Rassegna stampa

Recensioni dalla Stampa al 10 ottobre 2013

 www.larepubblica.it – 04 ottobre 2013

Così un esercito di lavoratori invisibili tiene in piedi la Pubblica amministrazione

░ Precari di tutta Italia (scuola, sanità, ministeri ed enti), all’attenzione di la RepubblicaInevitabile il riferimento alricorso dell'Anief che la Corte costituzionale ha rinviato ai giudici della UE.

Quanti sono i precari pubblici nel nostro Paese? Secondo l'Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni), i precari del pubblico, sono - dato del 2011 - poco meno di 317mila, secondo la Cgia di Mestre (l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese che produce ricerche sullo stato del Paese), sono invece tre volte di più: quasi un milione. Troppi ? Il fatto è che si può essere precari anche da liberi professionisti, spiegano da Mestre. L'esercito delle cosiddette partite Iva spesso nasconde una sacca di precariato involontario: se vuoi lavorare, devi farlo alle nostre condizioni. Per la Cgia di Mestre vanno considerati come precari i lavoratori dipendenti con contratto a termine involontari, quelli cioè che lavorerebbero a tempo indeterminato se venisse data loro la possibilità di farlo: i lavoratori part-time involontari, ma anche collaboratori e liberi professionisti che presentano contemporaneamente tre vincoli di subordinazione (un solo committente, imposizione dell'orario di lavoro e utilizzo dei mezzi dell'azienda). Ed è difficile eccepire visto che le tre condizioni sono tipiche del lavoro subordinato. Analizzando i dati dell'Istat, ci si accorge che su oltre 22milioni di lavoratori italiani - dato del mese di luglio del 2013 - soltanto il 53,6 per cento- poco più di 12 milioni - lavora stabilmente e a tempo pieno. Il resto sotto varie forme è precario. ….La Costituzione all'articolo 97 afferma che "agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge" e il decreto legislativo 368 del 2001 - che attua una direttiva europea in materia di contratti a tempo determinato - stabilisce che dopo tre anni di proroghe "il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato", salvo i casi previsti dalla legge. Per questa ragione, su ricorso dell'Anief (Associazione professionale e sindacale della scuola), la Corte costituzionale ha rinviato ai giudici lussemburghesi l'eventuale trasformazione di 200mila rapporti di lavoro nella Pubblica amministrazione da lavoro precario a contratti a tempo indeterminato. Trasformazione che sta alla base della stabilizzazione dei precari. I comparti del Pubblico impiego che sfruttano maggiormente l'enorme sacca di precariato esistente in Italia sono soprattutto: scuola, sanità, enti locali, università e vigili del fuoco. … Adesso arriva il cosiddetto decreto D'Alia che dichiara guerra al precariato. L'intenzione è meritoria: "Viene rafforzato il principio in base al quale" - si leggeva nel comunicato di Palazzo Chigi del 26 agosto - "il ricorso al lavoro flessibile nella Pubblica amministrazione è consentito esclusivamente per rispondere a esigenze temporanee o eccezionali: ne deriva che nella Pubblica amministrazione non è consentito sottoscrivere contratti elusivi del reclutamento tramite concorsoIl decreto, per ridurre il precariato nel settore pubblico, percorre due strade: nuovi concorsi riservati a coloro che nell'ultimo quinquennio hanno maturato almeno tre anni di servizio nella pubblica amministrazione; proroga fino al 31 dicembre 2015 delle graduatorie dei concorsi pubblici approvate dal primo gennaio 2008….

 

l’Unità – 06 ottobre 2013

Affitti in nero ai fuorisede per 1,5 miliardi

░ Seicentomila studenti, irregolari 3 contratti su 4.Lo documenta un'inchiesta del Sunia-Cgilfatta su un campione di 2mila ragazzi.

Dei 600mila studenti fuorisede che abitano in una stanza o in un appartamento in locazione, 300mila, la metà, è totalmente in nero, mentre altri 150mila hanno sottoscritto un contratto con una cifra inferiore a quella realmente corrisposta. Il sommerso ammonta quindi a un miliardo e mezzo di euro, che significano almeno 300mila euro evasi al Fisco. Le città più care sono Milano e Roma: un posto letto nel capoluogo lombardo costa un minimo di 400 euro al mese (300 a Roma), mentre per una camera singola il canone può arrivare a 700 euro (come nella Capitale). Poco più bassi i prezzi in altre città, come Firenze (posto letto da 350 a 400 euro; camera singola da 500 a 700), Bologna (300-350 per un giaciglio e 400-500 per la camera) e Napoli (350-400 e 500-650). Non va meglio nei centri più piccoli, da Padova a Perugia, dove comunque una camera costa tra i 300 e i 400 euro in media. E a rimetterci sono gli studenti extracomunitari, fa sapere il Sunia, che pagano almeno un quarto in più degli italiani. Fatto sta che il canone «pesa» fino all'80% nel budget di un universitario medio, un intervistato su tre (il 30%) riporta le difficoltà dei propri genitori a mantenerlo, mentre uno su sei (il 15%) sta pensando di cambiare sede per riavvicinarsi alla famiglia. Particolarmente variegati gli escamotage utilizzati per infrangere le leggi. Si va dal «nero assoluto», a i contratti intestati a una sola persona e poi sub affittati, ad aumenti assolutamente arbitrari senza che le carte - quando ce ne sono - vengano modificate. Ci sono anche proprietari che tengono le chiavi dell'appartamento per fare sopralluoghi senza preavviso o per imporre altri co-inquilini, altri che incrementano le spese condominiali in modo arbitrario o offrono alloggi del tutto privi di dotazioni minime impiantistiche e di qualità. Nonostante le agevolazioni per chi affitta a canone concordato - il sindacato ricorda, ad esempio, le detrazioni di Irpef e Ici, ma anche le opportunità per gli inquilini e le loro famiglie - le carenze del sistema universitario italiano, che offre «posti letto solo per un 2% dei fuori sede, a fronte del 10% di Francia e Germania e del 20% di Danimarca e Svezia», contrastano con la possibilità di far emergere le irregolarità

 

Il Messaggero – 07 ottobre 2013

«Aiuti vietati dalla Costituzione diamo alle pubbliche questi fondi»

░ Una intervista, in materia di finanziamento pubblico alle scuole private, a SalvatoreSettis. Il professore, già rettore della Scuola Normale Superiore di Pisa, è stato presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali ed è tra gli intellettuali che hanno firmato ad aprile scorso il manifesto per «fermare l’offensiva contro la scuola pubblica».

D. Professore, nella prossima legge di stabilità potrebbe essere previsto un taglio del 50% dei finanziamenti alle scuole private. Cosa ne pensa?

«Se il taglio alle scuole private serve per incrementare le risorse per la scuola pubblica, credo sia un intervento conforme alla Costituzione italiana. L’articolo 33 dice chiaramente che le scuole private sono senza oneri per lo Stato. Se è un taglio per finanziare di più l'istruzione pubblica, me ne compiaccio, ed è un traguardo. Ma se è un taglio che va di pari passo con i tagli inesorabili che negli ultimi 5 anni piovono su tutto il comparto culturale, cioè alla pubblica istruzione che soffre terribilmente, così come ai beni culturali, alla ricerca, all'ambiente, insomma se è il preannuncio di ulteriori tagli, allora serve a poco Mi auguro che questo taglio non serva per pagare delle superpensioni di qualcuno. Insomma dipende tutto da come vengono usati questi fondi. Io spero che vengano reimpiegati per la scuola pubblica e la ricerca che hanno sofferto tagli inesorabili. Senza investimenti nella ricerca e nell'istruzione pubblica non c'è sviluppo. Significa condannare le nuove generazioni alla disoccupazione. Cosa che d’altronde sta giàaccadendo». D. Sarebbe giusto eliminare i finanziamenti dello Stato alle private?

«Il finanziamento statale alle scuole private è anticostituzionale. La Costituzione italiana la tengo proprio sulla scrivaniasempre a portata di mano. La consulto tutti i giorni. L’art. 33 non smetto di leggerlo. Guardi, glielo leggo anche adesso al volo. “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. Più chiaro di così».

D.I sostegni alle scuole private comunque hanno attraversato più governi.

«Il finanziamento alle scuole private è arrivato proprio con l'accordo della sinistra e della destra. Non a caso il primo ad intervenire con un decreto è stato il ministro Berlinguer, con un governo di centrosinistra. Poi, con il governo Berlusconi e la Gelmini si è raggiunta l'apoteosi».

 

http://www.tuttoscuola.com – 08 ottobre 2013

Analfabetismo funzionale.... e analfabetismo strumentale

░ Con riferimento a un’indagine dell’Ocse,Tuttoscuola distingue tra l’incapacità di una persona di usare in modo adeguato le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana, e la forma di analfabetismo che sta alla base di tale incapacità e che caratterizza circa 200 mila immigrati in Italia, in quanto sono privi discolarizzazione di base nei Paesi di origine.Di questa scolarizzazione di base, aggiungiamo noi, dovrebbe farsi carico la UE e non l’Italia.

Un’indagine dell’Ocse, denominata AllAdultLiteracy and Life Skills, ha messo in evidenza per l’Italia una pesante situazione di analfabetismo funzionale, cioè l’incapacità di una persona di usare in modo adeguato le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidianaPer combattere questo nuovo analfabetismo (di ritorno, come viene anche chiamato) che compromette il diritto di cittadinanza attiva di milioni di italiani tra i 15 e i 64 anni, il nostro Paese ha ancora molto da fare, perché la percentuale di iscritti a corsi di istruzione per gli adulti (6%) è attualmente tra le più basse dei Paesi dell’Unione. Dal prossimo anno scolastico prenderanno l’avvio i nuovi Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, che saranno organizzati con propria autonomia di istituzione scolastica e affidati a un dirigente scolastico. Si tratta di una sfida difficile e complessa per la quale l’Italia è impegnata a raggiungere per il 2020 (strategia di Lisbona) l’obiettivo del 12,5%.Contestualmente il nostro Paese è impegnato anche a conseguire per quella data la riduzione del numero di giovani con limitata alfabetizzazione e scarse competenze di base al 15,5% del totale. Lo sviluppo del Paese passa anche dalla lotta all’analfabetismo funzionale.In Italia, poco più di mezzo secolo fa, si parlava ancora di analfabeti, cioè di individui (per lo più anziani) che non sapevano leggere e scrivere. Ricordiamo ancora le trasmissioni televisive negli anni ’50 del maestro Manzi in “Non è mai troppo tardi”, quando il tasso di analfabetismo era ancora del 13% della popolazione in età lavorativa attiva 15-64 anni. Il mezzo televisivo contribuì indubbiamente a ridurre l’analfabetismo strumentale (cioè la mancanza degli strumenti di base della lettura e scrittura). Nel 1861 il tasso di analfabetismo era superiore al 78%. Nel censimento del 2001 gli analfabeti strumentali erano l’1,5%. Si può ritenere, dunque, che oggi non vi siano più (o quasi) gli analfabeti strumentali e che il vero analfabetismo da combattere sia soltanto quello funzionale? Se la domanda è riferita alla sola popolazione italiana, la risposta è sì, ma se quell’interrogativo viene esteso agli stranieri arrivati negli ultimi anni in Italia la situazione cambia. Non esistono dati certi, ma, secondo stime attendibili, gli adulti stranieri in condizione di analfabetismo strumentale, a causa di mancata scolarizzazione nei loro Paesi di origine, sono non meno di 200 mila, ai quali sono da aggiungere altre migliaia di individui stranieri semianalfabeti, senza considerare coloro che possiedono soltanto una alfabetizzazione orale non integrata dalla capacità strumentale dello scrivere oppure possiedono un alfabeto per ideogrammi (es. cinesi) che costituisce ostacolo alla conoscenza del nostro alfabeto occidentale. Sono soprattutto le donne straniere a trovarsi in questa condizione di analfabetismo.L’alfabetizzazione strumentale, prima ancora di quella funzionale, è condizione essenziale per l’integrazione degli stranieri. Insieme alla prima accoglienza di cui si parla tanto in questi giorni, è necessario attivare in modo concreto anche percorsi di alfabetizzazionestrumentale

 

www.ilcorrieredellasera.it – 08 ottobre 2013

Il registro di classe digitale che gli studenti possono violare

░ L’universo digitale: pensato dagli adulti è una cosa; pensato dalla web generation è un’altra cosa; potrebbero accorgersene, a proprie spese, i 1300 istituti che hanno attivato il registro digitale.

Il registro elettronico, introdotto dal governo Monti, è entrato da questo settembre a far parte della vita delle scuole italiane. Ma forse la novità, che peraltro dovrebbe riguardare solo alcuni istituti, dovrà aspettare ancora un po’ prima di diventare operativa. E diffondersi in modo corretto. L’allarme è arrivato al Corriere da parte di un esperto informatico che, semplicemente, ha voluto dare un’occhiata al nuovo strumento «portato» a casa dalla moglie, insegnante di una scuola mediaLa professoressa e il marito, impiegato nella sicurezza informatica di una banca (entrambi preferiscono rimanere anonimi), si sono messi una sera a studiare la novità. Ossia il funzionamento di SissiWeb, uno dei programmi acquistabili dalle scuole (se ne sono dotati circa 1.300 istituti) per mettere i professori in condizione di gestire con il pcla programmazione e le attività didattiche. L’occhio esperto è caduto subito sulla sicurezza del sistema. «Nella descrizione è paragonata a quella di una banca», afferma l’informatico. «E invece non è così: le credenziali che il professore utilizza per accedere al registro elettronico viaggiano in chiaro in Rete». Questo significa semplicemente che nel momento del login — l’inserimento di username e password — le informazioni non sono protette da alcun sistema di criptaggioLa «falla» si può facilmente chiudere tramite, come detto, un protocollo di sicurezza. Una certificazione Verisign, per esempio, quella usata da molti istituti bancari e che è quella in mano alla Axios, l’azienda che sviluppa il programma SissiWeb. Ma perché vada in funzionedev’essere resa operativa sui server che gestiscono l’applicazione del registro elettronico. Cosa che ancora non è statafatta.

 

ItaliaOggi – 08 ottobre 2013

Mobilità, precedenze da rifare

░ E’ in corso al MIUR la trattativa ministero-sindacati, per adeguare le deroghe a quanto prevede la legge.

La riforma Brunetta mette a rischio il sistema delle precedenze nei trasferimenti. Si tratta delle agevolazioni contenute nell'articolo 7 del contratto sui trasferimentiDopo l'entrata in vigore della legge 15/2009 e del regolamento di attuazione, meglio noto come decreto Brunetta (decreto legislativo 150/2009), la contrattazione collettiva non può più derogare le norme di legge. E dunque le precedenze previste dal contratto, ma che non sono supportate da disposizioni di legge, sono da considerarsi inesistenti. Le precedenze, infatti, altro non sono se non deroghe alla disciplina legale, che pone il principio del merito alla base di qualsiasi procedura che preveda l'attribuzione di punteggi finalizzati alla fruizione di diritti. …… Riemerge, quindi, l'intero istituto della mobilità contenuto nella sezione III del decreto legislativo 297/94 (articolo 460 e seguente). Che non prevede espressamente alcuna tipologia di precedenza nei trasferimenti. Salvo qualche generico rinvio alle leggi che le prevedono. Detto questo, nell'articolo 7 del contratto le precedenze a prova di ricorso sono soltanto alcune. La prima è quella destinata ai non vedenti e agli emodializzati. Perché tale precedenza è espressamente prevista in favore dei non vedenti dall'art. 3 della legge 120/1991. E per gli emodializzati dall'art.61 della legge 270/82. Quest'ultima disposizione di legge, però, dispone che tale precedenza si applichi anche «agli insegnanti non autosufficienti o con protesi agli arti inferiori». Di quest'ultima previsione non si fa menzione nel contratto. E qui dovrebbe scattare la prima «trasfusione legislativa». Che dovrebbe consistere nell'introduzione automatica di questa disposizione nel contratto. Resta in piedi anche la precedenza prevista per i portatori di handicap con invalidità superiore ai 2/3 (compresa quella per i portatori di handicap grave e di cui all'art. 33, comma 6, della legge 104/92). Idem per la precedenza che viene attribuita a chi assiste il familiare portatore di handicap grave in qualità di referente unico. Anche se, in quest'ultimo caso, il contratto necessiterebbe di una integrazione. L'articolo 33 della legge 104/92, infatti, dispone che la precedenza spetta al coniuge e al parente o all'affine fino al secondo grado. E se il coniuge o il genitore non c'è più, è invalido o ultra65enne, il diritto è esteso anche ai parenti o affini di terzo grado. Il contratto, invece, restringe il novero degli aventi diritto solo al coniuge e al genitore oppure, se il genitore è totalmente inabile, al fratello o alla sorella del disabile grave. A patto che siano conviventi con l'assistito o che gli eventuali altri fratelli co-obbligati risultino oggettivamente impossibilitati. … E poi c'è la precedenza per i coniugi di miliari trasferiti d'autorità. Che pure è prevista da più leggi, anche se tra queste non c'è più la legge 100/87, di cui si fa menzione nel contratto. Legge ormai abrogata dall'art.2268 del decreto legislativo 66/2010, con effetti a far data dal 9 febbraio scorso. Infine, resta in piedi la precedenza prevista per gli amministratori locali, essendo prevista dalla legge 265/199 e dal testo unico degli enti locali. Fin qui le precedenze a prova di ricorso. Quelle che invece dovrebbero cessare sono essenzialmente tre. La prima è quella che viene attribuita ai trasferiti d'ufficio che chiedano in via prioritaria di ritornare nella sede di precedente titolarità (art.7, c.1,par.II del contratto). La seconda è quella dei trasferiti d'ufficio che chiedono il rientro nel comune. E infine, la terza, è quella prevista per i sindacalisti che rientrano in servizio dopo l'aspettativa. Ma il condizionale è d'obbligo, perché il contratto, così com'è, è stato già applicato ai movimenti che sono ormai a regime dal 1° settembre scorso.

 

www.ilcorrieredellasera.it – 10 ottobre 2013

Così sprechiamo il talento: 12 timbri per un tirocinio. Con leggi semplici e sindacati aperti i tedeschi sono produttivi

░ I risultati dell’indagine Ocse sulla «competenza fondamentale» della popolazione adulta sono impietosi: studiamo e lavoriamo male

Sgobbiamo più dei tedeschi, ma combiniamo di meno. In media noi lavoriamo 1.750 ore l’anno, loro soltanto 1.413; ma la produttività oraria, in Germania, è cresciuta del 15 cento dal 2000, mentre la nostra è rimasta uguale. Studiamo quanto i francesi, ma loro imparano meglio. Il 44 per cento degli italiani non ha un diploma di scuola secondaria superiore, contro il 28 della Francia, il 24 del Regno Unito e il 13 della solita GermaniaIl nuovo anno scolastico è iniziato con centinaia di istituti senza dirigenti: dei 2.386 posti messi a concorso dal Ministero, ad oggi sono stati assunti solo 1.402 presidi. Quasi mille scuole hanno iniziato l’anno scolastico senza capo d’istituto; altre 600 sono state affidate a reggenze. Come si studierà, in quelle condizioni? E se ci spostiamo all’università, siamo sicuri che vicende come quelle indagate dalla procura di Bari siano isolate? Un concorso accademico poco trasparente ha conseguenze sull’efficienza e sullo spirito del corpo docente. 

 

www.latecnicadellascuola.it – 10 ottobre 2013

Docenti pagato poco perché lavorano poco

░ E' la posizione che Andrea Ichino ribadisce in un ampio articolo pubblicato oggi sul Corriere della Sera. E fino a quando non avremo, tra i decisori politici, gente con esperienza di insegnamento, il lavoro degli insegnanti continuerà a non essere conosciuto e apprezzato.

Secondo un’analisi di Andrea Ichino, economista delle risorse umane, sul capitolo di spesa riservato all’istruzione, non è che si investano poco risorse finanziarie, come invece ci viene fatto credere, ma, piuttosto, ciò che viene investito è speso male. Questo è lo stesso pensiero politico già sostenuto, durante l’ultima campagna elettorale, dall’ex ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini e dal responsabile scuola del Pdl Elena Centemero i problemi del sistema scolastico italiano non devono essere messi in relazione alla carenza degli investimenti finanziari, ma invece deve essere fatta una seria riflessione sulla cattiva gestione dei fondi assegnati alle scuole.  In buona sostanza lo Stato italiano sperpera risorse finanziarie, disperdendo i soldi in mille rivoli senza raggiungere risultati adeguati. In altre parole la spesa pro capite per ogni studente italiano è sui livelli medi europei, ma evidentemente si spende male e non si ottengono risultati. Secondo Ichino bisogna invertire la rotta, uscire in fretta dallo stereotipo del docente di oggi, che è pagato poco perché lavora poco. Bisogna uscire dalla logica del docente, precario per una vita, che è progredito in carriera, raggiungendo un contratto a tempo indeterminato senza alcun merito, ma semplicemente per l’anzianità di servizio e attraverso le graduatorie ad esaurimento.  Bisogna attrarre verso l’insegnamento i laureati migliori e non quelli che ripiegano sulla professione docente, perché non hanno trovato altro lavoro Bisogna che il docente svolga una professione a tempo pieno e che quindi lavori di più, per più ore settimanali, in quanto i docenti italiani svolgono meno ore di servizio rispetto alla media Ocse. Queste sono le idee, che non sono soltanto il punto di vista isolato di Andrea Ichino, ma che invece stanno assumendo una certa consistenza numerica anche all’interno parlamento. Questa idea del docente italiano che lavora meno ore della media Ocse, in tempi di legge di stabilità, fa temere, in un contesto di studio del sistema di progressione della carriera, un ritorno all’aumento delle ore di servizio settimanali dei docenti delle scuole secondarie.