Rassegna stampa

Recensioni dalla Stampa al 18 gennaio 2014

 l’Unità - 11/01/2014
“Lo scatto d’orgoglio dei docenti”
░ Parole sante, queste di Mila Spicola, su l’Unità.
Il tema del Blocco degli Stipendi non vale solo per gli insegnanti o per la scuola. Per me vale per tutti gli stipendi bloccati sotto 2mila euro. Non è una recriminazione di categoria, ma un tema del nostro Paese.
Forze dell’ordine, infermieri, ricercatori, etc… E li abbiamo bloccati dal 2009, in un momento tragico per la storia del Paese. Il tema dicevo non è di categoria. La proletarizzazione del ceto medio sta bloccando la bilancia commerciale interna del Paese, non solo di beni ma anche di servizi. E’ inutile agire con leggi sul credito alle imprese o su riforme contrattuali generali se poi il ceto più numeroso del Paese non ha potere di spesa ma solo di debito. … Il tema è generale e riguarda l’affamamento progressivo della classe media a fronte dell’arricchimento progressivo, della classe benestante del Paese, che concentra e trattiene ricchezza e non la diffonde in spesa corrente di beni e servizi, anche con atti e regole decise dallo Stato. La classe media, il corpaccione lavorante, le colonne portanti dello stato sociale e del welfare, statalmente parlando, è costituita da Scuola, Forze dell’Ordine, Sanità (escludo i medici oltre certe posizioni) e pensionati. Oggi come oggi reggono il Paese. Perché campano se stessi e quel 42% di giovani disoccupati, oltre che mandare avanti in modi perigliosi le famiglie. Non solo: costituiscono il grosso della bilancia commerciale interna di beni e servizi. Non sono cioè la spesa dello Stato, sono lo scheletro dello Stato medesimo e tale scheletro in questo momento è in osteoporosi galoppante. Mi chiedo se non sia possibile bloccare i mille privilegi prima di intaccare l’essenziale delle persone che non serve solo a loro ma anche al paese. Domanda retorica lo so. Ma in Italia lo è diventata visto che non lo si fa. Il Paese è in mano a lobby conservative fondate sul paternalismo amorale che ha ammorbato e ammorba ogni cosa: politiche, amministrative, economiche e burocratiche. Ma lo stanno distruggendo a furia di cavilli. Il nostro piccolissimo caso degli scatti richiesti indietro è solo un piccolissimo esempio, ma possiamo aggiungere gli esodati, la quota 96, le ferie dei precari,..cavilli amministrativi che distruggono vite, mentre la politica è assente, incapace e muta. Incapace di smuovere e scuotere e affrancarsi da quelle lobby che ne assicurano la mutua sopravvivenza. E allora ogni privilegio ha la controparte di un diritto offeso … In media nella PA c’è un dirigente ogni sei impiegati (!!!), che dirige spesso se stesso e si autodefinisce da solo i premi di produttività. Sono somme che vanno da mille euro a 60mila euro l’anno. Non sono diritti acquisiti, non sono valutati da nessuno e alcuni se li determinano in modo balordo da soli, ad esempio dal numero delle mail lette. … Sacrifichiamoci tutti, noi “poveri” abbiamo già pagato. La Scuola: 4 miliardi sotto Prodi, 8 miliardi sotto Tremonti, e 3 miliardi come scie chimiche nei tre anni successivi al 2010….Vorrei che la logica impazzita, incomprensibile, messa in campo solo e soltanto per giustificare privilegi di lobby che ormai bloccano un Paese intero e si mangeranno alla fine anche se stesse finito di mangiare noi, tornasse ad essere una logica semplice e cristallina. Uno Stato virtuoso non ammette privilegi insostenibili e corrotti pagati da chi non li può pagare tra l’altro. E scusate se mi ostino a mettere virtù e conoscenza prima dell’economia. Perchè alla fine virtù e conoscenza hanno una logica che garantisce anche l’economia, non viceversa. L’economia da sola è più dannosa di un bambino con in mano un coltello affilatissimo…. Non abbiamo vinto la guerra con questa storia degli scatti…. Ma non potevamo accettare un gravissimo precedente: ammettere il gesto di uno Stato, il nostro Stato, per cui noi lavoriamo, che togliesse ai suoi lavoratori parte di un salario già pagato.
www.tempi.it - 12/01/2014
“Liberare la scuola”
░ Andrea Ichino espone la sua visione della scuola, qual è delineata in un libro dal titolo inequivocabile “Liberare la Scuola”.
D. Professore, per dirla con il titolo del suo libro, è venuto il momento di “liberare la scuola”. Ci può delineare in sintesi in cosa consiste la sua proposta di “liberazione” del nostro sistema di istruzione attraverso le “free school”, scuole completamente autonome nella gestione dell’istruzione, ma pagate interamente dallo Stato?
La nostra proposta integra l’esperienza delle Charter schools in America e delle Grant Maintained schools nel Regno Unito … Come nelle Charter schools, presidi, genitori, docenti o enti esterni potranno formare comitati che si candidano a gestire una scuola. Non sarà però l’autorità statale a contrattare il programma, che sarà invece sottoposto all’approvazione di elettori definiti in rapporto al bacino di utenza della scuola. In caso di approvazione, a maggioranza degli aventi diritto, il comitato gestirà la scuola in totale autonomia per quel che riguarda il personale (in particolare assunzioni, retribuzioni ed eventuali licenziamenti degli insegnanti), le attrezzature e il disegno dell’offerta formativa. L’autonomia avrà però un controllo. Gli studenti delle nuove scuole autogestite dovranno superare gli stessi test ed esami che ogni altro studente dovrà affrontare. Ma cambierà il formato della Maturità che sarà strutturata per “singole materie”, invece che per “pacchetti di materie” in modo da porre fine all’anomalia del sistema italiano che non consente agli studenti di modulare gradualmente il loro percorso formativo in funzione degli studi universitari da intraprendere successivamente. Le scuole autogestite non dovranno sottrarre risorse a quelle tradizionali: riceveranno inizialmente un fondo pari al loro costo storico annuo globale. Successivamente, saranno finanziate in proporzione agli studenti che riusciranno ad attrarre. Non potranno chiedere rette di iscrizione, ma potranno raccogliere finanziamenti privati, subordinati a un prelievo a favore di un fondo di solidarietà per le scuole che non possano accedere alle stesse risorse. Poiché a regime saranno gli studenti a finanziare le scuole con le loro scelte, lo Stato dovrà investire nel ruolo fondamentale di valutazione dei diversi istituti e di diffusione capillare delle informazioni che dovranno consentire alle famiglie, anche quelle meno agiate, di scegliere a ragion veduta. Per ridurre il rischio di “scuole ghetto”, da evitare soprattutto ai livelli più bassi di istruzione, gli istituti autogestiti saranno limitati nella libertà di stabilire i criteri di ammissione. La burocrazia ministeriale, troppo rigida e lenta, ha dimostrato di non saper gestire la scuola in un modo soddisfacente per tutti. È giunto il momento di consentire a chi, democraticamente, vuole provare una strada diversa, di poterlo fare.
D. La scuola italiana è in un vicolo cieco. Con quasi un milione di addetti e centinaia di migliaia di precari, le risorse dello Stato non servono neppure a coprire le spese correnti. Quanto durerà questa agonia?
Come ho già detto, le risorse ci sono: vanno solo usate meglio, liberando le energie che la scuola italiana ha e che in questo momento sono bloccate dalle pastoie ministeriali. È necessario anche allontanare dalla scuola quegli insegnanti che non sanno fare bene il loro mestiere e sappiamo tutti che purtroppo non mancano. Già soltanto questa misura, osteggiata dai sindacati che sostengono che i problemi sono altri, libererebbe risorse che potrebbero essere usate meglio. Le buone scuole le fanno innanzitutto i buoni insegnanti. Quindi è su questi che bisogna puntare, togliendo dalle scuole italiane quelli che costituiscono solo un freno, soprattutto a danno degli studenti più poveri, dato che i ricchi una soluzione per ovviare ad un insegnante incapace la trovano sempre. I sindacati devono spiegare perché il diritto al posto di lavoro di un insegnante incapace debba prevalere sul diritto di uno studente, soprattutto se povero, a ricevere un’istruzione adeguata. Nell’esperienza delle Grant Maintained schools inglesi, è stato soprattutto il rinnovamento della classe docente il maggior fattore di successo. Queste scuole libere di gestire le risorse umane, sono state in grado di attrarre insegnanti migliori retribuendoli in modo adeguato.
D. dovrebbero aderire alla sua proposta invece di rassegnarsi ogni anno a rinegoziare sussidi sempre più esigui? Pensi a casi come quelli di Bologna o Milano, dove tra tasse comunali e tagli ai finanziamenti ad asili e scuole paritarie, rischiamo una seria emergenza educativa. E parliamo di due città italiane che hanno i migliori standard europei. I gestori di queste scuole protestano, giustamente. Ma non crede che serviranno a ben poco le proteste se questo mondo scolastico, largamente cattolico, non convergerà non nella difesa delle scuole paritarie, ma nella battaglia per una riforma laica, di sistema, liberale come la sua?
Non credo che la soluzione ai problemi della scuola italiana siano le scuole paritarie o private. La soluzione è far funzionare bene le scuole pubbliche, affidandole a gestori capaci. Lo Stato ha dimostrato di non saper gestire in modo efficiente le scuole e quindi dobbiamo provare ad affidare la loro gestione a soggetti diversi, come illustrato nella nostra proposta. Credo che una concentrazione di pressione politica e sociale per una riforma laica e liberale come quella che ho proposto con Guido Tabellini, sia più efficace della difesa di specifiche scuole paritarie, perché è una proposta che va al cuore del problema della scuola italiana. Nella nostra proposta lo Stato mantiene un ruolo di controllo, regolazione e soprattutto informazione al servizio delle famiglie, perché saranno le famiglie, con le loro scelte, a finanziare le scuole. Ma per poter scegliere a ragione veduta le famiglie dovranno disporre di informazioni ampie e dettagliate su tutte le scuole e sulle storie post-diploma dei loro studenti.

OrizzonteScuolaNews - 13/01/2014
“Personale ATA e riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali: quando e come”
░ Paolo Pizzo spiega quali siano – ai sensi dell’art. 55, comma 1, del CCNL del 29/11/2007 - i criteri che devono coesistere, per il personale ATA, al fine della riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali.
Sono: - l’essere il dipendente adibito a regimi di orario articolato su più turni o l’essere coinvolto in sistemi d’orario comportanti significative oscillazioni degli orari individuali rispetto all’orario ordinari; - l’essere, queste gravosità, svolte nelle istituzioni scolastiche educative, in quelle con annesse aziende agrarie e in quelle scuole strutturate con orario di servizio giornaliero superiore alle 10 ore per almeno 3 giorni a settimana…. Soltanto il personale che si trova in queste due condizioni potrà usufruire della riduzione di orario.
Alla domanda - Che cosa si intende per “orario di servizio giornaliero superiore alle 10 ore per almeno 3 giorni alla settimana”? l’ARAN precisa: L’art. 55 del CCNL 2006/2009 per il personale del comparto scuola esplicita chiaramente le condizioni necessarie per l’applicazione della riduzione di orario settimanale lavorativo a 35 ore. ….
Alla domanda - “in quale sede devono essere definiti il numero, la tipologia, le ore eccedenti l’orario di servizio e quant’altro necessario a individuare il personale ATA che potrà usufruire della predetta riduzione?” l’ARAN risponde: ai sensi del comma 2 del medesimo articolo è nella contrattazione di istituto che viene definito il numero, la tipologia, e quant’altro necessario a individuare il personale ATA che potrà usufruire della predetta riduzione, ed è sempre nello stesso ambito che, ai sensi dell’art. dell’art. 51 (orario di lavoro ATA) del medesimo CCNL, vengono trattate le ore eccedenti l’orario di servizio.

OrizzonteScuolaNews - 14/01/2014
“Libri di testo: il fai-da-te non può essere anarchico”
░ Intervista a Giorgio Palumbo, responsabile del Gruppo Educazione dell’Associazione Italiana Editori. La rivoluzione del 2.0 e il fai-da-te, con gli stessi docenti che diventano autori dei supporti per gli apprendimenti degli allievi, ha messo in crisi gli editori scolastici; ma il ministro Carrozza ha emanato, a settembre, un decreto che rallenta il passaggio al libro interamente digitale.
D. Come mai le case editrici anziché cavalcare la possibilità del cambiamento l’hanno ostacolato?
“… Il ritardo del nostro Paese in questo ambito è da imputare ai mancati investimenti in banda larga, i libri di testo sono l’ultimo anello. Non sono stati gli editori italiani a frenare il cambiamento. Le nostre case editrici hanno ampliato l’offerta digitale con oltre 17000 opere in formato misto e altre 5000 in formato esclusivamente digitale. Nonostante questo la domanda da parte delle scuole è diminuita proprio perché impreparate dal punto di vista infrastrutturale. Il problema non è quindi nell’insufficienza dell’offerta, quanto più nell’incapacità delle istituzioni di governare questo cambiamento epocale come una rivoluzione antropologica, mentre è passata l’idea che il passaggio al digitale sia imposto dalla necessità di un risparmio. Eppure non è dimostrato da nessuna parte che il digitale debba produrre un risparmio… Non è mai stato dimostrato che i tetti possano scendere in maniera significativa col passaggio al digitale. Immaginare un prodotto professionale su supporti interamente virtuali significa utilizzare nuovi strumenti, immagini in movimento, filmati,… e ci sono i diritti d’autore”.
D. Questa è l’era di you tube: il fai-da-te propone un prodotto meno accattivante dal punto di vista estetico, ma se rispetta le indicazioni nazionali e aiuta a garantire livelli di istruzione standard, perché no?
“Noi non siamo a priori contro il fai-da-te, è giusto che si possa scegliere tra un prodotto professionale e uno più ”artigianale”. Saranno i collegi dei docenti a optare per l’uno o l’altro. Certo dobbiamo rilevare che in questo momento di passaggio non stiamo concorrendo ad armi pari: mentre una casa editrice è costretta a presentare un intero piano editoriale di un libro di testo a un docente perché possa valutarne l’adozione, sopportando anche il rischio che questa non avvenga, il fai-da-te può presentarsi con solo il 30% dei contenuti sviluppati. Le tradizionali offerte editoriali, poi, si confrontano apertamente su un libero mercato. Lo stesso non può invece affermarsi per le cosiddette autoproduzioni che, fino adesso, sono sfuggite alle regole del mercato adozionale e sono contrassegnate da una assoluta mancanza di trasparenza. Inoltre, al ministero hanno fatto bene i calcoli su chi dovrà sopportare i costi per la produzione dei libri? Quali voci verranno rendicontate? Come si individueranno i docenti autori e validatori dei contenuti?”….

www.ilsussidiario.net - 16/01/2014
“All’INVALSI farebbe bene una moratoria”
░ Riflessioni di Vincenzo Pascuzzi, largamente condivisibili.
Dall’8 gennaio è calato un silenzio relativo sull’Invalsi. Il comitato presieduto da Tullio De Mauro ha iniziato a vagliare i c.v. e le proposte programmatiche e operative dei candidati alla presidenza dell’Istituto di Villa Faconieri a Frascati. Nulla trapela, giustissimamente. Non si conoscono i nominativi degli aspiranti e nemmeno quanti sono. Forse sapremo i nomi e i loro programmi più in là, a cose fatte, a concorso terminato. … Permane una relativa quiete riguardo all’Invalsi, mentre il comitato valutatore è – per così dire – riunito come in una camera di consiglio. Allora il ministro Carrozza potrebbe procedere a qualche iniziativa politica quale, ad esempio, quella di una moratoria (un “time out”) dei test Invalsi almeno all’esame di 3ª media, dove essi contribuiscono impropriamente a determinare il voto finale. Una simile iniziativa risulterebbe molto opportuna e contribuirebbe a rasserenare il clima, a calmare le acque. Per di più a costo zero! Infatti, in tal senso risultano posizioni e richieste concorrenti e simili sia da chi sostiene l’Invalsi attuale sia di chi si aspetta un cambiamento. Recentemente, Giancarlo Cerini scriveva: “appare forzato inserire una prova standardizzata all'interno di un esame (questo avviene attualmente per la terza media), perché cambia la destinazione d'uso di una prova, che da indizio di conoscenza assume invece un suo peso nella valutazione "legale" di fine ciclo di un singolo allievo”. Anche Stefano Stefanel: “Ci sono passaggi da rivedere (come il test nell’esame conclusivo del primo ciclo che assurdamente fa media con gli altri voti, ma dentro un esame che è tutto da buttare con cinque prove scritte e un orale e nessun bocciato, giusto per perdere tutti insieme un sacco di tempo), che nessuno vuole nascondere e una certa autoreferenzialità dell’Invalsi che deve essere modificata.” Similmente Giorgio Israel, nel 2011: “considero - e ritengo che tanti la pensino allo stesso modo - che l’introduzione del “teaching to the test” nella scuola sia un autentico scandalo, un fatto di estrema gravità. E il punto è questo - se ne rendano bene conto all’Invalsi -: il fatto che le prove Invalsi facciano media nella valutazione dell’esame di terza media rende inevitabile l’addestramento a superarli.”… I Cobas hanno già programmato scioperi per i giorni 6, 7, 13 maggio 2014. Ci pensi, valuti e provi a farlo un “time out” ai test in 3ª media, ministro Carrozza.

l’Unità - 18/01/2014
“Scuola, l'eclissi dei progetti”
░ Quale, il profilo culturale che si vorrebbe fosse generalmente posseduto dalla popolazione; quali, le soluzioni educative che potrebbero consentire il conseguimento di tale intento. Di Benedetto Vertecchi.
Nello sviluppo storico dell’educazione occidentale, l’indicazione di traguardi ha anticipato l’assunzione di determinate caratteristiche dell’organizzazione educativa e delle pratiche didattiche. Ciò non significa che fossero enunciati principi, e tantomeno regole, uniformemente seguiti, né che vi fosse da parte degli educatori la medesima consapevolezza degli effetti che sarebbero potuti derivare dalla loro attività, ma che all’educazione si riconosceva una funzione di concausa nei processi di trasformazione sociale. Il grande sviluppo dell’educazione scolastica che ha consentito negli ultimi secoli di assicurare crescenti opportunità d’istruzione per i bambini e i ragazzi, considerato dal punto di vista che prima s’indicava, quello dell’elaborazione di un profilo culturale diffuso, appare come la realizzazione di scenari delineati nelle grandi utopie che hanno rappresentato una parte importante del pensiero europeo dalla metà del secondo millennio. Attraverso l’utopia ci si poteva riferire a una realtà costruita per negazione di quella che costituiva la comune esperienza… Ciò che interessa rilevare riflettendo sull’anomalia del confronto educativo in corso è che mentre negli scenari utopistici determinate caratteristiche della popolazione erano considerate necessarie per la coerenza dell’insieme della proposta di assetto sociale, da qualche tempo si tende ad affermare il contrario, e cioè che gli indirizzi dell’attività educativa devono essere congruenti a scelte che sono già operanti nei diversi contesti sociali,in particolar modo nelle attività produttive. Risulta evidente che è cambiata sostanzialmente la concezione del tempo: mentre il grande sviluppo dell’educazione formale è da considerarsi l’effetto di progetti per il lungo periodo, da qualche tempo sembra essere stato abbandonato l’intento progettuale, e sostituito da una nozione funzionalista dell’offerta di apprendimento. In altre parole, le scelte educative non sono più coerenti con un disegno a lungo termine volto a definire il profilo della popolazione, ma rispondono alle esigenze di breve periodo che si manifestano nel sistema produttivo. Le concezioni educative elaborate nell’ambito dell’utopia classica hanno anticipato il corso di eventi che si sarebbero osservati nei secoli successivi, mentre nelle condizioni attuali si vorrebbe realizzare un’improbabile concomitanza tra le richieste del mercato del lavoro e l’offerta di apprendimento del sistema d’istruzione formale. La rinuncia a interpretare l’educazione secondo una logica autonoma non è l’ultima ragione della crisi che, in varia misura, ha investito i sistemi scolastici dei Paesi industrializzati. Anche quando i dati derivanti da rilevazioni comparative sembrano segnalare l’esistenza di condizioni migliori, ci si dovrebbe chiedere se a posizioni più favorevoli in graduatoria corrispondano risultati educativi capaci di configurare un profilo innovativo di cultura della popolazione, o se i livelli più elevati siano da porre in relazione solo a migliori condizioni organizzative e ad apparati ideologici più coinvolgenti. Non sarebbe inutile chiedersi, per esempio, quanta parte abbiano avuto le condizioni organizzative e la pressione ideologica nel consentire ai sistemi scolastici di alcuni Paesi dell’estremo oriente di scalare le posizioni più elevate nelle graduatorie dell’ultima indagine Ocse-Pisa. … In Italia … sembra che nessuno si preoccupi di capire che cosa stia accadendo nelle scuole, quali siano le difficoltà che gli insegnanti incontrano nel loro lavoro quotidiano, di che cosa ci sia realmente bisogno in un disegno di lungo termine, che cosa di culturalmente significativo bambini e ragazzi dovrebbero saper fare non solo al momento, ma nella lunga prospettiva di vita che li attende.