Dal Report sui servizi sociali territoriali 2008-2018 emerge un quadro sconfortante: solo lo 0,7% del PIL, ossia un terzo rispetto alla media europea, viene infatti destinato al welfare locale, un decimo rispetto alle risorse spese per il sistema sanitario, un trentesimo rispetto al sistema pensionistico. Permangono gravi squilibri territoriali tra le diverse aree del paese soprattutto per Sud e Isole; Italia ancora lontana dai parametri europei per l’offerta di asili nido e servizi integrativi
È un quadro sconfortante quello che emerge dal Report ISTAT sui servizi sociali territoriali 2008-2018. Come già emerso
dall’ultima Relazione 2020 del CNEL al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi offerti dalle Pubbliche Amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini nello scorso marzo, l’Italia si pone ben al di sotto dei livelli medi europei per risorse finanziarie allocate: solo lo 0,7% del PIL, ossia un terzo rispetto alla media europea, un decimo rispetto alle risorse spese per il sistema sanitario, un trentesimo rispetto al sistema pensionistico. A ciò si aggiunga la distribuzione disomogenea dei servizi e ampi divari fra i territori che potrebbero portare a forti difficoltà in fase di recupero post pandemia. Il sistema dei servizi sociali è posto a fondamento di due missioni delle sei che compongono il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e precisamente: "M5 Coesione e Inclusione" e "M6 Salute" ma la lettura del report, che trova origine nelle elaborazioni dei dati pubblicati da ISTAT per il decennio 2008-2018, pone forti interrogativi circa lo stato della spesa per i servizi sociali territoriali in Italia.
Di fatto, i servizi sociali sono garantiti dai comuni e programmati a livello regionale, in un contesto nel quale la programmazione nazionale, accompagnata dalla definizione di indirizzi e linee guida, dovrebbe incentrarsi, ma finora lo ha fatto solo in misura alquanto limitata, sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi sociali. A differenze del sistema previdenziale e di quello sanitario, il sistema dei servizi sociali stenta ad affermarsi come elemento costitutivo del sistema di welfare.
Dalla lettura del report si evince che i servizi sociali vengono finanziati principalmente attraverso le risorse proprie dei comuni (57,1% nel 2018), oltre che da fondi nazionali e regionali e dalla compartecipazione degli utenti e del Sistema Sanitario Nazionale. Nel 2018 la spesa sociale al netto delle compartecipazioni è stata di 7,4 miliardi di euro (lo 0,42% del PIL, valore identico a quello del 2008), mentre al lordo delle compartecipazioni è stata di circa 10 miliardi di euro, lo 0,7% del PIL contro il 2,1-2,2 della media UE, ovvero un terzo della spesa media dei paesi UE per i servizi sociali territoriali e meno di un decimo rispetto al sistema sanitario e di un trentesimo del sistema previdenziale.
Altro dato che balza agli occhi è la sostanziale immobilità della spesa pubblica nel corso del decennio considerato che rimane uguale a quella del 2008. Se dal 2003 al 2010 si ha avuto un progressivo aumento della spesa sociale, dal 2011 si è assistito a una progressiva contrazione a causa della crisi economica che ha comportato una riduzione delle risorse comunali per l’imposizione dei vincoli di spesa del Patto di Stabilità Interno e dei tagli ai fondi statali. A partire poi dal 2015, la spesa sociale a carico dei comuni è tornata a crescere, invertendo l’arretramento registrato negli anni di azzeramento dei fondi nazionali di sostegno a questo settore. L’incremento del 2018 rispetto al 2017 è stato pari al 3,1%, tuttavia, il confronto della spesa reale mostra come il valore del 2018 sia quasi coincidente con quello del decennio precedente (-0,5%), mentre la riduzione di spesa conseguente la crisi economica mostra una diminuzione più marcata di quanto restituito dall’analisi della spesa assoluta.
Per non tacere del grave squilibrio territoriale che permane tra le diverse aree del paese desumibile dai dati sulla spesa pro capite che dimostra come, in mancanza di livelli essenziali garantiti sull’intero territorio nazionale, le differenze territoriali siano elevatissime, con punte di eccellenza, ma anche con intere regioni nelle quali il servizio è quasi assente: dai 22 euro pro capite della Calabria ai 540 euro della Provincia Autonoma di Bolzano. La spesa sociale dei comuni del Sud Italia è molto più bassa che nel resto del Paese: 58 euro annui pro capite, ovvero meno della metà del resto del Paese e circa un terzo di quella del Nord-Est (177 euro). Le Isole, toccano i 122 euro pro capite, il Nord-Ovest si attesta a 133 euro, il Centro a 137 euro. Confrontando i valori del 2018 rispetto al 2008 si osserva una generale tendenza all’aumento della spesa pro capite, con l’incremento più marcato (+27,3 euro) nelle Isole e con le variazioni più significative nelle regioni a statuto speciale. Nonostante si delinei un trend di crescita, rimangono immutate, però, le profonde differenze in termini di capacità di spesa che confermano la stabilità del divario territoriale tra aree del Paese. Confrontando la distanza della spesa pro capite con il valore mediano della distribuzione del 2008 e del 2018 emerge ancor più chiaramente come le regioni del Paese che mostravano valori inferiori alla mediana nel 2008 siano le stesse anche nel 2018, ovvero tendenzialmente le regioni del Sud Italia, mentre le variazioni più significative siano rilevabili principalmente nelle regioni a statuto speciale del Nord.
Non va meglio per gli asili nido e i servizi integrativi: scendono a 197.025 (-9,1% rispetto al 2008) nel 2018 i bambini fruitori di strutture comunali o convenzionate mentre nell’anno educativo 2018/2019 sono stati autorizzati al funzionamento un totale di 355.829 posti (-1,2% rispetto all’anno 2013/2014), il 51,6% dei posti all’interno di strutture a titolarità dei comuni ed il restante in strutture a titolarità privata.
Nel 2018 la spesa assoluta per i servizi socio-educativi per la prima infanzia sostenuta dai comuni singoli o associati, al netto della compartecipazione degli utenti, è stata 1 miliardo e 208 milioni di euro (-3,1% rispetto al 2008). Il Lazio risulta la regione con la spesa assoluta più elevata (243,5 milioni) mentre fanalino di coda si confermano le regioni del Centro, Sud e Isole: Molise (2 milioni), Basilicata (3,4 milioni), Calabria (5,7 milioni), Abruzzo (13 milioni) e Sardegna (17,4 milioni).
Sebbene la percentuale di copertura dei posti rispetto ai bambini residenti fino a 2 anni compiuti sia passata dal 22,5% del 2013 al 25,5% del 2018 l’offerta si conferma sotto il parametro del 33% fissato dall’UE per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e se guardiamo alle aree geografiche, mentre sia il Nord-Est che il Centro Italia si attestano appena sopra il target europeo (rispettivamente 33,6% e 33,3%), il Nord-Ovest è ancora sotto, ma non lontano dall’obiettivo (29,9%), Sud (13,3%) Isole (13,8%) se ne distaccano decisamente confermando, ancora una volta, la forte disparità territoriale a danno della parte meno sviluppata del paese.
Osservando l’andamento nel tempo dell’assorbimento di risorse per aree di utenza emerge come le famiglie con minori e la disabilità si confermino i due target prevalenti di intervento; gli interventi per famiglie e minori risultino essere i più sostanziosi (38% della spesa); l’attenzione per i disabili è aumentata in modo costante: dal 2003 al 2018 la spesa per questo tipo di utenza è quasi raddoppiata, arrivando ad assorbire il 27% della spesa sociale (+6%).
La spesa sociale dei Comuni nell’area disabili, nel 2018, è aumentata del 6,9% rispetto al 2017.
Si tratta dell’incremento maggiore fra tutte le aree di utenza. Rispetto al 2003, primo anno in cui l’Istat ha raccolto i dati sulla spesa dei Comuni per interventi e servizi sociali, le risorse destinate alle persone disabili sono quasi raddoppiate: da un miliardo e 22 milioni di euro nel 2003 a 2 miliardi e 5 milioni di euro nel 2018. Nello stesso periodo la spesa annua pro-capite per persona disabile residente è passata da 1.478 a 3.212iv euro ed è aumentato il peso di questa tipologia di beneficiari sulla spesa sociale totale dei Comuni: dal 19,7% al 26,8%. Tale crescita è riconducibile principalmente all’introduzione del Fondo nazionale per la non autosufficienza, istituito con l'intento di fornire sostegno a persone con gravissima disabilità e ad anziani non autosufficienti (Legge 27 dicembre 2006, n. 296). Le risorse sono finalizzate alla copertura dei costi di rilevanza sociale dell'assistenza socio-sanitaria e si aggiungono a quelle già destinate da Regioni e autonomie locali a prestazioni e servizi a favore di persone non autosufficienti. Il Fondo sembra aver garantito una maggiore tutela alle persone con disabilità rispetto ad altri segmenti vulnerabili della popolazione. Dal punto di vista territoriale le risorse impiegate per i servizi di supporto ai disabili continuano a essere disomogenee e con differenziali di crescita. Il Nord-est in particolare è l’area d’Italia con l’aumento più sostenuto nel 2018 (+10,7%), seguono il Centro (+7,9%), il Nord-ovest (+7,6%) e le Isole (+3,5%); la spesa è rimasta stabile al Sud, in linea col precedente anno. In termini pro-capite i valori oscillano tra i 5.509 euro del Nord-est e i 1.017 del Sud. La spesa per la protezione sociale riferita alla disabilità, che include le pensioni di invalidità civile e altri interventi statali in denaro, rapportata al totale dei residenti, è inferiore in Italia rispetto alla media europea (426 per abitante contro 566 euro Ue). La differenza è ancora più evidente rispetto alla Francia (676) o alla Germania (898). Il divario più marcato riguarda la quota non monetaria, riferita a servizi per le persone con disabilità, di cui i servizi sociali dei Comuni rappresentano una componente importante.
Nei servizi per i disabili prevale soprattutto assistenza educativa e lavorativa.
La metà della spesa dei Comuni per i disabili (50,7%) è destinata a interventi e servizi, in particolare quelli educativo-assistenziali e per l'inserimento lavorativo, i quali da soli assorbono il 25,6% della spesa totale. Nello specifico tali interventi sono mirati a favorire il processo di integrazione nelle strutture educative e scolastiche attraverso figure di supporto disponibili presso le scuole, a domicilio o in strutture territoriali. L’inserimento lavorativo comprende l’attivazione di tirocini formativi, borse lavoro, bonus all'assunzione. La seconda voce di spesa per l’area disabili, che assorbe il 27%, è rappresentata dai trasferimenti in denaro e il 22,3% dalla gestione di strutture (centri diurni e strutture residenziali). I Centri diurni, ovvero centri sociali di tipo aperto, che svolgono attività di sostegno, socializzazione e recupero per persone con disabilità hanno un’importante funzione di supporto e svolgono inoltre un ruolo di conciliazione degli impegni lavorativi e di cura per i familiari delle persone prese in carico. Nel 2018 sono circa 27.400 i beneficiari dei centri diurni a titolarità comunale e oltre 16.500 sono le persone che, sulla base della propria situazione economica, ricevono integrazioni alle rette da parte dei Comuni per strutture convenzionate, per un importo complessivo di circa 312 milioni di euro. Cresce il ruolo dei servizi di assistenza domiciliare e degli assegni di cura (il 13,4% della spesa totale per i disabili, per una platea di beneficiari pari a 82.824 utenti). L’assistenza domiciliare è fra gli interventi principali del Piano per le non autosufficienze ed è determinante per favorire una dignitosa permanenza dei beneficiari presso il proprio domicilio, evitando così il rischio di istituzionalizzazione. La spesa per l’assistenza domiciliare ai disabili è cresciuta da 131 milioni di euro del 2004 a 299 milioni nel 2018, con un incremento del 128% in 14 anni. In particolare la spesa per l’assistenza domiciliare socio-assistenziale ammonta a 162 milioni di euro, con una media annua per utente di 3.677 euro a livello nazionale ma con ampi divari regionali che vedono in testa il Lazio (7.560 euro per disabile) e fanalino di coda la Calabria (1.621 euro).