www.corrieredellasera.it - 02/02/2014
“Gli esami cominciano a quattro anni La scuola inglese accorcia l’infanzia”
░ I test già all’asilo ? Gli oppositori sostengono che sono prove stressanti e poco efficaci per verificare l’intelligenza emotiva.
Si annunciano tempi duri per gli scolaretti inglesi: dal 2016 la somministrazione di test per misurare il loro livello di sviluppo cognitivo sarà infatti anticipata dagli attuali sette ai quattro anni di età. I risultati iniziali saranno poi confrontati, tramite prove nazionali, con quelli ottenuti a 11 anni, al termine della scuola di base. L’intento è di valutare obiettivamente i progressi conseguiti, in modo che i genitori siano informati sulla situazione scolastica dei figli e gli insegnanti siano messi in grado di conoscere, confrontare e analizzare gli obiettivi raggiunti. Il progetto, come si può immaginare, ha suscitato perplessità e critiche…. La prima, più evidente obiezione riguarda il fatto che i più piccoli, appena giunti a scuola, rischiano di non aderire emotivamente a richieste estranee al contesto familiare. Vi è inoltre il pericolo di indurre tensioni e stress, tanto negli alunni quanto nei genitori, in una fase iniziale dell’esperienza scolastica, che dovrebbe essere improntata al massimo di serenità e collaborazione. Inoltre, iscrivere bambini di 4 anni in una graduatoria significa fissarli in un determinato livello evolutivo quando la fluidità dell’infanzia consente, in poche settimane, di effettuare imprevisti balzi in avanti. Per quanto riguarda i docenti, coinvolgerli in piani di valutazione proposti da esterni rischia di distoglierli dall’osservazione del singolo alunno e dalla valorizzazione delle sue potenzialità. È vero che si consente loro di scegliere tra diverse batterie di test a seconda dei metodi didattici adottati e persino, col consenso dei dirigenti scolastici, di sottrarsi al programma, ma le conseguenze possono essere pesanti in termini di carriera e di finanziamenti alla scuola… Viviamo in un’epoca caratterizzata dalla crisi del lavoro tradizionale, basato sulle abilità tecniche, e dalla ricerca di talenti innovativi e creativi, difficilmente identificabili con prove obiettive e quantitative. Ciò non comporta la svalorizzazione delle competenze, quanto l’opportunità di cogliere e sviluppare la pluralità delle intelligenze, dove l’accentuazione non è sulla quantità ma sulla qualità delle capacità e delle inclinazioni. È del 1995 il libro L’intelligenza emotiva con cui lo psicologo Daniel Goleman rivoluziona le tradizionali valutazioni del Quoziente intellettuale (Qi) mostrando come le prestazioni intellettuali siano inscindibili dalle motivazioni, dalla conoscenza di sé, dall’empatia, dall’attenzione, dalla pervicacia, dalla capacità d’interagire e collaborare con gli altri. Condizioni quasi del tutto assenti nella somministrazione di test quantitativi, astratti e anaffettivi, quanto mai lontani dalla ricchezza della vita e dalla singolarità degli individui. Test che, nella loro apparente neutralità, nascondono lo svantaggio ambientale, sociale e culturale, che determina più di ogni altro condizionamento l’insuccesso scolastico prima e lavorativo poi.
ItaliaOggi - 04/02/2014
“Studenti meritevoli senza risorse”
░ La Corte dei conti boccia il Miur e il ministero dell'economia sui soldi per gli universitari
Poca chiarezza per il futuro, un groviglio di norme contraddittorie, carenza di finanziamenti, mancanza di progettualità. È netto e duro il giudizio della Corte dei conti su come (e se) si spende in Italia per il sostegno agli universitari meritevoli ma privi di mezzi. Con una delibera di fine dicembre, resa nota nei giorni scorsi, i magistrati contabili hanno indagato sul Fondo per il sostegno della formazione universitaria e sulla Fondazione per il merito, istituiti nel 2010 dalla riforma Gelmini. Ne emerge un quadro scoraggiante: lastricata di ottime intenzioni, la strada dell'investimento di risorse per il sostegno ai meritevoli in tre anni non ha portato da nessuna parte…. Stanziati i venti milioni iniziali, mai spesi, il fondo per il merito non è decollato, mentre la fondazione semplicemente non esiste. Non un euro è finito in questo triennio nelle tasche degli studenti meritevoli. Mario Monti, in veste di ministro dell'economia, cassò il decreto istitutivo della fondazione, mentre il «decreto del fare» del governo Letta ha dirottato le risorse del fondo verso le borse di studio per gli studenti fuorisede. Due decisioni che hanno obliterato il progetto Gelmini senza elaborarne uno alternativo. Da qui le bacchettate della corte che ha trasmesso l'indagine alle camere chiedendo provvedimenti legislativi a breve. Per i giudici si deve agire in fretta su un ambito fondamentale e delicato come quello del diritto allo studio, sancito solennemente dall'articolo 34 della Costituzione e nel quale regnano ancora la poca chiarezza e l'insufficienza o la cattiva gestione dei fondi. L'indagine evidenzia infatti che troppo spesso «all'incertezza del quadro normativo si aggiunge le riserva che riguarda le risorse finanziarie disponibili, convogliate verso un programma o un altro, senza un piano sistematico e organizzato di sostegno e attuazione del diritto allo studio. Un'accusa in piena regola di improvvisazione e mancanza di visione, trasversale agli ultimi due o tre esecutivi e legislature. Qualcuno agirà per porvi rimedio? Visti i precedenti lo scetticismo sembra d'obbligo.
www.corrieredellasera.it - 05/02/2014
“La scuola che rifiuta di usare i tablet”
░ I genitori dei piccoli alunni di una scuola romana sono preoccupati dei possibili effetti della digitalizzazione didattica spinta, e ne discutono i pro e i contra.
Hanno avuto paura che quei tablet si trasformassero in «armi di distrazione di massa». Che le novità digitali potessero avere «conseguenze negative su attenzione e memoria, sui processi emotivi e la socializzazione». Così, alla proposta di trasformarsi in «Cl@sse 2.0» — tutta tablet e tecnologia — la IB dell’elementare Iqbal Masih di Roma ha detto no. «No» per le modalità («una decisione comunicata a inizio anno, senza che i genitori venissero consultati», spiega Mauro Giordani, un papà che guida il gruppo di «dissidenti» tecnologici). Ma no, soprattutto, «per un progetto i cui effetti non sono noti né a noi, né alle insegnanti, né al ministero proponente». Troppa didattica digitale, sostituzione dei libri di testo con i tablet, sono convinti i genitori, può essere dannosa. Per approfondire l’argomento, hanno organizzato un dibattito aperto, mettendo a confronto tecnoentusiasti e dubbiosi. Protagonista dell’incontro, il filosofo Roberto Casati, autore del libro «Contro il colonialismo digitale», che ha appoggiato le tesi dei genitori della classe romana, illustrando e motivando il proprio pensiero con la necessità di «esercitare un sano principio di precauzione». «Non è ancora chiaro — ha sostenuto — il contributo pedagogico che le nuove tecnologie possono dare». Ha citato ricerche di Marco Gui, dell’Università di Milano Bicocca, basate su un’analisi dei risultati Ocse-Pisa 2009: le tecnologia a scuola sono vantaggiose a piccole dosi, ma diventano controproducenti con l’aumentare del tempo dedicato. «Sono molto distraenti e abbassano la soglia dell’attenzione», spiega Casati. Che non vuole essere definito un «luddista» («sono stato tra i primi a usare un tablet», ci tiene a dire), ma è «contro la logica di sostituzione che oggi sembra prevalere».
«Nessuna “abbuffata” digitale», sostiene invece la preside, Stefania Pasqualoni, spiegando che il progetto prevedeva che solo tre delle 40 ore settimanali fossero dedicate all’uso delle tecnologie. Dopo i genitori dell’elementare romana è stato Benedetto Vertecchi, ordinario di Pedagogia all’Università Roma Tre, a gettare ombre sui possibili rischi di un uso precoce della tecnologia. Perdere la capacità di scrittura manuale, utilizzare solo o prevalentemente la tastiera — sostiene — può avere risvolti negativi sulla qualità del pensiero». E per sperimentare i benefici di un esercizio costante della scrittura a mano, ha coinvolto 350 bambini di due elementari della capitale nel progetto Nulla dies sine linea (neanche un giorno senza tracciare una linea). Mentre lo psicologo tedesco Manfred Spitzer, autore di «Demenza digitale» (Il Corbaccio) sostiene che l’uso della tecnologia abbia effetti negativi sull’ippocampo, portando alla perdita della memoria, alla riduzione delle capacità spazio-temporali e, alla lunga, a maggiori probabilità di sviluppare l’Alzheimer. Ma insieme agli «apocalittici», crescono anche gli «integrati»: scuole all’avanguardia, come il liceo Lussana di Bergamo o l’istituto Frejus di Bardonecchia, felici esempi di sperimentazioni «Total tablet». Diventa così sempre meno chiaro se il nostro Paese creda o meno alla possibilità che i ragazzi possano studiare efficacemente attraverso un tablet, uno smartphone o un pc. Sul fronte delle dotazioni, l’ennesima tecno bocciatura è arrivata dall’Eurispes, che nel rapporto «Italia 2013» tira le somme: per introdurre tecnologie digitali nelle classi della Penisola sono stati spesi 30 milioni di euro, 5 euro a studente. Di questo passo, ci vorranno quindici anni per metterci alla pari con Paesi come la Gran Bretagna, che ha l’80% di classi dotate di strumenti didattici informatici. I ricercatori hanno anche fatto l’inventario: 70mila le lavagne interattive (le Lim) a disposizione degli studenti in 1.200 classi (la domanda è dieci volte superiore), 416 le «Cl@ssi 2.0» sul territorio. Una penuria di dotazioni già sottolineata in precedenza dall’Ocse: alle elementari, sei computer ogni 100 scolari, contro una media europea di 16. E appena il 6% di Scuole 2.0, a fronte di una media Ue del 37%, al di sotto anche di Spagna e Portogallo. Mentre nella Penisola si investono solo 15 milioni di euro per la connettività, intanto, il Regno Unito impiega 40 milioni di sterline per dotare tutti gli istituti di banda larga; e la scuola americana corre e sogna in grande: wi fi e banda larga in tutte le scuole entro 5 anni, ha assicurato Barack Obama. Forte dell’appoggio delle grandi aziende del settore, da Apple a At&T, da Microsoft a Verizon, che daranno il loro contributo a un progetto di 750 milioni di dollari.
www.larepubblica.it - 06/02/2014
“Le selezioni approfondite dei Professori (in 27 Secondi)”
░ Abilitazione e chiamata in cattedra: neanche la nuova procedura funziona. Dal tradizionale familismo all’attuale pressapochismo, continua il declino degli atenei. Di Gian Antonio Stella.
Luigi Cobellis è insieme un somaro e un genio. Così l’ha valutato la commissione di abilitazione universitaria. Che l’ha trombato (troppo scarso) come «associato» ma promosso (con lode) come ordinario di ostetricia e ginecologia. Un prodigio prodigioso. Pari alla rapidità supersonica di altri commissari, capaci di stilare 323 giudizi «ampi e approfonditi» in 27 secondi l’uno. …II sistema di valutazione nazionale era nato per limitare i casi di familismo. E l’allora ministro Gelmini, tentando di uscire dal pantano di concorsi troppo spesso viziati dal familismo, decise di mettere un filtro iniziale. Un mega concorso che selezionasse i docenti ricavandone due elenchi. Uno per la I fascia (ordinari) e uno per la II fascia (associati). Dopo di che, gli atenei avrebbero potuto prendere i professori solo da quegli elenchi già passati al setaccio, limitando la possibilità che un rettore o un preside potessero tirar dentro un figlio, una moglie, un cugino dalla preparazione scadente. Che i conti fossero sbagliati (e certi bandi che stanno uscendo sembrano mostrare che poco è cambiato) si è capito subito. …. Troppi concorrenti, troppi lavori da leggere, troppo pochi i commissari. Proprio al Corriere Marco Santagata, presidente della cinquina selezionatrice di Letteratura italiana, spiegò che in teoria avrebbe dovuto leggere «1.610 pagine al giorno». Sabati, domeniche, Pasqua e Ferragosto inclusi…. Nata storta, nonostante gli obiettivi giusti e le intenzioni generose, l’Abilitazione scientifica nazionale è andata così a impantanarsi in una fanghiglia di ricorsi al Tar che minacciano di moltiplicarsi via via che escono storie paradossali. Come quelle raccontate sul sito Roars dove, ad esempio, il professore veronese Guido Avezzù, in un articolo titolato «Mission impossible», ironizza sulla tenuta dei commissari di Storia contemporanea … Fatti i conti, «la commissione dedica mediamente 2 minuti e 10 secondi all’“ampia” discussione di ognuno dei 425 candidati» della seconda fascia e ben «4 minuti e 55 secondi» alla scelta di ciascun ordinario. Ma dai! «Scartata a priori l’ipotesi che qualcuno abbia potuto valutare “curricula, profili e produzione scientifica” senza nemmeno averli esaminati, si potrebbe ricevere l’impressione che tutto si regga perché nelle varie riunioni in cui si è discusso dei candidati la commissione si è costantemente avvalsa “del lavoro istruttorio condotto dai singoli commissari”. (…) Per divertirci un po’, immaginiamo l’“ampia discussione del curriculum, del profilo e della produzione scientifica del candidato XY alla II fascia”: la commissione dispone di 2 minuti e 12 secondi; ognuno dei 5 singoli commissari esprime in estrema sintesi il risultato della sua istruttoria — gli sono assegnati 26 secondi e mezzo…». Il caso del ricercatore «C», non è meno sconcertante: come hanno potuto bocciarlo, si chiede il professore Gianfranco Scorrano sul blog della Società chimica italiana, se aveva «147 lavori pubblicati tutti su ottime riviste» e la valutazione unanime era «eccellente, il massimo tra i 5 livelli di giudizio»? E come hanno potuto giudicarlo se quel candidato trombato «ha un “fattore h” superiore a quello di almeno tre dei commissari» che lo esaminavano? E non si tratta di un caso isolato. Anzi. A proposito di Lingua e letteratura latina, Loriano Zurli dell’Università di Perugia denuncia che ogni commissario, rinunciando ai pasti, al sonno e a ogni altra attività umana, avrebbe dovuto leggere «65 pubblicazioni al giorno» degli aspiranti professori e che uno dei «giudici» era così sprovvisto di titoli che tra «i bocciati per la I fascia (50%) non c’era un solo candidato che avesse meno pubblicazioni di lui “coerenti con il settore”». Bocciature eccellenti, anche di studiosi universalmente stimati. Promozioni sbalorditive, come quelle elencate in un’interrogazione dal senatore Paolo Corsini… Nulla eguaglia, però, la schizofrenia su Cobellis. Primo timbro: asino. «La Commissione all’unanimità non riconosce una posizione del Candidato nel panorama almeno nazionale di ricerca e non ne attesta la maturità scientifica ai fini dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla seconda fascia dei professori universitari». Secondo timbro: fuoriclasse. «La Commissione riconosce una posizione rilevante del Candidato nel panorama nazionale e internazionale di ricerca e ne attesta all’unanimità la piena maturità scientifica ai fini dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima fascia dei professori universitari». Evviva.
www. ScuolaOggi.org - 06/02/2014
“No money, no pas !”
░ Una ipotesi inquietante. Se, nel tempio della cultura, così fosse, come è la spiegazione avanzata da ScuolaOggi.org, ci sarebbe da riflettere sulle qualità umane di che avrebbe scelto sulla base di tale valutazione.
Sono oltre 20mila su 65mila le domande ai PAS per Infanzia e Primaria che le Università hanno lasciate inevase. Sono quasi 4mila in Lombardia e oltre un migliaio a Milano. La causa dello stop imposto dalle Università è abbastanza evidente. Le Università non hanno alcuna convenienza ad attivarli, nonostante gli inviti pressanti del Miur. Contrariamente alle SSIS, chiuse d’autorità dalla Gelmini qualche anno fa, le Università hanno continuato a sfornare lauree con valore abilitante nelle facoltà di Scienze della formazione primaria e dell’Infanzia. Numero chiuso e tasse annue mediamente attorno a 2 - 3mila euro, secondo il reddito e per cinque anni. I PAS di durata annua, possono rendere al massimo duemila euro una tantum per ogni corsista. Da qui la non convenienza per le Università a istituire i PAS . Ai precari dell’Infanzia e Primaria vanno aggiunti i docenti tecnico-pratici, quelli di strumento e tante altre classi di concorso della secondaria per i quali i corsi speciali non partono o per mancanza dell’offerta formativa da parte delle Università o per carenza di domande in ambito regionale . Il numero minimo per attivare un corso è di almeno dieci domande. Se andrà bene, per costoro ci saranno abbinamenti interregionali con evidenti disagi per raggiungere la sede dei corsi per i precari in servizio. Attualmente lo stop riguarda quasi 2/3 delle domande complessive. La Flcgil della Lombardia invita i precari ad un presidio che si terrà il 10 febbraio a Città Studi, dinnanzi al Politecnico per chiedere l’avvio dei corsi bloccati. … Insomma si chiede alla Carrozza un cambio di passo rispetto al passato che, per quanto riguarda la scuola, ancora non c’è stato.
www.larepubblica.it - 07/02/2014
“Il Ministero sa ma non dice”
░ L’ennesimo scandalo ? Secondo Corrado Zunino, la Carrozza conosce da tempo le imprese pantagrueliche di Enrico Saggese presidente dell'Agenzia spaziale italiana. Non siamo così addentro alle segrete cose, quanto può esserlo un giornalista di un potente quotidiano italiano ma possiamo asserire con certezza che tra le qualità dei governanti deve esserci la forza di fronteggiare eventuali delinquenti. Ci auguriamo per Saggese (che nel frattempo ha rimesso l’incarico nelle mani della Ministro), per la Ministro e per tutti noi che Zunino si sbagli.
Il silenzio di Maria Chiara Carrozza è raggelante. Il suo ministero (che al terzo complemento di specificazione dice "della ricerca") conosce da tempo le imprese pantagrueliche di Enrico Saggese, presidente dell'Agenzia spaziale italiana: soldi buttati a valanghe in viaggi di famiglia, congressi con le hostess dalla coscia lunga, portaborse (come il collega di partito Antonio Menè) distaccati alla presidenza del Consiglio e già costati 300 mila euro pubblici senza un motivo. La faraonica sede dell'Eur, per spiegare la vergogna dell'Agenzia spaziale da sei anni guidata da Saggese, è costata sette volte tanto il promesso, è stata inaugurata nel luglio 2013 senza ci fosse alcuna attività all'interno: una piramide di Cheope costruita ai tempi della carestia, per diversi mesi senza vita né lavoro, un manufatto enorme che può garantire ai comodi dipendenti di Saggese 45 metri quadrati a testa…. Il ministro in carica sa bene che quei milioni di euro lanciati dalla finestra e, sostiene l'accusa, rientrati nelle tasche di Saggese sono quotidianamente tolti a una ricerca pubblica boccheggiante, eppure lei, nel giorno in cui ha presentato in Consiglio dei ministri un corposo e ambizioso piano nazionale della ricerca, non ha ritenuto di dire una parola su un suo altissimo dirigente, un doppio presidente, indagato per corruzione e concussione. Corruzione e concussione. Il ministro Carrozza, se mai non avesse letto i giornali, deve aver comunque avvistato sulla scrivania le tre lettere aperte dei dipendenti dell'Agenzia spaziale. Spiegavano tutto, dettagli compresi…. La Procura di Roma sta indagando sui 4 milioni di euro spesi da Saggese per un convegno a Napoli, sul viaggio monstre dell'Agenzia spaziale negli Stati Uniti per far vedere ad amici e parenti del presidente il lancio di un satellite che non è mai decollato, sugli 82 milioni investiti per tirare su (in 14 anni) una sede aziendale immensa. La procura indaga anche su una valanga di nomine, assunzioni e appalti di un'agenzia fuori controllo…
Ufficio Stampa - Roma, 7 febbraio 2014
“Prendo atto della decisione di Enrico Saggese, che ha rimesso il mandato di Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana. Ha compiuto oggi una scelta che consente di tutelare le prerogative dell’Agenzia da possibili ripercussioni, anche in vista degli importanti impegni internazionali del nostro Paese”. Lo ha dichiarato il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza. “Garantisco fin da subito – ha aggiunto il Ministro – il mio impegno per far sì che vengano adottati i provvedimenti necessari per preservare la piena operatività dell’Asi tutelando i lavoratori e il patrimonio di eccellenza nel mondo della ricerca e dell’industria rappresentato dall’A.S.I.”.
www.latecnicadellascuola.it - 08/02/2014
“Sindacati (quasi) uniti contro Carrozza e Saccomanni”
░ I due Ministri del Governo Letta sono riusciti finalmente a mettere d'accordo i sindacati della scuola che ormai sembrano avviarsi verso una azione unitaria a difesa di stipendi sempre più magri per tutti. Ma la stessa Carrozza, a questo punto, potrebbe "saltare". Di Reginaldo Palermo
Si sono impegnati a fondo e, alla fine, ce l’hanno fatta: i ministri Carrozza e Saccomanni sono finalmente riusciti a raggiungere l’obiettivo di mettere d’accordo tutti i sindacati, dalla Cisl allo Snals e fino alla Cgil che sembrava ormai orientata ad andare avanti per la propria strada. L’accordo fra i 5 sindacati che siedono al tavolo delle trattative nazionali si sta realizzando su una questione relativamente limitata ma pur sempre significativa: il taglio del fondo di istituto e la mancata soluzione della questione delle posizioni economiche. Se poi ci mettiamo dentro anche il problema del fondo unico nazionale dei dirigenti scolastici possiamo tranquillamente affermare che l’intesa fra le diverse sigle si estende anche all’ANP. In realtà, per ora, l’accordo fra i sindacati non è del tutto perfezionato perché le iniziative di mobilitazione e di protesta sono ancora frammentate. Per esempio sulle questioni dei dirigenti scolastici c’è uno sciopero Cgil, Cisl,Uil e Snals per il 14 febbraio al quale però non aderisce Anp che aveva già organizzato un affollato sit-in in viale Trastevere a Roma, nel mese di gennaio. In questi giorni Flc-Cgil ha proclamato l’astensione da tutte le attività aggiuntive di docenti e ATA dal 21 febbraio al 22 marzo, mentre tutte le altre sigle hanno diffidato Miur e MEF dal procedere al recupero degli aumenti legati alle posizioni economiche ATA dando avvio alla procedura di conciliazione; e c’è anche l’annuncio che, in caso di mancato accordo, gli ATA si asterranno da ogni attività aggiuntiva. Ma, il mancato accordo è nei fatti perché arrivati ormai alla età di febbraio è impossibile bloccare il recupero degli aumenti già attribuiti. Ma quali potrebbero essere i prossimi sviluppi della vicenda? Difficile prevederlo perché la questione si intreccia con le vicende politiche più generali. Una possibilità è che in occasione dell’ormai quasi certo “rimpasto” di Governo il ministro Carrozza potrebbe essere immolata con l’accusa di non essere riuscita a dialogare con il mondo della scuola. Il problema è che, al momento attuale, risulta difficile pensare ad un ministro dell’istruzione capace di dialogare con docenti, ata, dirigenti scolastici e famiglie al quale però non vengano assegnate risorse finanziarie adeguate. Anzi, quasi certamente il futuro Presidente del Consiglio farà fatica a trovare un nuovo Ministro da mettere al posto di Carrozza che magari, proprio per questo motivo, correrebbe il rischio di rimanere ancora a viale Trastevere ma solo per fare da parafulmine alla incapacità del Governo nel reperire risorse vere da destinare al sistema di istruzione (giorno dopo giorno, i famosi 400 milioni del decreto “La scuola riparte” si stanno infatti rivelando una mezza bufala). Quello che è certo, però, è che fra un mese o due il Ministro dell’Istruzione (chiunque sia) dovrà rispondere a parecchie domande; in mancanza di risposte chiare l’unità di intenti fra le diverse sigle sindacali potrebbe trasformarsi in un’unità di azione.