“Intervento di G.Polizzi sulle classi di concorso-”
░ Una presa di posizione in seno alla Società Filosofica Italiana sulle prospettive che si creano per le classi di concorso a036 e a037, in seguito alla ipotesi di unificazione. Il prof. Polizzi è membro della Commissione didattica della SFI.
Per quanto si possa desumere dalle prime notizie relative all’unificazione delle classi di concorso A036 e A037, comunicate tempestivamente nel sito SFI, mi pare si debba riconoscere l’impegno ministeriale ad avviare a soluzione un vecchio problema salvaguardando i diritti acquisiti e valorizzando le competenze specifiche di insegnamento. Si dovrà percorrere ancora molta strada, perché sarà necessario unificare il percorso dei TFA e avviare una laurea magistrale che consenta l’abilitazione alla nuova classe A-17. Nella fase di transizione possono esserci alcuni problemi nel passaggio da una classe all’altra, ma parrebbe scelta di buon senso far sì che i titolari dell’insegnamento nella A036 siano inseriti di diritto nella nuova classe di concorso, e viceversa. Nei casi dei “perdenti posto”, l’inserimento nella sottoclasse sarà garantito dall’abilitazione nella diversa classe (e sono numerosi i docenti della A036 abilitati nella A037, e viceversa) o dal possesso nel loro curricolo universitario degli insegnamenti indicati dallo schema ministeriale. …. Per i nuovi ruoli il problema va visto diversamente: i TFA attuali sono ancora separati e valgono quindi i curricoli posseduti, ma anche in questo caso si possono pensare accorgimenti per produrre l’unificazione nel percorso abilitante (aggiungere alcuni insegnamenti per coloro che non posseggono le discipline richieste dai rispettivi curricoli). E si spera che i prossimi TFA siano unitari e conducano infine a un’abilitazione unica. … Ritengo che la SFI debba tutelare l’insegnamento della filosofia, in tutte le sue articolazioni, ma proprio per questo non può non riconoscere che nel caso della A037 tale insegnamento è strettamente connesso con quello della storia, e che ciò ha un valore sia pedagogico che didattico. Il guaio più grave delle riconversioni disciplinari dei primi anni Novanta fu proprio quello di aprire l’insegnamento nella A037 a docenti che possedevano scarsissime o punte competenze filosofiche e nessuna formazione storica….
La tecnica della scuola.it – 19 luglio 2012
“Tagli pure a Usp e Usr, i dipendenti in stato di agitazione. A rischio l’avvio del del nuovo anno ?”
░ Dopo anni di mancato turn over, arriva lo spauracchio dell’attuazione del titolo V della Costituzione: gli uffici periferici diventerebbero di troppo. Mettendo a repentaglio il destino professionale di migliaia di impiegati e dirigenti. Che ora fanno ostruzionismo rallentando le operazioni (di Alessandro Giuliani).
Le riduzioni di personale e il dimensionamento non risparmiano nemmeno gli Uffici scolastici periferici: da alcuni anni la quantità di impiegati e dirigenti incaricati di condurre quelli che per una vita si sono chiamati “Provveditorati agli studi”, ma anche gli Uffici scolastici regionali, si è infatti drasticamente ridotta. Il problema, quasi sempre, è derivato dal mancato turn over: per anni coloro che sono andati in pensione non sono stati infatti rimpiazzati con personale nuovo. Il Governo Monti starebbe però ora provvedendo a realizzare un progetto ancora più radicale: in vista dell’attuazione del titolo V della Costituzione, con le regioni e le provincie autonome sta definendo un accordo in base al quale entro un anno (anche meno, il 30 giugno 2013) si procederà al trasferimento alle Regioni di tutto ciò che riguarda l'istruzione. Con la conseguenza di mettere a repentaglio il mantenimento degli uffici scolastici periferici. I quali se dovessero venire meno, aggraverebbero ulteriormente la posizione dei dipendenti di Usp e Usr. In tal caso migliaia di questi lavoratori si ritroverebbero minacciati dalla mobilità forzata, che potrebbe trasformarsi in intercompartimentale (se non in cassa integrazione e licenziamento) laddove non vi fossero altri sedi ministeriali o scolastiche in grado di accoglierli. La situazione ha raggiunto un livello tale di disagio che i sindacati sono stati costretti a proclamare prima lo stato di agitazione (ha iniziato Milano, poi altri) e poi a rifiutarsi di svolgere il servizio oltre il loro lavoro ordinario. Rifiutando qualsiasi eventuali richieste da parte dell’amministrazione di fermarsi a svolgere attività di straordinario. Anche per impellenti esigenze di servizio. E poiché ciò avviene nel periodo professionale dell’anno più “caldo”, ciò non potrà che comportare conseguenze per le tante operazioni che questi uffici sarebbero chiamati a svolgere nei prossimi giorni e settimane: questa situazione non potrà non ripercuotersi su piante organiche, operazioni di utilizzazioni e assegnazioni provvisorie, rinnovo e gestione delle graduatorie ad esaurimento ed eventuali operazioni sulle assunzioni del personale precario. Oltre che nell’applicazione della spending review: quindi per la gestione, tanto per fare un esempio, dei soprannumerari e degli inidonei. Ciò comporterà, se non verrà trovata una soluzione, degli inevitabili slittamenti sulle date previste dal Miur in vista del regolare avvio del prossimo anno scolastico.
l’Unità – 20 luglio 2012
“Dalla spending review nuovi tagli alla scuola”
░ Francesca Puglisi - responsabile scuola PD – sottolinea che il governo non sta mantenendo le promesse fatte: il ministro Giarda aveva dichiarato che la Scuola era stato il comparto che ha dato di più per il risanamento nell’ultimo triennio e, quindi, il Governo non vi avrebbe messo mano.
Nel provvedimento in discussione al Senato, troviamo una nuova sottrazione di 15.000 contratti a termine ai danni dei precari della scuola e soprattutto l’inedita affermazione di un principio assai grave che non può passare inosservato. I 10.000 insegnanti di ruolo che hanno perso il posto a causa dei tagli del duo Tremonti Gemini, potranno andare ad insegnare qualsiasi materia in qualsiasi ordine di scuola, purché abbiano un titolo di studio valido, a prescindere dalla classe di concorso per cui sono abilitati. …. Il risultato sarà che il docente precario, in possesso della corretta specializzazione, perderà il lavoro, e al suo posto ci sarà un insegnante che di quella materia potrebbe non saperne molto. È come affermare che d’ora in poi medici ortopedici potranno operare al cuore, tanto sono laureati in medicina! Perché nella scuola pubblica italiana, tutto è permesso? Perché la si ritiene un posto così residuale da poter commettere uno scempio come questo? Quale «riconoscimento del merito» intende promuovere un Ministro con un provvedimento simile? E soprattutto come si farà a non arrossire di vergogna quando invocheremo la necessità di alzare la qualità della scuola e i livelli di apprendimento degli studenti, per renderli almeno raffrontabili al resto d’Europa? … Non c’è professione più bistrattata di quella dell'insegnante. Perché? Non è forse nella scarsa considerazione di cui gode la scuola pubblica -a cui la Costituzione, considerandola la più alta istituzione democratica del Paese, affida il «compito» di tradurre in realtà l’art. 3, che ci rende liberi, uguali e capaci di prender parte alla vita politica, economica e sociale non è lì, la plastica rappresentazione dell’orlo del baratro in cui rischia di sprofondare l’Italia intera? … Noi proponiamo che quelle risorse professionali in esubero dopo i tagli del Governo della destra, siano utilizzate per rendere effettivo l'organico funzionale delle scuole, previsto dal «decreto semplificazioni»…. Un altro comma della spending review interviene sui 3.565 insegnanti inidonei per malattia. Spesso si tratta di persone con sofferenze psichiatriche o che seguono trattamenti chemioterapici e che oggi continuano a dare il proprio contributo di lavoro tenendo vive le biblioteche scolastiche. Per loro la spending review prevede il collocamento nelle segreterie scolastiche e il cosiddetto «risparmio» per lo Stato consisterà nella cancellazione dei contratti degli Ata precari… Solo investendo nella scuola, potremo assicurare a noi e ai nostri figli, la speranza di un futuro migliore.
www.repubblica.it – 22 luglio 2012
“Il posto fisso è un miraggio. Bankitalia: "Buste paga al palo"
░ Secondo la relazione annuale di Palazzo Koch, le retribuzioni medie reali nette, dal 2000 al 2010, sono aumentate solo di 29 euro, passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). La riduzione in termini reali, negli ultimi quattro anni, è stata di 50 euro (-3,3%). Addio al posto fisso.
In Italia il posto fisso è sempre più un miraggio, ormai meno di due assunzioni su dieci sono a tempo indeterminato. E' quanto emerge dall'Indagine Excelsior di Unioncamere e Ministero del Lavoro sul terzo trimestre del 2012. Nel periodo luglio-settembre le assunzioni stabili previste sono appena il 19,8% su un totale di quasi 159 mila. Le cattive notizie poi non finiscono qui. Secondo la relazione annuale di Bankitalia, le busta paga dei dipendenti sono al palo. Le retribuzioni medie reali nette, dal 2000 al 2010, sono infatti aumentate solo di 29 euro, passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). Risultati su cui pesano, ovviamente, la crisi economica e gli interventi che hanno toccato in particolare gli statali. Dipendenti pubblici che per il momento, tuttavia, sembrano aver evitato il pericolo di un taglio delle tredicesime. Dai dati emerge inoltre che il gap tra centro-nord e sud-isole non arresta la sua corsa: l'incremento è stato del 2,5% contro lo 0,7%. In termini reali al centro-nord si è passati da 1.466 euro del 2000 a 1.503 euro del 2010, con un aumento di 64 euro; mentre nel mezzogiorno le retribuzioni passano da 1.267 euro a 1.276 euro, con una crescita di soli 9 euro. Rispetto alla media nazionale le retribuzioni si attestano a un +4% per i lavoratori del centro-nord e -10,1% per quelli di sud e isole, mentre 10 anni dopo di arriva a +4,4% e -11,3%....
TuttoscuolaNews n.547 – 23 luglio 2012
“Ugolini: Rapporto Invalsi importante perché permette di conoscere se stessi”
░ Le dichiarazioni del sottosegretario all'Istruzione Elena Ugolini a commento del Rapporto Invalsi 2012.
Il Rapporto – ha spiegato il sottosegretario - nasce dalle competenze e dal grande ingegno dei tecnici dell'Istituto, ma anche dal lavoro di migliaia di docenti e di tutte le persone coinvolte nella realizzazione dei test. Senza di loro non avremmo avuto in tempi così brevi dei risultati che danno un quadro affidabile sulla situazione della scuola italiana, affidabile grazie alla garanzia degli osservatori che hanno vigilato in occasione dello svolgimento dei test…. Circa le attività future dell’Invalsi invece ha parlato il commissario straordinario dell’Istituto, Paolo Sestito. L’Invalsi, ha detto, è al lavoro per introdurre una rilevazione dell'apprendimento degli studenti anche nel quinto anno delle superiori, già a partire da giugno 2013. "Se poi il test sarà inserito nella prova di maturità – ha aggiunto Sestito- non spetta a noi deciderlo, ma penso che si debba procedere con cautela…”.
La tecnica della scuola – 23 luglio 2012
“"Perle di saggezza" nella CM sugli organici”
░ Si va dagli improbabili risparmi per le classi di primaria a 24 ore, fino all'obbligo per le scuole (anche quelle oggetto di dimensionamento) di individuare fin da ora il collaboratore del dirigente scolastico.
La recente circolare sulla definizione degli organici di fatto contiene alcune piccole “perle di saggezza” che segnaliamo ai nostri lettori. Ecco le più interessanti. La CM, riferendosi a quanto previsto dall’articolo 64 della legge 133/08, segnala ai direttore regionali e agli assessori regionali che “il mancato raggiungimento degli obiettivi ha già comportato e comporterà ancora una corrispondente riduzione della quota dei risparmi conseguenti alla riduzione dei posti e destinata ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola“. C’è da chiedersi se viale Trastevere siano al corrente che la contrattazione nazionale è ferma da anni e che misure concrete per lo sviluppo professionale del personale della scuola non si sono viste né se vedono all’orizzonte. E che dire della affermazione secondo cui “una attenta gestione degli spezzoni orari inferiori a sei ore potrà, sicuramente contribuire al raggiungimento dell’obiettivo del contenimento della spese di cui all’art. 64 della legge 133 del 2008” ? Il Miur intende riferirsi al fatto che accorpando spezzoni di modesta entità si creano di fatto ulteriori cattedre destinate ai precari; lasciando gli spezzoni alle scuole i dirigenti devono invece coprire le ore aumentando l’orario dei docenti già in servizio. In realtà la spesa finale è assolutamente identica…. Per non parlare infine, delle “economie derivanti dalla scelta da parte delle famiglie del modello orario di 24 ore settimanali” nella scuola primaria. Ma, a viale Trastevere, conoscono i report dei servizi statistici del Miur stesso secondo cui le classi a 24 ore rappresentano a livello nazionale lo 0,1% del totale (come dire che in tutta Italia sono complessivamente meno di un centinaio) ?
www.lastampa.it – 24 luglio 2012
Province, tagli per 500 milioni “Così le scuole resteranno chiuse”
░ Per l’UPI la “sforbiciata” va rivista: i calcoli sono sbagliati.
Con i tagli che il governo ha previsto nella spending review non siamo nelle condizioni di poter assicurare l’apertura dell’anno scolastico». Così parla Giuseppe Castiglione, presidente dell’Up… L’Upi presenterà una serie di emendamenti - nove per l’esattezza agli articoli 16, 17 e 18 della spending review . Il senso è chiaro: non siamo qui per contestare gli accorpamenti che ribadisce Castiglione - siamo stati noi i primi a volere, ma il taglio delle spese: «Le Province subiranno, un taglio di 500 milioni di euro per il 2012 e di un miliardo di euro per il 2013 perché il Governo considera come consumi intermedi un totale di 3,7 miliardi di euro. In realtà questa cifra include voci di bilancio delle Province che non sono consumi aggredibili, bensì servizi» e questo provvedimento, se non venisse rivisto «porterà le Province al dissesto».
In sostanza il taglio andrebbe ridotto a un terzo di quello preventivato, altrimenti verrebbero a mancare servizi come la manutenzione delle strade, il trasporto pubblico locale, la formazione professionale e - soprattutto la sicurezza delle scuole, proprio alla vigilia dell’apertura dell’anno scolastico….
La tecnica della scuola – 25 luglio 2012
“Silenzi, sorrisetti e allusioni sull’abitudine del copiare”
░ Un sentimento raro, questo che Reginaldo Palermo sottoscrive recensendo il libro “Ragazzi, si copia” (il Mulino, 1911): l’educazione scolastica non è compatibile con la “furbizia” degli alunni che copiano durante le prove di verifica. Parole che vorremmo leggere più spesso.
“Ragazzi, si copia. A lezione di imbroglio nelle scuole italiane” è il titolo di un volume che raccoglie i risultati di un’ampia indagine condotta fra studenti e insegnanti di numerose scuole italiane da una équipe di ricercatori coordinata da Marcello Dei, docente di sociologia presso l’università di Urbino. Gli abbiamo rivolto alcune domande …
D. In tutto il volume lei insiste molto sugli aspetti “etici” del copiare. Ma con quali strumenti concreti la scuola può oggi richiamare gli studenti al “senso del dovere”? R. Nell’ambito del discorso pubblico come nel privato l’argomento copiare a scuola è coperto da una coltre di sottintesi, silenzi, sorrisetti, allusioni. … La scuola dovrebbe prima stabilire e proclamare qual è il dovere in questione, l’obbligo morale e giuridico di correttezza e di onestà da rispettare nelle prove di valutazione, e magari dovrebbe spiegarne agli studenti la ragion d’essere. Ciò non accade invece a nessun livello….
D. Più in generale lei pensa che per contrastare il fenomeno gli studenti debbano essere puniti con severità o piuttosto persuasi a non copiare? R. … Oggi nella scuola l’uso delle punizioni è improbabile considerando i rapporti di forza esistenti tra studenti e genitori da un lato e insegnanti e dirigenti dall’altra…. Sia l’impiego sia il rifiuto di adottare la severità in classe presuppongono entrambi che la regola sia esplicitata, introiettata dagli alunni e ragionata e discussa con loro…
D. La vostra ricerca dimostra che - in linea generale – il fenomeno del copiare è trasversale e distribuito uniformemente o quasi su tutto il territorio nazionale. R. Le tendenze culturali in cui si iscrive il fenomeno del copiare a scuola sono comuni a tutti i Paesi che condividono le condizioni economiche di base di un capitalismo finanziario, burocratizzato e del consumo di massa. … La furbizia, la rete parentale e clientelare, le raccomandazioni e la propensione all’accomodamento sono un retaggio nazionale comune, pur se diversamente dosato nelle diverse aree della Penisola. D. Lei non pensa che un adolescente che copia possa farlo anche per motivi psicologici e cioè, per esempio, per insicurezza o comunque per il timore di “non farcela”? R. Alle ragioni di tal genere potremmo aggiungerne a buon diritto delle altre anche più drammatiche, come ad esempio i c.d. blocchi psicologici, le fobie e le crisi di panico. Se talora accade che copiare il compito o la prova d’esame sia la risposta a un sintomo di disagio e di difficoltà psicologiche, non è certo lasciando copiare l’alunno che si cura la sindrome … Spetta agli educatori, a scuola e a casa, diagnosticare lo stato delle cose e predisporre interventi diretti a risolvere il problema dell’alunno. C’è da aggiungere tuttavia che il fenomeno del copiare si accentua quando il sistema scolastico trabocca di prove, quando la valutazione diventa ossessiva a scapito delle finalità educative della scuola e le stesse mete di tenore cognitivo si contraggono e si impoveriscono per concentrarsi sul “sapere dei test”.
l’Unità – 25 luglio 2012
“Abilitazione per laureati, il disastro dei nuovi test”
░ Il quotidiano riporta un commento di Gino Luzzato, Università di Genova
Dal 2007 i laureati italiani non hanno avuto la possibilità di abilitarsi all’insegnamento nelle scuole secondarie; la scuola universitaria a ciò deputata, la Ssis, è stata infatti soppressa non con la contestuale creazione di un corso diverso, ma in attesa di una futura istituzione di esso. Tale irresponsabile decisione è nella lunga lista delle colpe della ministra Gelmini, avallata da quegli accademici che non accettavano una struttura interdisciplinare finalizzata a costruire la professionalità dell’insegnante in termini complessivi anziché come mero conoscitore di una materia. L’attesa è durata cinque anni, e solo ora si riparte con un corso annuale, a numero chiuso, di Tirocinio Formativo Attivo (Tfa). Alcuni quesiti erano sbagliati (più di una risposta corretta, oppure nessuna); quasi tutti erano squallidamente nozionistici. Ciò che è disastroso è che non si è trattato di un primo ragionevole filtro tra i concorrenti, bensì di una selezione del tutto irrazionale. L’elaborazione dei dati, svolta per le prime 5 classi da Francesco Coniglione sul sito www.roars.it, mostra quanto segue. La percentuale di candidati sufficienti ha come estremi l’81% (lingua araba) e il 3,5% (filosofia e pedagogia), mentre per le altre 3 classi varia tra il 25% e il 36%. Poiché non è credibile che vi siano tali enormi differenze nella qualità della preparazione fornita ai laureati delle diverse discipline, e neppure che meriti la sufficienza solo un quarto dei laureati in matematica (corso considerato severo), e solo uno su 29 in filosofia, ciò dimostra che non si è stati capaci di tarare correttamente l’insieme dei quesiti (erano disponibili 3 minuti per quesito). Si verifica poi che nel caso della filosofia solo una Università potrebbe coprire tutti i posti disponibili, mentre per le altre classi, pur essendoci in totale un numero di idonei superiore ai posti, si avrebbero molti posti scoperti in alcune sedi, un numero ancor maggiore di idonei esclusi in altre. Occorre che, anche in sede politica, si rifletta sulla situazione qui descritta e si propongano, per il futuro, adeguati correttivi. Proprio perché vogliamo docenti qualificati dobbiamo pretendere che i meccanismi di selezione siano credibili; altrimenti di dà spazio a chi vuole le chiamate dirette degli amici da parte delle scuole, o simili. In via immediata, è comunque indispensabile che il Miur adotti una norma che consenta agli idonei, in eccesso presso una sede, di optare per una ove vi è la disponibilità di posti scoperti.
CORRIERE DELLA SERA – 25 luglio 2012
“I test impossibili per aspiranti prof”
░ Per i ventimila posti disponibili si sono presentati in 176 mila; solo il 3% passa quelli di filosofia. Il ministero ammette «criticità».
«A036». È una classe di concorso per il tirocinio di abilitazione all'insegnamento. È un brutto guaio che ora impegna il ministero dell'Istruzione. È un incubo per chi quell'esame lo aspettava da anni…
È un caso il quiz per prof di filosofia. Lo hanno affrontato il 9 luglio quattromila laureati in più atenei, ma lo hanno passato in 141. In otto università, da Milano a Trento, nessuno ha superato la prova di ammissione al tirocinio Tfa. «Domande assurde, ingannevoli, anche sbagliate», dicono i candidati che in Rete documentano gli strafalcioni e sono pronti ai ricorsi. E ad ammettere che qualcosa non è andato per il verso giusto è anche il ministero che parla di «dati non fisiologici» a proposito delle bocciature record. E annuncia che «giovedì si riunirà un gruppo di lavoro per valutare le criticità». Intanto in Rete fioccano le segnalazioni, e gli svarioni non sono soltanto nel quiz di filosofia. Gli esaminatori sbagliano domande in arabo, ma anche il titolo di un'opera di Dino Buzzati, scivolano sulla grammatica francese e fra tanti filosofi vanno a scovare Amafinio….
CORRIERE DELLA SERA – 25 luglio 2012
“Ecco perché ci rinuncio L'Italia non è più un Paese per insegnanti”
░ di Silvia Avallone. E non sapremmo che cosa aggiungere.
In quarta elementare, quando le maestre proposero alla classe d'interpretare l'ennesima fiaba di Andersen per la recita di fine anno, un gruppetto di scolarette dissidenti di cui facevo orgogliosamente parte alzò la mano in segno di protesta. Era il 1993. Le nostre insegnanti sgranarono gli occhi. Noi, con l'impertinenza tipica dei nove anni, ribattemmo che no, non volevamo saperne di principi e principesse. «Benissimo» risposero loro «organizzatevela voi, la recita "alternativa"». Credo sia stata la prima sfida della mia vita, il primo vero insegnamento che ho ricevuto (consapevolmente). Nelle ore in cui gli altri bambini provavano le battute ufficiali, noi scrivevamo il testo del nostro spettacolo underground. Optammo per la satira e, senza esitazioni, decidemmo di prendere di mira loro: le autorità, quelle che volevano darci — letteralmente — una «bella lezione». Tre imitazioni caricaturali (che, ripensandoci oggi, erano un dolcissimo e struggente riconoscimento della loro autorevolezza) provate e riprovate a casa e durante la ricreazione. Il risultato, alla fine, fu un successo e le prime a chiedere il bis furono proprio loro: i nostri (amatissimi) bersagli. Il mestiere d'insegnare, come si fa a farlo stare dentro una definizione? Perché la prima cosa che fa, un insegnante, è imprimere una direzione, una matrice, alla tua vita. Nel '93 le nostre maestre ci hanno dato fiducia, ci hanno rese responsabili. Hanno accettato di essere messe in discussione per dare a noi l'opportunità di crescere. Naturale, dopo un'esperienza così, sognare un giorno di eguagliarle. Il punto non è tanto la materia che insegni. Non è il complemento oggetto, ma il verbo. Diventare il segugio che scova in ciascun ragazzino quel talento potenziale, a volte inaspettato, che è nascosto in tutti. La guida che porta i suoi studenti a immaginare quante possibilità abbiano in futuro. La scuola è stata questo per me: imparare sul campo il significato e il perimetro della parola libertà. Ci tengo a cominciare così, con passione, perché è la passione che ti muove verso un mestiere del genere. Ciascuno di noi ha una madre, uno zio, una nonna che ha cresciuto intere generazioni e a cui magari, a distanza di anni, gli ex allievi telefonano ancora. La bambina riconoscente che sono stata premeva per raccogliere il testimone, per contribuire a migliorare la società nel modo più incisivo: in mezzo a una fila di banchi disposti a ferro di cavallo. A questo io ho rinunciato. Ho visto la scuola pubblica smantellata pezzo per pezzo, la ricerca agonizzare, l'università annichilirsi anno dopo anno. E, in parallelo, questo Paese perdere grinta, ambizione, ridursi a una cartolina del passato, in cui la cultura viene messa da parte in favore di non si sa bene quale scorciatoia, quale vicolo cieco. Ho cominciato a registrare la frequenza di certe massime come: «La laurea non serve a niente». A una scuola pubblica peggiore può corrispondere solo un Paese peggiore. Di insegnanti come quelli che ho avuto — fiduciosi, realizzati — in giro ormai ne vedo ben pochi. Un giorno sì e uno no incontro un ragazzo della mia età che scuote la testa avvilito e ripete sempre la stessa frase: «Sono in graduatoria, sto aspettando». Incontro anche cinquantenni che stanno aspettando. Conosco pressoché solo supplenti. La parola «graduatoria a esaurimento» ricorre con lo stesso alone sinistro del castello di Kafka. Ci sei, sei lì, proprio a un tiro di schioppo, eppure non ci sei mai. Non c'è verso di raggiungere quello che oggi, nel nostro Paese, è diventato uno dei mestieri più ardui. Non basta la laurea. Non bastava neppure la famigerata Ssis, scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario, che hanno allestito e dismesso nel giro di un decennio. Ostaggi del tempo e dei punti, dei master online a pagamento che devi collezionare per scalare una o due posizioni. Sfruttati, ricattati, in balia di un ingranaggio perverso che ti richiede esami su esami, tasse su tasse, precarietà su precarietà. Ho chiesto a un'amica (trentacinque anni, un dottorato, due figli) quando prevedeva, all'incirca, di entrare di ruolo. Mi ha risposto voltando gli occhi al cielo: «Mai». Per il 2011/2012 hanno istituito un nuovo ponte per il castello kafkiano: il Tfa, tirocinio formativo attivo, che impegna per un anno a pieno ritmo e costa la bellezza di 2.500 euro. Dopodiché: chi lo sa? Chi ha la forza di non lasciarsi scoraggiare dalle montagne di burocrazia, dai tempi biblici, dall'incertezza che ottiene in cambio, lungo la strada ha lasciato un vagone d'entusiasmo a disperdersi nel niente. Quattro supplenze l'anno in tre scuole diverse. Che senso ha? Non fai neppure in tempo a conoscerli, i tuoi studenti. Non ci sarà nessun percorso insieme, nessuna crescita. Ho visto troppi aspiranti professori con i volti segnati dalla disillusione mollare tutto all'ultimo momento perché «così, a questo prezzo, non ne vale la pena». Non sei nessuno. Non hai più nemmeno un centesimo di quell'autorevolezza che avevano i tuoi insegnanti dieci, vent'anni fa. Sei in graduatoria, sei un supplente. Uno che supplisce a un vuoto pazzesco. C'è la dignità di mezzo. C'è un senso di frustrazione che ti attanaglia ogni mattina, ed è quello che ti leggono in faccia gli studenti le saltuarie volte in cui puoi varcare la soglia della classe. Dovresti trasmettere loro energia, fiducia, curiosità, e tu sei il primo a non averne (più). Se conosco anche storie a lieto fine? Certo, ma sono eccezioni. Il 4 giugno scorso, il giorno in cui scadeva il bando d'iscrizione all'esame per il Tfa, i miei amici e io, tutti aspiranti professori ai tempi del liceo, ci siamo ritrovati intorno a un tavolo e ci siamo guardati in faccia. Tu ti sei iscritto? Io no, e tu? Neppure io. Troppo tardi, troppe poche certezze per un azzardo simile. Follia pura, pensare di raggiungere una cattedra. E dire che mia madre, a soli vent'anni, dopo aver vinto il concorso di Stato era già di ruolo. Cos'è successo nel giro di un paio di generazioni alla scuola pubblica? Non basta una vita per insegnare, non bastano quarant'anni di servizio per arrivare a saperlo fare davvero (me lo ripeteva sempre il mio prof d'italiano). E con un tempo determinato che non va dal lunedì al sabato, che ci fai? Come puoi dire ai tuoi studenti che il futuro si costruisce qui? Che i sacrifici ripagano sempre, se non riesci più a risultare persuasivo? Continuo a credere che la scuola sia la sola opportunità uguale per tutti di diventare cittadini liberi e intraprendenti. Ma lo è solo a patto che lo siano anche gli insegnanti: liberi di diventarlo. Anziché arrivare come me, a portarsi dietro un rimpianto. Quello di non poter essere io la maestra che, di fronte a uno stuolo sfrontato di ragazzine, dice: «Va bene, inventate la vostra recita alternativa, provate a camminare con le vostre gambe. Io sono qui per questo».
CORRIERE DELLA SERA – 26 luglio 2012
“Ecco perché non voglio rinunciare a fare il prof”
░ Al precedente artico replica Paolo Di Paolo, giovane scrittore romano.
I test di ammissione al Tirocinio formativo attivo — la nuova trafila prevista per l'abilitazione all'insegnamento — hanno chiamato a raccolta migliaia di laureati. Laureati freschi, laureati da un po', dottori di ricerca: un vero esercito di giovani in cerca di un porto sicuro dietro una cattedra scolastica. Un sogno? Forse in passato. L'aria con cui molti hanno affrontato i Tfa era piuttosto da ultima spiaggia. Ieri mattina, alla prova per l'insegnamento delle materie letterarie nelle scuole medie e superiori, ho incrociato facce di compagni d'università persi di vista — ed erano un po' più rassegnate, un po' più stanche. Ma sì, proviamo anche questa: «I miei mi hanno detto di tentare, sono più in ansia di me». Ho rivisto dottorandi che parevano lanciatissimi sulla via accademica, musicisti di sicuro talento (nel frattempo, forse, usciti dal gruppo), fumettisti bohémien, e naturalmente parecchi aspiranti scrittori. Ma anche istruttori di nuoto, commessi a tempo, malinconici supplenti di scuole private. Alla domanda su chi ha scritto Oceano Mare avranno risposto bene? I commissari un po' stizzosi, leggendo le istruzioni a inizio prova, pareva che dicessero: avete scelto la strada creativa, avete passato i pomeriggi a parlare di David Lynch da studentelli del Dams? Bravi, ben vi sta. Adesso mettete da parte i vostri astratti furori e diteci: quali sono i confini dello Zambia? La capitale dell'Uganda? Sembrano le domande di Zincone a fine intervista. Caro vecchio nozionismo difeso da padri e nonni! Una volta sì che si studiavano la storia e la geografia! E adesso eccoci qua, a spremere le meningi su questo campo minato di risposte multiple, dove chi vince non guadagna ma paga. 2.500 euro per un anno di tirocinio. Ah, e la marca da bollo da 14,62 euro! Per non contare la quota di iscrizione di 120 euro e l'eventuale spesa per i subdoli libroni di preparazione, tra i 30 e i 78 euro. C'è un istante — quando, con lo sguardo perso nel vuoto, cerchi di ricordare l'anno della morte di Caio Gracco — in cui quella domanda arriva. Non fa parte dei test, ma è più insidiosa. È quella che Silvia Avallone ha schivato (Corriere di ieri): «Che ci faccio qui?». Ti sembra di esserti costretto a un angosciante viaggio dentro la tua stessa ignoranza. Fai il conto degli anni di studio — quasi venti — e ti viene il dubbio di aver sbagliato qualcosa. Possibile che attribuisci a Cecco Angiolieri un verso di Petrarca? Il primo, o l'unico vero sconfitto della battaglia di Teutoburgo ti ritrovi a essere tu. Non so se per essere in futuro un buon professore (meglio: per essere formato a fare il professore) debba essere questo il criterio di selezione. Non dubito che sia difficile trovarne uno indiscutibile. Speravo però che una laurea quinquennale fatta bene potesse quasi bastare. Perché poi si tratta di entrare in classe, guardare negli occhi venticinque adolescenti lontani da te come altri pianeti, e aprire bocca. Di solito, la data del concordato di Worms non è la cosa più urgente. E comunque, dai libri non la toglie nessuno. Ho provato i test per il Tfa per almeno due ragioni. Una ha a che fare con l'ansia, una personale e diffusissima ansia di concretezza, sempre più stringente a quest'età e dentro queste annate burrascose. L'altra è una ragione più fragile ma è anche l'unica da opporre a quella frustrazione e a quel disincanto di cui parlava ieri Avallone. La ragione che ti porta a sperare, o addirittura a credere, che la cosa giusta sarebbe provarci. C'è la crisi? Ci sono le aule che cadono a pezzi? Ci sono i ministri che parlano dei professori come numeretti da macelleria? Non importa. Vorrei provarci. A entrare in classe, una mattina. Senza pensare che sarò più bravo. Senza pensare che mi basterà uno schiocco di dita per fare amare qualcosa a un gruppo di diciottenni in piena ormonale. Ma pensando che sarò bravo almeno quanto chi è riuscito a infilarmi in testa cinque o sei risposte buone per il test di ieri mattina. Come quei professori strepitosi e pieni di difetti, stanchi e appassionati, pignoli; come tutti quelli che incontro girando nelle scuole a parlare dei miei libri. Quelli che mi dicono: non ce la faccio più, sono distrutto, è una guerra, quando arriva la pensione? In realtà vorrebbero che non arrivasse mai. E infatti sbuffano ma si alzano tutte le mattine, arrivano nella loro adorata e cadente scuola, pensano che avrebbero potuto fare un altro mestiere. Più redditizio, più comodo. Ma non sarebbe stato questo mestiere snervante e bellissimo che, solo, può dare la sensazione — la certezza — di aver lasciato, da qualche parte, qualcosa. Nella testa di chi ha preparato i quiz di ieri e di sempre, nella mia che ha provato a risolverli, in quella di chiunque abbia messo piede in una scuola.
www.lastampa.it – 26 luglio 2012
“La carica degli aspiranti precari”
░ Il Tfa è il primo passo per avere un giorno, chissà quando e come, una cattedra. Lo provano in 130 mila.
Cercate di entrare per la porta stretta» dice il Vangelo di Matteo (7,13), e uno pensa a quella del Paradiso. Ma c’è una porta ancora più stretta, ed è quella della scuola, eppure sono in tanti a bussare, pur sapendo che quella porta - a differenza di quella del Paradiso, si spera forse non si aprirà mai. 130 mila italiani, in grande maggioranza non più giovanissimi, quasi sempre delusi e qualche volta anche depressi, stanno rimettendo piede in questi giorni nelle università perché, dopo aver tentato una o più strade professionali, hanno deciso di percorrere quella più tradizionale per i laureati italiani: l’insegnamento….
I Tfa si tengono quest’anno per la prima volta …. I test sono una novità varata quest’anno con tutti i problemi del caso. E le proteste sono venute a cascata: troppo nozionistici, domande trabocchetto, stranezze, come quella che ha già fatto il giro del web e che si riferiva al test per gli aspiranti docenti di filosofia e chiedeva informazioni su Amafinio. Chi era costui? Molti non lo sapevano e su 4 mila aspiranti i promossi sono stati 141. Davanti alle università stazionano folle di ex ragazzi che solo per fare il test hanno pagato una cifra tra i 100 e i 150 euro a seconda della sede, mentre il tirocinio costa tra i 2100 euro di Bergamo e i 3 mila dell’Aquila, in media 2.500….