http://www.scuolaoggi.org – 22 aprile 2013
“Un’altra agenda è possibile”
░ A proposito della relazione, di 50 pagine, presentata il 12 Aprile scorso dai “Saggi” (Bubbico, Giorgetti, Giovannini, Moavero, Pitruzzella e Rossi) al presidente Napolitano. (di Pippo Frisone)
Un’agenda che oggi, con la rielezione del Presidente Napolitano, torna prepotentemente alla ribalta, come possibile base programmatica del prossimo Governo…. C’è anche un capitoletto di appena tre pagine… dedicato alla scuola… Colpisce la forte preoccupazione per l’alta dispersione scolastica. Il 18,2% degli studenti in Italia non arriva alla maturità contro il 13,5% della media europea. L’abbandono colpisce soprattutto gli studenti immigrati (45%), aumentando così la disoccupazione giovanile e l’emarginazione sociale nelle aree a rischio. Per arginare la dispersione scolastica il miglior strumento di contrasto per i saggi è il prolungamento della scuola al pomeriggio, soprattutto nel 1° ciclo. … Viene proposto un modello di prolungamento del tempo scuola che pone al centro la scomposizione del gruppo classe, i piccoli gruppi e percorsi specifici per alunni a rischio. E ancora sperimentazione di metodologie innovative, apprendimenti cooperativi e socializzazione. Si dice no alla riproposizione al pomeriggio delle lezioni frontali, e si agli insegnamenti personalizzati che privilegino la comprensione dei testi, le competenze logico-matematiche e l’applicazione del metodo scientifico. Sembra più una riproposizione di doposcuola o tempo lungo di Gelminiana memoria. Se il problema della dispersione scolastica nella secondaria va contrastato sin dalla scuola dell’obbligo, perché non potenziare gli unici modelli che han dato buoni risultati e cioè il tempo pieno nella primaria e quello prolungato nelle medie? Magari prendendo il meglio di quelle esperienza. Perché non garantire al tempo pieno il raddoppio di organici e restituire le compresenze scippate dalla Gelmini ? I saggi propongono un prolungamento al pomeriggio ma non dicono né quantificano le risorse né a carico di chi. Nelle intenzioni dei saggi anche nella secondaria occorrerà estendere il tempo scuola al pomeriggio per contrastare l’abbandono scolastico…. Finché non s’invertirà la tendenza miope dei tagli alla spesa per l’istruzione che ancora permane, ereditata dal duo Gelmini-Tremonti, la scuola pubblica sarà destinata ad un inesorabile declino e con essa quello del Paese. Un’altra Agenda sulla scuola è comunque possibile ma anche questa volta a riscriverla non saranno né i saggi del Presidente né tantomeno il futuro governo delle larghe intese.
L’Espresso – 22 aprile 2013
“Scuola, non mancano solo i soldi”
░ Nel confronto con gli altri paesi europei, siamo fanalino di coda per i finanziamenti all'istruzione; e per di più manca anche il progetto: tutto sembra affidato alla buona volontà del personale. (di Galatea Vaglio).
Ennesima tabella di confronto con i paesi europei, ennesimo scappellotto: l'Italia (non è una novità, ma una triste conferma) per la cultura e scuola spende poco, pochissimo. Molto meno, per dire, di Stati che hanno un patrimonio artistico ridicolo in confronto al nostro…. E' vero che la scuola arranca. Non è del tutto vero che sia "di bassa qualità"… è di buona e media qualità, talvolta anche alta ed altissima, ma questa qualità è distribuita a casaccio, a macchia di leopardo, proprio perché, non essendoci in realtà finanziamenti certi e investimenti strutturali e strutturati, le scuole si reggono sulla buona volontà del corpo docente che capita in servizio, e quindi se un anno in un istituto ti ritrovi con personale motivato e disposto a fare anche senza finanziamenti, la cosa funziona, se invece l'anno dopo il personale cambia o non è più disposto a lavorare molte ore gratis e solo per la gloria va tutto a catafascio e amen. …. Abbiamo avuto diverse riforme, e Ministri dell'Istruzione che si sono succeduti in governi fra i più vari. Ma quale sia l'idea che sta sotto alla scuola italiana di oggi, l'idea didattica fondante, il progetto non l'ho capito.
scuolaoggi.org – 24 aprile 2013
I “suggerimenti” dei “saggi” sulla scuola. Perché parlarne
░ Il documento oggi può essere letto come base programmatica anche per il governo della scuola per i prossimi due anni. (di Antonio Valentino).
Con la rielezione di Napolitano a Presidente della Repubblica e con un governo le cui caratteristiche appaiono disegnate nel discorso di insediamento (e con i limiti temporali abbastanza facilmente presumibili – e augurabili -), il documento dei saggi può essere letto come possibile base programmatica – come si dice – anche per il governo della scuola per i prossimi due anni (o giù di lì, se le cose marceranno per il verso giusto o che al giusto si avvicinino di più). Non è certo lecito chiedere al documento, per come è nato, quello che non può avere: cioè un respiro che permetta di affrontare i nodi strutturali del nostro sistema scolastico. Le scelte del documento privilegiano piuttosto un profilo che tende a circoscrivere – e di molto – i campi di intervento, puntando su alcuni problemi socialmente rilevanti che caratterizzano negativamente il pianeta scuola. Si citano in primo luogo, al riguardo, due fenomeni certamente allarmanti: l’abbandono precoce della scuola, “assai più diffuso che nel resto d’Europa”, e la riduzione drastica della mobilità sociale (si riportano, al riguardo, i dati sconvolgenti che conosciamo, ma che opportunamente vengono riproposti). Un altro fenomeno su cui – stranamente, per chi vive soprattutto di pane e scuola - si appunta l’attenzione del documento è il “rischio di mortalità” in rapporto ai livelli di istruzione (“tra gli uomini meno istruiti il rischio è dell’80% più elevato rispetto ai più istruiti”, mentre, per le donne, tale rischio è quasi il doppio!). Problema, a ben guardare, indubbiamente rilevante sotto il profilo dei diritti e dell’eguaglianza sociale.
Un ultimo campo problematico considerato è quello delle nuove tecnologie: a proposito delle quali si rileva – non senza ragione - che l’infrastruttura di rete è, attualmente, più “dimensionata per la gestione amministrativa” e meno – si sottolinea - “per la costruzione degli ambienti di apprendimento”. Un aspetto interessante del documento è che, su ciascuna delle questioni considerate, si propongono interventi non sempre nuovissimi, ma comunque sensati e concreti. Sul fronte dell’abbandono scolastico si dice, ad esempio, che “le analisi disponibili indicano come il miglior strumento di contrasto sia il prolungamento della scuola al pomeriggio negli anni del primo ciclo, mentre oggi giorno il tempo pieno alle elementari è diffuso solo in alcune regioni (non a caso, quelle in cui la dispersione è minore) ed è di fatto inesistente nelle scuole medie”. Opportunamente, al riguardo, si richiamano cose –anche qui - non nuove, ma che comunque si è fatto bene a ribadire: e cioè che le attività pomeridiane “non dovrebbero essere però una replica delle lezioni frontali della mattina” e che l’estensione del tempo scolastico consentirebbe interventi innovativi. Come ad esempio, la scomposizione dei gruppi classe e la sperimentazione di metodologie didattiche più efficaci anche per i ragazzi maggiormente a rischio (per i quali si parla esplicitamente di insegnamento individualizzato da finalizzare “in modo prioritario, al rafforzamento delle competenze di base”)…. Vale la pena richiamare infine il passaggio del documento dove si parla della importanza della “scuola digitale” e di una “cultura attiva del dato” che permetta di superare le barriere disciplinari e aprire la strada ad approcci sistemici e quantitativi…. Le varie misure proposte potranno risultare efficaci - e, più in generale, che l’attuale crisi del sistema scuola potrà arrestarsi - ad una preliminare condizione: affrontare la questione docenti. Questione, assente nel documento, che in questa fase è la più delicata e importante e che richiede di sciogliere soprattutto tre nodi: 1. risolvere definitivamente il gravissimo problema del precariato, evitando però sanatorie rischiose e aprendo anche la scuola ai giovani; 2. motivare gli insegnanti; 3. qualificarli. Se non si sciolgono questi tre nodi, tutti gli altri cambiamenti, anche quelli importanti, rischiano di non “reggere”. Va anche chiarito che sciogliere il nodo della motivazione significa avere in mente soprattutto una diversa considerazione sociale del ruolo sociale dell’insegnante e una sua valorizzazione (che riconosca l’impegno e la competenza, anche ai fini di carriera); e che la qualificazione sarà tale se eviterà ogni forma di estemporaneità e facoltatività nella formazione e nello sviluppo delle competenze professionali…. Un’altra “assenza” varrebbe infine la pena di considerare per la prossima agenda governativa: riguarda le misure di accompagnamento all’operazione di Riordino - in atto attraverso le Indicazioni Nazionale per primo ciclo e licei e le Linee Guida per l’istruzione tecnica e professionale - . Di essa, purtroppo, si stenta a cogliere, da più parti e soprattutto nelle scuole, le indubbie potenzialità nel disegno di una scuola rinnovata.
scuolaoggi.org – 25 aprile 2013
Sì al test, ma… nei limiti “oggettivi” che lo caratterizzano
░ L’autorevole giudizio di Maurizio Tiriticco (“la zona test, quindi, costituisce il primo livello delle nostre acquisizioni cognitive”).
Lo ripeto per la centesima volta! E per tutti! Il test non è solo un pezzo di carta da crocettare! E' anzitutto una modalità di produrre "pensiero". E’ opportuno acquisire una serie di dati (bicicletta, Filippo, correre...) perché si possa comprendere una informazione (Filippo corre con la sua bicicletta; Filippo è stato investito da una bicicletta; ecc.). Se non avessimo certezza dei dati che utilizziamo quando comunichiamo (non so chi sia Filippo, non so che cosa sia una bicicletta), la comunicazione interpersonale non esisterebbe! Altro conto, invece, è esprimere un “giudizio di valore” sul bambino Filippo Rossi (è un imprudente! No! E’ sfortunato! Ecc.), oppure sulla bicicletta (è un mezzo stupendo! No! E’ pericoloso! Ecc.) o ancora sulla pedalata di Filippo Rossi (è un campione! Non sa pedalare! Ecc.). La zona test, quindi, costituisce il primo livello delle nostre acquisizioni cognitive. Se ho sete, cerco un bicchier d’acqua; se ho fame, un panino! E così via! Altro conto è la considerazione che facciamo dell’oggetto: uno vuole l’acqua del rubinetto, un altro l’acqua minerale gasata, un altro la vuole naturale; chi la vuole bella ghiacciata, chi a temperatura ambiente! Il panino è cattivo! Il panino è ottimo! Assistiamo al medesimo film, abbiamo letto lo stesso libro! Ma i giudizi che esprimiamo sono molteplici! Quel vestito e bellissimo ed è a buon mercato! Per un altro, lo stesso vestito è fuori moda e costa l’iradiddio! La zona test è quella della condivisione che potremmo definire agnostica, avaloriale: la bicicletta, il panino, il vestito; invece, la zona della manifestazione di un giudizio è quella della differenziazione: quella bicicletta e non un'altra; quel panino e non un altro! E’ la zona che io amo chiamare reattiva. Le famose macchie di Rorschach sono in effetti dei reattivi: nella medesima macchia un soggetto sereno e ottimista “reagisce” e può “vedere” una farfalla; invece, un soggetto disturbato e angosciato “reagisce” diversamente e “vede” un drago pronto ad assalirlo. I Promessi sposi sono un romanzo meraviglioso! No! Sono una gran pizza! La Divina Commedia nel Seicento era considerata un poema fumoso; invece, nel nostro Romanticismo fu considerato il poema che noi tutti apprezziamo. Il regalo che abbiamo fatto, che ci è piaciuto molto e che è costato tanto, non viene affatto apprezzato dal destinatario! E poi, quanto si discute dopo avere visto il medesimo film! Se poi pensiamo alle prove di verifica di un apprendimento, è indubbio che il primo gradino del “nuovo conoscere” è quello che riguarda i dati: la Prima guerra mondiale è scoppiata nel 1914; Giacomo Leopardi ha scritto La ginestra; tre per tre fa nove! Il fascismo è stato un movimento politico… ma! I giudizi dati dall’antifascista e dal nostalgico sono diametralmente opposti. Nell’espressione 3x = 12, x è eguale 4! E guai a chi dice 5! Però… se si assegna un tema, non attenderò risposte tutte eguali! Nel caso dell’espressione aritmetica, la risposta attesa è una soltanto! Nel caso del tema le risposte attese sono tutte diverse! Se il rubinetto versa un litro al minuto, in 5 minuti avrà versato 5 litri. Ma, se debbo arredare un bagno, avrò da scegliere tra mille rubinetti e mille vasche. Nel primo caso, ho a che fare con l’unica conseguenza logica. Nel secondo ho a che fare con una situazione problematica: quale spazio ho a disposizione; dove sono gli attacchi; dove le uscite delle acque reflue, e così via.
Ciò detto, non capisco le posizioni antitest! La nostra giornata si articola per 12 ore tra situazioni test e situazioni reattive. Al supermercato ci sono prodotti che costano quello che costano! Per alcuni clienti saranno a buon mercato, per altri cari! La stessa cravatta può piacere alla donatrice, per nulla al destinatario. Tutti noi indossiamo scarpe, calze, camicie, e così via (zona test)! E’ estremamente difficile trovare in giro due camicie identiche (se non nel negozio che le vende).
E si dà pure il caso che molti insegnanti che rifiutano il test come strumenti del demonio, quando interrogano, fanno sfilze di domande di questo genere! Quand’è scoppiata la guerra x! Qual è la capitale del Paese y? Quand’è nato il poeta z? Non ho nulla da obiettare! E’ la vita stessa, quella di tutti i giorni che ci impegna in operazioni test e in operazioni reattive. Mille acquirenti acquistano mille copie del Corriere della Sera, ma è certo che non ci saranno due acquirenti che leggeranno gli stessi “pezzi”! In conclusione, la zona operativa test è quella che ci garantisce il primo livello della… sopravvivenza quotidiana: possiamo chiamarla così! Con la chiave apro la porta di casa, poi apro il rubinetto per lavarmi le mani, accendo il gas per cucinare il pranzo. Tutte zone test, ma… se ho perduto le chiavi di casa? Se manca l’acqua? Se c’è lo sciopero dell’azienda del gas? E’ allora che si mettono in moto le operazioni reattive: si tratta di risolvere dei problemi! Tornando alla scuola, l’apprendimento è una continua e progressiva conquista di dati certi, oggettivi, assolutamente necessari per ulteriori apprendimenti più significativi. La zona test e la zona reattiva del cervello dei nostri alunni (e di noi tutti anche) sono in continuo movimento! E a fasi alterne! E’ necessario “apprendere a memoria” l’alfabeto, le tabelline, la numerazione, i primi meccanismi del sommare e del sottrarre, del produrre pensieri orali e scritti in cui l’informazione sia la risultante di una parte nominale e di una parte verbale. Se non possedessimo “dati certi”, non potremmo mai andare a trovare un amico che abita in Corso Vittorio 86; o prendere il tram n.13 che porta lì! Nelle nostre operazioni mentali è un continuo andirivieni tra operazioni test e operazioni reattive! Le prime condizionano le seconde. Le prime sono eguali per tutti; nelle seconde ci differenziamo! Guai se non fosse così! Saremmo tutti dei robot! Miliardi di calcolatrici ci diranno sempre che 2 più due dà 4! Ma ciascuno di noi può dire 5 o 6 o ciò che vuole! Le operazioni test sono operazioni convergenti. Le operazioni reattive sono divergenti… possono negare il reale! Ne consegue che i test – quelli scolastici – non vanno affatto demonizzati. Basta soltanto accettare il fatto che ci permettono di rilevare se dati condivisi e eguali per tutti sono stati acquisiti o meno. Si tratta, quindi, di strumenti “poveri”, ma che costituiscono i mattoni con cui ciascuno di noi può costruire operazioni reattive, “ricche”, complesse, personalizzate, se si vuole. Due architetti progetteranno due ville diverse, ma guai a loro se non posseggono dati e conoscenze comuni e condivise di aritmetica, geometria, ecc. Ben vengano allora mille prove test per accertare che ci siano i “mattoni mentali” perché si possa andare oltre…. L’accertamento della presenza di questi dati è una semplice operazione misurativa: il dato c’è o non c’è. E’ chiaro che un “sistema di istruzione” (educare e formare sono altre cose) non può limitarsi a operazioni misurative, necessarie, ma non sufficienti. Quando si sollecitano operazioni divergenti, pensiero critico, riflessioni personali, capacità di discuterle e… di modificarle anche, entriamo in un altro mondo: quello delle operazioni divergenti sulle quali, allora, si esprimono altri giudizi, che attengono alla valutazione, che è un altro mondo! … Se tutto ciò che ho scritto fino adesso è vero – e lo è! – è anche vero che le prove test mi danno l’opportunità di disporre di dati importanti circa l’evoluzione dell’apprendimento di un alunno – o di un qualsiasi soggetto – ma solo in relazione a operazioni convergenti (l’acquisizione di dati comuni e condivisi, necessari per andare oltre in processi cognitivi più elaborati). Ma dovrò anche dire che si tratta di prove necessarie, ma non sufficienti a verificare se il soggetto è capace di procedere verso operazioni “altre”, più elaborate, “divergenti”.
Di qui il grande equivoco delle tanto temute prove Invalsi. Si tratta di prove che non vanno – né lo potrebbero fare – oltre a pure e semplici rilevazioni misurative: proprio per il fatto che sono prove eguali per tutta la platea del campione. Pertanto, non possono in alcun modo essere proposte o barattate come prove capaci di darci il gradiente delle competenze di analisi, di sintesi e di valutazione. Com’è noto, per l’ormai superato (per davvero?) Bloom, si tratta pur sempre di operazioni cognitive superiori, produttive, che vanno ben al di là delle più semplici operazioni di primo livello: contatto/acquisizione/conoscenza, comprensione, applicazione…. Concludendo: non è affatto detto che una prova Invalsi sia in grado di dare il coefficiente di produttività di una classe di alunni. Può dirci soltanto se il pensiero convergente di un alunno è in grado di operare correttamente su determinati dati. E non potremmo mai dire che un alunno “non conosce”, se non ricorda la data della battaglia di Zama. Perché può darsi che sappia tutto dell’importanza delle guerre puniche, ma non ricordare quel fatidico 202 a.C.!... Voglio sperare che il nuovo ministro faccia un po’ di chiarezza sui compiti dell’Invalsi e sui limiti “oggettivi” delle prove “imposte” alle scuole! Mah!!! Ormai sono anni che mi auguro la nomina di un ministro di alto profilo, all’altezza di una situazione difficile e complessa! Ma non sono mai ascoltato!!! Vogliamo sperare? Mah!!!
tra poche ore sapremo chi sara’ il ministro al Miur
░ Vediamo quali nomi sono stati fatti, negli ultimi giorni, di candidati.
- da La Tecnica della Scuola - 24 aprile.
“Si sono fatti i nomi di Mauro Mauro, Maria Stella Gelmini, Maurizio Lupi, ma nessuno dei tre, sembra, potrebbe essere, per ragioni diverse, candidabile al ricoprire la carica di nuovo Ministro dell’Istruzione.
Si fa spazio quindi l’idea di lanciare Elena Centemero, responsabile scuole del Pdl, e che proviene dal mondo della scuola… In ogni caso, per completezza di informazione, da altri ambienti e altri pulpiti si preme affinché il Ministero della Minerva si affidi a un tecnico, a uno cioè che sappia, fin nei reconditi più nascosti, le effettive condizioni e le reali “possibilità possibili” che si accampano nei quartieri che furono di Giovanni Gentile e di Benedetto Croce e per dare una svolta alla scuola e non solo”.
- da http://www.soveratonews.com – 24 aprile.
“Il Ministro Profumo ha avviato dei percorsi che però rischiano di arrestarsi e quindi di non potere essere sviluppati per il futuro se non si trova la soluzione tecnica giusta dal basso (basso riferito a questioni tecniche) e non necessariamente dall’alto. Si pensi alla formazione degli organici o alla programmazione dei saperi, tutti argomenti che i funzionari dovranno studiare bene prima di bandire nuovi concorsi o creare nuove sinergie fra scuola e istituzioni. Ed allora perché non cambiare il volto della politica e mettere a capo dei Ministeri, funzionari che in quel campo lavorano da una vita? Ad esempio il capo dipartimento dell’attuale Ministero della Pubblica Istruzione Lucrezia Stellacci è una persona preparata e competente. Chi meglio di lei, districandosi nella matassa di leggi e leggine potrebbe trovare le soluzioni o le idee giuste?”.
- da La Tecnica della Scuola - 25 aprile.
“Spunta un nuovo nome per il Ministero dell’Istruzione. Al Miur qualcuno propone infatti Mariachiara Carrozza, rettore della Scuola Sant'Anna di Pisa… Da novembre 2006, è professore straordinario in Bioingegneria Industriale presso la Scuola Superiore Sant’Anna. …E’ stata Direttore della Divisione Ricerche con Delega del Direttore della Scuola Superiore Sant’Anna…. tiene corsi di criteri di progettazione di mani artificiali, fondamenti di robotica umanoide, neuro-robotica, biomeccatronica e bioingegneria della riabilitazione presso l’Università di Pisa e la Scuola Superiore Sant’Anna…”.
- da http://www.ilsalvagente.it – 25 aprile
“ I bersaniani puntano su Vasco Errani (Affari regionali) e Maria Chiara Carrozza (Istruzione)”.
-da www.scuolaoggi.org. “Si fa strada, rilanciato anche da alcuni siti di informazione come La nazione, il nome di Mariachiara Carrozza. … Poco più di un mese fa sulla Stampa.it i papabili per il Miur potevano essere Miguel Gotor o Salvatore Settis. Il primo insegna Storia moderna presso la facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Torino, collabora alle pagine politiche e culturali del quotidiano La Repubblica. Si occupa di storia della vita religiosa fra Cinque e Seicento, in particolare di santi, eretici e inquisitori, e di storia degli anni Settanta del Novecento. Nel 2008 ha vinto il Premio Viareggio per la saggistica con Lettere dalla prigionia, volume dedicato agli scritti che Aldo Moro produsse durante il suo sequestro a opera delle Brigate rosse. Il secondo (Salvatore Settis) si è laureato in Archeologia classica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa nel 1963, ottiene nel 1965 il diploma di perfezionamento. All'Università di Pisa è stato prima assistente (1968-1969), poi professore incaricato (1969-1976), quindi professore ordinario (1976-1985) di Archeologia greca e romana. Tra il 1977 e il 1981 è stato direttore dell'Istituto di Archeologia e preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dello stesso ateneo. Insegna Archeologia classica presso la Normale di Pisa dal 1985. Ha diretto il Getty Center for the History of Art and the Humanities di Los Angeles dal 1994 al 1999. È stato eletto direttore della Normale dal 1999 al 2010. …