Rassegna stampa

Recensioni dalla Stampa al 11 maggio 2013

 Il Messaggero – 5 maggio 2013
“Scuole materne, posti solo per la metà delle domande”
░ I Comuni preparano le liste d'attesa (di Alessia Camplone)
Si fa la fila persino per entrare nella scuola d’infanzia, la cosiddetta “materna”. E che fila: le liste d’attesa preparate dai Comuni arrivano anche al doppio delle richieste rispetto ai posti disponibili nella scuola pubblica. …In tutta Italia, l’anno scorso l’aumento degli iscritti è stato di 3.146 alunni…. La scuola d’infanzia, che accoglie i bambini dai 3 ai 5 anni, in Italia non è obbligatoria. E solo sei bambini, su dieci che vanno alla materna, frequenta un istituto pubblico. Per l’altro 40% la scelta – a volte obbligata, se si è in lista d’attesa – è la scuola paritaria (sette su dieci delle quali sono cattoliche, le altre private non religiose). Alla scuola paritaria però, dati i maggiori costi, molti rinuncerebbero volentieri. Le difficoltà economiche incidono anche su queste decisioni delle famiglie, che spesso optano per la materna quando il bambino ha appena tre anni, salvo poi rinunciare al tempo-pieno per evitare i costi della mensa. I bambini che frequentano la materna sono quasi 1,7 milioni di cui 660mila iscritti alle private. Secondo uno studio della Flc-Cgil sarebbero necessarie 2.500 sezioni in più nel pubblico, e la proposta del sindacato è un piano quinquennale con 500 nuove sezioni ogni anno. Le materne sono in aumento, ma non con questo ritmo: 167 sezioni in più nel 2012, 518 in più negli ultimi 5 anni. Le sezioni pubbliche sono oggi 42.937….

larepubblica.it – 6 maggio 2013
“Occupazione, quando la laurea non basta”
░ Secondo l'Istat in 200mila restano senza impiego nonostante il famoso "pezzo di carta" (di Christian Benna)
… Il record negativo è certificato dall’Istat: nel 2011 il numero di giovani a spasso con titolo di studio conseguito in un delle facoltà della Penisola è aumentato del 27%. Non stupisce quindi che nella nuova ondata migratoria, 100 mila italiani in fuga solo lo scorso anno, uno su tre possiede almeno una laurea. La crisi degli atenei, va a braccetto, in un valzer sul Titanic, con la crisi dell’economia e del lavoro. Le università italiane negli ultimi dieci anni hanno perso 58 mila studenti; con calo delle matricole pari al 17% sul totale della popolazione universitaria. Come se in un decennio — quantifica il Consiglio universitario nazionale — fosse scomparso un ateneo come la Statale di Milano. Un’emorragia che si traduce in tracollo nelle classifiche Ocse in quanto a percentuali di laureati tra 30 e 34 anni: l’Italia scivola al 34esimo posto su 36 paesi, a quota 19% contro una media europea del 30%. Si riducono anche i professori, del 22% dal 2006 a oggi, i corsi di laurea (1.195 in meno in sei anni) e i dottorati (6.000 in meno rispetto agli standard europei. … Bisogna ridurre il gap tra lavoro e formazione. Nel 2011, infatti, il tasso di disoccupazione tra i 25 e i 29 anni raggiunge per i laureati il 16%, un livello superiore sia a quanto registrato dai diplomati nella stessa fascia d’età (12,6%), sia alla media dei 25-29enni (14,4%)…. Bisogna spiegare ai giovani delle scuole secondarie il loro futuro. E questo a partire da due argomenti: il primo è la conoscenza delle possibilità di studio, quando oggi ci si iscrive all’università spesso quasi per caso. E il secondo è dire chiaro hai ragazzi le opportunità di lavoro che una determinata facoltà offre. Il placement andrebbe scritto a fianco del nome del corso di laurea». Nel 2011 il numero dei giovani a spasso con titolo di studio conseguito in un delle facoltà della Penisola è aumentato del 27% per cento…


larepubblica.it – 7 maggio 2013
“La nuova generazione che impara sull’IPad”
░ Grazie ai tablet i nativi digitali sono protagonisti di una rivoluzione dell’apprendimento.
La rivista The Atlantic dedica alla “Touch generation” un’inchiesta di copertina. A Monterrey, in una palazzina, immersa tra la nebbia e la sabbia dell’oceano Pacifico si trovano programmatori e sviluppatori di applicazioni per piccolissimi: dai due ai cinque anni. I bambini riempiono le stanze e non staccano gli occhi dai video che li circondano: attratti come Alice dal suo specchio…. I gesti sono la loro guida infallibile, a quest’età infatti posseggono la capacità di rappresentazione enattiva: ovvero non classificano gli oggetti con le parole ma li associano ad azioni, per dire ho sete imitano l’atto di portarsi il bicchiere alla bocca. Da qui la naturale svolta con gli schermi touch, che tolgono di mezzo la mediazione dei genitori: sono immediati, comprensibili, non servono spiegazioni. Prendo quella macchinina sul video e la trasporto da un’altra parte. Uso il mio dito come un pennello e tutto si colora come per magia, come se il pensiero si trasformasse subito in qualcosa di concreto. … Le ricerche più serie si occupano del rapporto tra tv e piccoli spettatori e da qui qualche idea può venire. Infatti si scopre che sono molto meno passivi di quello che pensiamo davanti allo schermo e interagiscono con i personaggi che vedono. Ed è di questa feritoia che si approfittano i sostenitori del tablet è bello. … Le scuole sono le prime cartine tornasole della trasformazione in corso. Negli Stati Uniti la battaglia per digitalizzare il sistema sin dai primi anni di formazione ha un testimonial illustre: Bill Gates. Il leader della Microsoft investe molte risorse della sua fondazione nella missione e in una recente intervista spiega: «Pensate se i nostri figli potessero imparare la matematica con la stessa passione che adesso dedicano ai videogame». E un altro gigante come Robert Murdoch ha messo in campo la forza della sua NewsCorp in un progetto che ha come slogan: «Un tablet in ogni classe». Il mercato se n’è accorto da qualche mese. Nel 2006 il 90% dei genitori ammetteva di dare cellulari e simili in mano ai figli, secondo un’altra ricerca più recente due terzi dei bambini entro i sei anni possiedono o giocano abitualmente con gli iPad. Numeri troppo grandi per non attirare i dollari e così solo nell’Apple Store si contano 40mila baby app. E poi ancora ecco tablet, tutti colorati e molto più resistenti disegnati apposta per attirare i giovanissimi clienti, o meglio le loro mamme e i loro papà. …

ArciReport – 7 maggio 2013
“ARCI – Investire in cultura, conoscenza e creatività”
░ Un nuovo governo, un nuovo ministro dei beni e delle attività culturali, una nuova politica per la cultura. (Info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)
O meglio, una politica, finalmente. Questo ci aspettiamo nelle prossime settimane da chi dovrebbe dare slancio al settore considerato il quarto pilastro di un nuovo modello di sviluppo. Le dichiarazione del capo del governo sulle sue dimissioni in caso di nuovi tagli a cultura e scuola diminuiscono l’ansia ma certo non fanno presagire grandi investimenti. Vedremo. Nel frattempo proviamo a mettere in evidenza alcune delle priorità del vasto mondo che produce, organizza e promuove cultura. Per quel che riguarda la tutela dei beni culturali… è urgente difendere il Paesaggio e definire provvedimenti per il riuso di stabili e aree industriali dismesse contrastando il consumo di suolo, sia nei centri urbani che nelle campagne… C’è poi l’ambito delle produzioni culturali contemporanee. Alcuni punti ci paiono essenziali. Il primo riguarda la promozione culturale. Le tantissime esperienze associative e di costruzione partecipata di percorsi culturali e creativi sono la grande ricchezza di questo settore…. C’è bisogno di un forte investimento del Ministero per individuare progetti strategici insieme al Ministero per lo sviluppo e al Ministero per lo sport e i giovani, in stretta collaborazione con Anci, conferenza delle Regioni e Forum del Terzo Settore, anche per sviluppare politiche organiche di sostegno alle forme partecipative del no profit culturale. C’è bisogno di defiscalizzare chi investe in cultura, ad esempio riducendo la tassazione sulle ristrutturazioni e messa a norma di spazi e riducendo l’iva al 10% su tutte le spese legate agli eventi culturali. E’ urgente rivedere i meccanismi di funzionamento del Fondo Unico dello Spettacolo, strumento obsoleto e usato male. Vorremmo capire come la Siae possa ritornare ad essere ‘di tutti’, utilizzando i fondi della copia privata per sostenere creatività e nuovi autori svincolandoli da iniqui meccanismi di ripartizione. Moltissimo c’è da fare per promuovere politiche attive di promozione della lettura. Bisogna finalmente approvare una legge per lo spettacolo dal vivo, tenendo conto di tutti gli attori in gioco, compreso il no profit culturale. Oltre a sostenere il sistema di tutto il cinema italiano (tenendo presente il problema dei costi per la digitalizzazione delle sale indipendenti), è necessario valorizzare l’associazionismo di promozione cinematografica che fa un lavoro straordinario di diffusione di opere altrimenti velocemente dimenticate e promuove attività di formazione di nuovo pubblico…

latecnicadellascuola.it – 8 maggio 2013
“Concorso D.S. in Lombardia, mozione PDL: I vincitori siano insediati subito”
░ Secondo i rappresentanti del Popolo della Libertà 700 scuole rischiano di non avere il loro capo d’istituto. Appello all’assessore all’istruzione, Valentina Aprea: serve una soluzione immediata, anche per evitare che quei posti vengano assegnati agli idonei delle altre regioni.
Una soluzione immediata l’abbiamo auspicato (e suggerito) noi dell’ANIEF, ma non certo con questa motivazione avanzata all’assessore.
Il rinvio del pronunciamento del Consiglio di Stato sul concorso per dirigente in Lombardia al 4 giugno, al fine di consentire all’avvocatura dello Stato di approfondire le proprie controdeduzioni alla Ctu, sta provocando una serie di reazioni indignate. Tra queste, figura anche la mozione presentata, l’8 maggio, da diversi consiglieri regionali del Popolo della Libertà. Ad annunciarla alla stampa, nella stessa giornata, è stato uno dei presentatori, Carlo Malvezzi, che nell’occasione ha anche invitato l`assessore all’istruzione, Valentina Aprea, a trovare nel più breve tempo possibile una soluzione positiva di una vicenda che si trascina sin dal luglio 2011. "Con questa mozione - ha detto Malvezzi - chiediamo di individuare una soluzione definitiva entro l`inizio del nuovo anno scolastico e di farsi promotrice presso il Ministero affinché si eviti la mobilità interregionale così da scongiurare che i posti assegnati in Regione Lombardia vengano coperti da chi ha vinto il concorso in altre regioni. Siamo però già a maggio. "Bisogna fare presto - ha detto il rappresentante regionale del Pdl - perché il fattore tempo gioca sfavorevolmente contro la scuola lombarda. Oltre alla situazione di emergenza creata dalla pronuncia del Consiglio di Stato che ha bloccato l'insediamento di 355 nuovi dirigenti scolastici vincitori del Concorso pubblico, nel prossimo anno scolastico avremo fino a 700 dirigenze da assegnare. Il sistema scolastico lombardo e i vincitori del concorso stanno vivendo una surreale e kafkiana vicenda, sia per i tempi biblici sia per la superficialità della motivazione che ha innescato questo calvario: un ricorso al Tar che in altre regioni non è stato accolto.

L’Unità – 9 maggio 2013
“Test INVALSI. E’ proprio valutazione ?”
░ Maestre in sciopero, famiglie in rivolta contro le prove INVALSI. L’ANIEF ha ripetutamente espresso in modo articolato le ragioni del proprio dissenso sul sistema delle prove, non fosse altro che per il fatto che sono fuori dal contesto del lavoro effettuato dagli insegnanti nel corso dell’anno scolastico, e che possono, tutt’al più misurare ciò che le scuole producono in termini di addestramento degli alunni, ma in nessun caso ciò che le scuole producono nella loro crescita. Riportiamo la, ben più autorevole, riflessione polemica di Benedetto Vertecchi.
La campagna di rilevazioni che si sta avviando nelle scuole italiane contiene non pochi elementi di ambiguità. Proprio da tali ambiguità hanno origine sia gli atteggiamenti critici di tipo complessivo, sia gran parte delle obiezioni sollevate sulle scelte tecniche e organizzative effettuate. Cercherò di definire qui i principali aspetti della questione valutativa, al fine di affermare, almeno sul piano concettuale, riferimenti corretti. Per cominciare, è difficile considerare valutativa un'attività che consiste nel rilevare sull'intera popolazione la capacità di soddisfare un certo numero di consegne. Un conto è, infatti, che un numero limitato di allievi (una classe, una scuola) sia sollecitato a dimostrare le conoscenze di cui dispone, altro conto che la medesima operazione sia compiuta sui grandi numeri. In una classe, o in una scuola, gli insegnanti possono avvertire l'esigenza di fondare le scelte ulteriori su un quadro meglio definito di quello già disponibile e che, se si avverte tale esigenza, è presumibile che non soddisfi pienamente. Quella che viene compiuta è un'operazione di verifica (o di misurazione) che è solo parte di una strategia valutativa che si fonda sulla considerazione del modo in cui si distribuiscono tre principali gruppi di variabili. Il primo gruppo riguarda le caratteristiche dei singoli allievi, il secondo quelle del contesto socioculturale che fa da contorno alla scuola e il terzo le scelte organizzative e didattiche cui si conforma l'attività educativa. Ciascun gruppo di variabili dev'essere considerato per la maggiore o minore prossimità degli effetti che può indurre sia nel tempo breve sia, a maggior ragione, nei tempi lunghi. In altre parole, le caratteristiche degli allievi sono da collegare alle esperienze e alle interazioni della vita quotidiana, ma anche ai condizionamenti di provenienza remota, per esempio quelli consumistici e valoriali derivanti dall'esposizione ai messaggi della comunicazione sociale. È evidente che le scuole incontrano maggiori o minori difficoltà nello svolgere il loro compito educativo se la cultura informale degli allievi converge con quella formale. Ci sono due modi per interpretare i dati che si riferiscono a questi due gruppi di variabili: si può operare un taglio sincronico nel fluire dell'attività, o si può cercare di coglierne l'evoluzione attraverso il tempo. Il taglio sincronico (è come dire la fotografia della condizione esistente) ha una sua utilità didattica, ma può portare a stabilire inferenze improprie se si tentano interpretazioni che riguardano il processo educativo, e quindi i cambiamenti che è possibile rilevare nei due gruppi di variabili menzionati. Una prospettiva temporale estesa è dunque la condizione per valutare l'attività educativa. Ed è su questa valutazione che le scuole possono fondare le decisioni che riguardano le scelte organizzative e didattiche (terzo gruppo di variabili). Le considerazioni appena esposte hanno senso se riferite a situazioni non troppo diverse le une dalle altre. Ne hanno molto meno quando il quadro di riferimento presenta, come nel sistema scolastico italiano, livelli elevati di dispersione nella distribuzione delle variabili tra le aree geografiche, le tipologie di territorio, i diversi insediamenti della popolazione, le attività produttive, la qualificazione culturale dei contesti…. Le reazioni di rifiuto indotte da comportamenti improvvidi rischiano di disperdere anche quel poco di sistematica valutativa che, molto faticosamente, si era affermata nella scuole: per esempio, la distinzione tra le varie funzioni della valutazione, l'individuazione delle possibilità e dei limiti delle diverse soluzioni strumentali ecc. Non contribuisce a creare un clima favorevole l'enfasi che è stata posta sulle misure per individuare comportamenti impropri (cheating: ma perché dirlo in inglese? La parola italiana imbroglio è forse meno densa di significato?). C'è bisogno di ricostruire un clima di fiducia, senza il quale nessuna valutazione è possibile. Occorre chiarezza nell'indicazione degli intenti, oltre a una competenza valutativa che non derivi da semplice imitazione di quanto avviene altrove, ma da una accumulazione originale di conoscenza quale può fornire solo un serio impegno per lo sviluppo della ricerca educativa.

Corriere della sera – 10 maggio 2013
“I super prof difendono l'Invalsi «Aprono la scuola alla realtà»”
░ Il sottosegretario Marco Rossi Doria ha dichiarato: «Non sono quiz, sono prove di conoscenza e di intelligenza»; insomma – a parte quanto ci sarebbe da dire sulle misurazioni della “intelligenza”, osserviamo che nello staff che dirige la politica scolastica c’è chi ritiene di dovere monitorare l’intelligenza degli alunni. Prepariamoci alla continuità della linea di politica scolastica il sottosegretario riconfermato traghetta nel nuovo governo la strategia già adottata da Profumo e dalla Gelmini ! Obiettivi pertinenti (aiutare le scuole ad avere un punto di vista esterno per capire come si lavora), addotti dai fautori dei test INVALSI sono citati in un articolo di Paolo Conti, che riportiamo.
Anche quest'anno le polemiche accompagnano l'appuntamento. … I responsabili dell'Invalsi (le prove sono scelte selezionando proposte avanzate da circa 150 docenti sparsi per l'Italia) respingono le accuse. A partire da Paolo Sestito, commissario straordinario Invalsi e dirigente dell'area ricerca e relazioni internazionali della Banca d'Italia, economista studioso anche di sistemi educativi: «Le nostre prove sono quanto di più lontano dal nozionismo, dall'automatismo dei test, dal Rischiatutto. Il nostro scopo è l'esatto contrario: misurare le competenze dei ragazzi e la qualità dell'insegnamento, calandole nella vita concreta. Assicuriamo alle scuole uno strumento di auto-conoscenza». Conferma Giorgio Bolondi, docente di Matematiche complementari all'università di Bologna, che coordina la predisposizione delle prove: «Abbiamo incontrato migliaia di insegnanti e registrato molte comprensibili prevenzioni. C'è un malinteso: non intendiamo esprimere giudizi, ma informare ragazzi, insegnanti e scuole sulla qualità dell'apprendimento. Ogni domanda è legata agli obiettivi di legge per i diversi gradi dell'istruzione. Nemmeno un quesito punta su memoria o formule: ciò spetta agli insegnanti, non all'Invalsi». Giudizio condiviso dal linguista Luca Serianni, che ha analizzato le prove: «L'Invalsi funziona come le analisi del colesterolo per un adulto. Servono al medico come indice importante per stilare una diagnosi dopo aver studiato altri parametri. Trovo le prove realizzate con intelligenza per tarare le competenze a seconda della fascia d'età. Non hanno nulla del quiz né vedono il nozionismo come valore. Possono aiutare le scuole a conoscersi meglio e a mettere in atto i meccanismi per migliorarsi. A difendere l'Invalsi a spada tratta è Enza Ugolini, fresca ex sottosegretario all'Istruzione nel governo Monti (insegna storia e filosofia ed è preside del liceo «Malpighi» di Bologna), che negli anni ha lavorato sul tema della valutazione (in modo politicamente trasversale) con i ministri Luigi Berlinguer, Letizia Moratti, Giuseppe Fioroni, Mariastella Gelmini e Francesco Profumo: «Il primo scopo è aiutare le scuole ad avere un punto di vista esterno per capire come si lavora al proprio interno e nelle singole classi. I dati Invalsi sugli apprendimenti non sono solo "numeri" (percentuali, pesi, tassi di difficoltà, coefficienti di validità) che riducono la reale portata educativa della scuola. Anzi proprio perché i risultati sono tratti da prove concrete, gli esiti di queste prove finiscono con l'aiutare i singoli insegnanti, i consigli di classe, i dipartimenti, i collegi docenti, a fare una diagnosi anche a livello didattico». Enza Ugolini contesta l'autoreferenzialità di una certa scuola: «Uno dei nemici nella valutazione è la parzialità, quella abitudine che porta a non cercare in modo costante di tener conto di tutti i fattori della realtà. Non c'è solo la "tua" scuola, il "tuo" alunno, la "tua" classe con i "suoi" "livelli medi": esiste il mondo... Ogni scuola e ogni classe ha uno specchio col quale confrontarsi». E conclude, per sostenere la bontà del sistema, ricordando le disparità: «In II e V primaria la situazione, specie in matematica, nel Nord è pari alla media nazionale, mentre il Sud ha mediamente +2,5 punti. Già nella prima classe della scuola secondaria di primo grado la situazione si capovolge e mentre il Nord supera di oltre 6 punti percentuali la media, nel Sud si va sotto la media, per arrivare fino a oltre -15 punti nella classe terza del Sud-Isole... Mi sembra essenziale saperlo, per rimediare».