attuarsi solo mettendo a sistema tutti i possibili contributi e valorizzando tutte le risorse, a partire da quelle esistenti”
Anief ha analizzato nel dettaglio il documento “Proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”: nel suo complesso il paragrafo 4.2 “Dalla Ricerca all’impresa” della Proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza costituisce certamente una proposta articolata per lo sviluppo della Ricerca italiana-
I cinque obiettivi proposti - accrescere la spesa pubblica e privata in ricerca e innovazione; rafforzare le iniziative IPCEI; potenziare i meccanismi di trasferimento tecnologico; sostenere l’innovazione, favorire una più stretta interazione tra imprese e mondo della ricerca - evidenziano in particolare la necessità di intervenire con forza su alcuni ritardi e inefficienze del nostro Paese.
Nondimeno, nelle misure proposte non emerge con chiarezza il ruolo e il contributo degli Enti Pubblici di Ricerca nel Piano Nazionale. Tale elemento rappresenta un punto di debolezza, segnatamente nell’ipotesi di una sostanziale marginalizzazione o quantomeno una scarsa considerazione di fatto delle competenze, delle professionalità e delle attività già presenti nelle Istituzioni Pubbliche. Ciò costituirebbe un grave errore strategico, da evitare assolutamente. A nostro parere, un rilancio della Ricerca in Italia può compiutamente attuarsi solo mettendo a sistema tutti i possibili contributi e valorizzando tutte le risorse, a partire da quelle esistenti.
Diversamente, evidenziamo il rischio concreto di fenomeni di potenziale dicotomia e separazione tra Istituzioni pubbliche e private, peraltro in netto contrasto con gli stessi intenti programmatici del Piano. Vanno certamente evitati gli errori del recente passato, con misure di sostegno “a pioggia” verso il mondo dell’impresa, spesso attuate con scarsi controlli e verifiche. Ovvero, va attentamente valutata l’ipotesi di creazione di nuovi soggetti (come ad esempio le Fondazioni), spesso inefficienti e motivo di crescita improduttiva della spesa pubblica. Tali esperienze si sono rivelate di scarsa efficacia ed efficienza, con investimenti che complessivamente hanno inciso poco o per nulla in termini di innovazione e crescita.
È necessario quindi prevedere un equilibrio tra pubblico e privato, capace di ottimizzare al massimo il volume di risorse finanziare a disposizione, soprattutto prendendo spunto dall’esperienza vissuta nell’ultimo ventennio e drammaticamente da quanto sta avvenendo oggi con la epidemia Covid-19.
Nel dettaglio, nel “Rafforzamento di Ricerca e Sviluppo e delle iniziative IPCEI” riteniamo che gli Enti Pubblici di Ricerca debbano assumere un ruolo nel quadro delle grandi infrastrutture di ricerca, nei partenariati, nella costituzione dei poli per l'innovazione e la ricerca e lo sviluppo degli IPCEI e nei progetti di ricerca di giovani ricercatori. Questa impostazione appare necessaria per dare attuazione programmatica e concreta alla creazione di partnership tra pubblico e privato. In questa ottica, le risorse per l’edilizia e le infrastrutture di ricerca, in particolare nel Mezzogiorno, dovranno essere destinate anche al potenziamento e alla modernizzazione delle Istituzioni Pubbliche di Ricerca, prevedendo inoltre ulteriori meccanismi di semplificazione ed agevolazione della spesa.
Considerazioni analoghe possono essere effettuate in merito alla seconda linea di azione “Trasferimento di tecnologia e sostegno all'innovazione”. Anche in questo ambito gli Enti Pubblici di Ricerca possono offrire un contributo significativo alla crescita della competitività e dei flussi internazionali delle competenze, così come va previsto il loro inserimento strutturale nel quadro degli “ecosistemi dell’innovazione”, dei “sistemi territoriali” di R&S e delle “reti nazionali”. In particolare, andrebbero valorizzate e rafforzate le esperienze già avviate nel passato a livello territoriale tra istituzioni di ricerca pubbliche e privato, limitate molto spesso da scarsi livelli di investimento, burocrazia e normative spesso inadeguate.
Va rilevato che l’accrescimento del numero dei ricercatori in Italia richiede investimenti in progetti e nel personale di ricerca. Ad oggi, lo squilibrio tra domanda ed offerta nel comparto R&S deriva a nostro parere dalle scarse opportunità di lavoro per i giovani, dal livello basso dei salari, dalle scarse opportunità di crescita professionale e dal fenomeno annoso della precarietà. Queste sono brevemente le ragioni alla base dell’emigrazione dei ricercatori verso l’estero, processo che nel tempo ha determinato un indebolimento del sistema ricerca italiano e nei fatti la perdita di ingenti risorse, economiche ed umane, in favore di altri Paesi. Questi sono gli ambiti su cui agire se si vuole realmente sostenere “l’incentivo all’investimento delle famiglie nell’istruzione e nella formazione”.
In questa ottica, nel documento Piano Nazionale di ripresa e resilienza le “Riforme componente” vanno integrate con previsioni normative in materia di:
- contrasto ai fenomeni del precariato. In particolare, le previsioni ex art. 20 del DL 75/17 vanno rese strutturali e programmate, in maniera tale da evitare la permanenza e l’accrescimento ciclico della precarietà nella Ricerca. Tale misura appare urgente alla luce di quanto avvenuto nel passato nel Settore e dei contenuti del stesso Piano Nazionale, con l’obiettivo di evitare che le nuove misure abbiano l’effetto negativo di creare ulteriori e profonde e strutturali sacche di precariato, nel pubblico come nel privato;
- predisposizione di un nuovo programma pluriennale di assunzioni. Dopo anni di tagli e di blocco di turn over, stiamo assistendo ad una progressiva riduzione ed invecchiamento del personale impegnato negli Enti Pubblici di Ricerca. Per contrastare questa tendenza, in linea con quanto previsto dal Piano Nazionale è necessario agire per accrescere il numero di addetti della Ricerca Pubblica, rafforzando in tale maniera tali Istituzioni e creando concrete opportunità di lavoro per i più giovani;
- valorizzazione del personale e crescita professionale. Da oltre 10 anni gli interventi normativi in materia di pubblico impiego e spending review hanno determinato un sostanziale blocco delle dinamiche di carriere negli Enti Pubblici di Ricerca, con la grande maggioranza del personale fermo di fatto ai livelli di inquadramento acquisito al momento dell’assunzione. In questa ottica, vanno sostanzialmente modificate le norme del DLGS 165/01 in materia di valorizzazione del personale e data piena attuazione alla riforma del DLGS 218/16, con particolare riferimento agli artt. 7 e 9;
- creazione di una Governance unitaria degli Enti Pubblici di Ricerca. Va in sostanza superata l’attuale separazione di fatto tra Enti Pubblici di Ricerca, trovando soluzione adeguate in materia di vigilanza e coordinamento, aumentando la partecipazione diretta di tutto il personale di ricerca alla governance degli Enti;
- organizzazione innovativa, flessibile e differenziata del lavoro nelle diverse articolazioni degli Enti Pubblici di Ricerca, muovendo dalla recente esperienza dello smart working;
- semplificazione normativa della mobilità del personale all’interno dei diversi Enti Pubblici di Ricerca e tra gli Enti Pubblici di Ricerca e le Università. Vanno assolutamente superate le rigidità e le vischiosità delle norme attualmente in vigore che di fatto impediscono il trasferimento di conoscenze e competenze.