Il Messaggero - 16/03/2014
"Scoppia la guerra del sapere”
░ Si accende il dibattito sull’impoverimento degli studi letterari e filosofici e, allo stesso tempo, prende corpo l’ipotesi di una campagna antiscientifica. Al volo, Giorgio Israel, su una querelle antica, sulla quale ancora oggi poggia l’opzione tra due modelli di civiltà.
Cresce l’allarme per lo svilimento degli studi filosofici, storici e letterari: alcuni corsi di laurea hanno eliminato filosofia dalle tabelle e cresce la pressione a ridurre la durata dei licei a quattro anni. Roberto Esposito e Dario Antiseri hanno accusato l’“ignoranza attiva” di voler cancellare il pensiero critico dall’istruzione….… Una pessima divulgazione accredita l’idea secondo cui Galileo avrebbe fondato la scienza moderna sull’osservazione empirica. È proprio il contrario: Galileo parte da ipotesi matematiche e le confronta con la realtà costruendo esperimenti, “cimenti”, con cui interroga la natura. Chi confonde il metodo sperimentale con l’empirismo non ha capito nulla della scienza moderna. … I trionfi della fisica hanno dato ossigeno all’ipotesi che “il mondo è matematico”, ma l’estensione del concetto di “mondo” al di là della sfera naturale è stato come scendere nelle sabbie mobili: i modesti risultati conseguiti nel campo dei fenomeni biologici, economici, sociali non hanno certo convalidato l’ipotesi che (tutto) il mondo è matematico. Tuttavia, quell’ipotesi è stata il fondamento della scienza moderna, come ha spiegato il grande storico della scienza Alexandre Koyré: «Una scienza di tipo aristotelico, che parte dal senso comune e si basa sulla percezione sensibile, non ha bisogno di appoggiarsi a una metafisica. Essa vi conduce, non parte da questa. Una scienza di tipo cartesiano, che postula il valore reale del matematismo, che costruisce una fisica geometrica, non può fare a meno di una metafisica. E anzi, non può far altro che cominciare da essa. L’abbiamo dimenticato. La nostra scienza va avanti senza occuparsi molto dei suoi fondamenti. Il suo successo le basta fino al giorno in cui una “crisi” – una “crisi dei principi” - le rivela che le manca qualcosa, cioè capire ciò che fa». È una descrizione tanto chiara che non vi sarebbe nulla da aggiungere circa i rapporti tra scienza e filosofia: l’architrave della scienza moderna è una metafisica ed è illusorio affrontare le crisi senza occuparsi dei fondamenti….. Leggiamo allora il fulminante aforisma di uno scienziato contemporaneo (che ha dato una cosa tanto concreta come la vitamina C), Albert Szent-Gyorgy: «Lo scoprire consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato». Senza il pensiero teorico l’osservazione empirica è cieca. E François Jacob, uno dei padri della biologia molecolare, dopo aver ridicolizzato il concetto di “quoziente intellettivo”, scriveva: «Come se la cosa più importante nella scienza fosse misurare! Come se, nel dialogo tra la teoria e l’esperienza, la parola fosse in primo luogo ai fatti! Una simile credenza è semplicemente falsa. Nel procedere scientifico è sempre la teoria ad avere la prima parola. I dati sperimentali non possono essere acquisiti, non assumono significato, altro che in funzione di questa teoria». …. Una scienza capace di ripensare continuamente i propri fondamenti teorici ha assoluto bisogno di pensiero filosofico. Ha ragione Roberto Esposito quando dice che abolendo la filosofia si abolisce il pensiero critico. Vado oltre: colpendo così il pensiero critico si colpisce la democrazia. Ma garantire alla filosofia uno spazio da riserva indiana non garantisce la sopravvivenza dello spirito critico. Occorre anche difendere la scienza come progetto di conoscenza. Questo è un dovere primario, senza divisioni in zone d’influenza; ed è l’unico modo per difendere una visione umanistica senza cui le nostre società non hanno futuro.
latecnicadellascuola.it - 17/03/2014
"Docenti e Ata; per superare l'emergenza stipendiale non resta che rinnovare il contratto”
░ L’intenzione di aumento di 80-85 euro annunciata da Renzi fa tornare sul proscenio la condizione retributiva del personale scolastico.
La questione stipendiale del personale scolastico continua a tenere banco. Se ne è tornato a parlare negli ultimi giorni. L’occasione sono state le parole del premier, Matteo Renzi, sugli stipendi mensili da 1.500 euro, “con cui si fa fatica a vivere”. Così a quelli della scuola, uno dei comparti a cui il nuovo governo ha detto di tenere in modo particolare, Renzi ha detto di voler applicare, già da maggio, una tassazione ridotta. Facendo innalzare la busta paga di 80-85 euro netti. I sindacati hanno preso la ‘palla al balzo’: hanno ricordato, ad esempio, che quelli italiani sono gli insegnanti tra i meno pagati d'Europa. Con un gap a fine carriera che sfiora i 10mila euro l’anno di media. … Forti pressioni arrivano anche dall’Anief: per il sindacato autonomo, il personale della scuola ha “bisogno di sbloccare il contratto di lavoro e di risorse vere: l’aumento di 80 euro per coloro che ne guadagnano meno di 1.500 al mese, annunciato dal premier Renzi, rappresenta poco più di un ‘obolo’, visto che tra i paesi moderni europei i nostri docenti continuano ad avere lo stipendio più basso dopo la Grecia. Perché mentre si fanno passare questi aumenti come motivo di attenzione per il settore, nel frattempo l’Istat dice che l’ultimo indice generale delle retribuzioni contrattuali orarie disponibile registra incrementi tendenziali sopra la media nel settore privato (+1,9%)…. “Le modifiche attuate sui contratti del personale statale, in particolare quello scolastico, nell’ultimo ventennio – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief – hanno determinato un paradosso: per mere ragioni di finanza pubblica, si sono ereditate le condizioni di lavoro del settore privato, con le nuove norme privatistiche che hanno cambiato l’organizzazione e il funzionamento della macchina amministrativa statale e dei dipendenti, anche in deroga a precise scelte negoziali e diritti non comprimibili. Ma nello stesso periodo gli stipendi sono stati sempre più depauperati. Sino ad essere superati dall’inflazione, come è accaduto nel 2013”.
ItaliaOggi - 18/03/2014
"Stipendi, la grande incertezza”
░ Di Alessandra Ricciardi
La scuola, con il suo milione di dipendenti, è certamente il settore pubblico più interessato al piano da 10 miliardi di agevolazioni sui redditi da lavoro. Su cui però le incertezze abbondano: al Tesoro stanno ancora definendo la platea e la soglia da cui far partire la detrazione che consenta di avere mille euro netti in più l'anno: fissata a 25 mila euro (lordi) l'anno, dal premier Matteo Renzi nel corso della conferenza stampa della scorsa settimana, potrebbe anche salire a 30 mila, con la detrazione a scalare inversamente proporzionale al reddito. Sarebbe questa l'ultima ipotesi a cui starebbero lavorando tra palazzo Chigi, Tesoro e ministero dell'istruzione. Un bel colpo, soprattutto in vista del voto delle europee. Se così fosse, nella scuola gli interessati sarebbero ancora di più di quelli finora stimati: sotto i 25 mila euro lordi l'anno, per un netto mensile di circa 1500 euro, ci sono tutti gli assistenti tecnici e amministrativi e la metà dei docenti fino alla primaria, un terzo dei docenti delle secondarie. Complessivamente oltre la metà dei lavoratori della scuola. … Per mettere a punto l'intervento ci sono altri 20 giorni di tempo, visto che in busta paga la nuova detrazione dovrà scattare per il mese di maggio.
Il Messaggero - 19/03/2014
"Statali, mobilità e scivoli per gestire gli 85 mila esuberi No dei sindacati”
░ I dati elaborati dal commissario alla spending review, Cottarelli: sarebbero decine di migliaia i dipendenti in eccesso nella Pubblica Amministrazione. Ma la Scuola è stata “tagliata” da tempo.
Gli 85 mila esuberi tra i dipendenti pubblici sono una «prima stima da affinare»…. L’esecutivo è già al lavoro per gestire senza traumi l’uscita degli 85 mila dipendenti statali dai ranghi della pubblica amministrazione. Un piano al quale darà un contributo lo stesso Cottarelli, che dalla prossima settimana sarà trasferito dal Tesoro a Palazzo Chigi. Il progetto al quale si lavora, e che dovrebbe essere ufficialmente presentato ad aprile, sarebbe al momento basato su due strumenti: la mobilità obbligatoria e un sistema di scivoli e incentivi per lasciare il lavoro pubblico sulla falsa riga di quanto avviene nel settore privato. La mobilità obbligatoria è un meccanismo che già esiste, fu introdotto dal governo Monti ma non è mai stato attuato. Le amministrazioni che hanno personale in esubero dovrebbero proporre ai dipendenti in soprannumero il trasferimento ad altra amministrazione con carenze di organico. Nel caso di rifiuto o dove ciò non fosse possibile, scatterebbe la mobilità con una retribuzione pari all’80% dello stipendio per 24 mesi. Questo meccanismo di base dovrebbe essere semplificato e reso operativo. Alla mobilità obbligatoria sarebbe affiancato anche un incentivo a lasciare il lavoro per chi è vicino alla pensione. Come avviene anche nel settore privato l’ipotesi è di garantire uno scivolo in grado di coprire i contributi per non subire penalizzazioni sull’assegno previdenziale.
Corriere della sera - 20/03/2014
"I nostri insegnanti, eterni maltrattati”
░ All’attenzione del Corriere della sera c’è il tema dello status socio-economico degli insegnanti italiani; questa volta ci sono voluti i dati dell’OCSE, quasi che non bastasse l’evidenza di un declino lungo mezzo secolo: da decenni, ormai, i lavoratori della Scuola perdono posizioni, comparativamente, rispetto a quelli di tutti i comparti del pubblico impiego, e la professione degli insegnanti sbiadisce nell’opinione pubblica. Certo la deschooling society nella Società educante potrebbe tentare i decisori politici ! Ma sarebbe un risparmio o un costo ?
Gli insegnanti italiani sono malpagati, come ha certificato l’Ocse. Sono maltrattati dalla politica… Lavorano in condizioni di grave penuria quando non di emergenza. …. Il malessere di una categoria di quasi 800 mila persone alle quali affidiamo per 6-8 ore i nostri figli. Sono malpagati: lo ha certificato l’Ocse, gli stipendi degli insegnanti italiani sono sotto la media dei Paesi sviluppati e dell’Unione Europea. Ogni anno «perdono» cinquemila euro rispetto ai loro colleghi…. Negli ultimi cinque anni la scuola ha già «perso» un insegnante su dieci (erano 843 mila nel 2007, sono diventati 766 mila nel 2012): un taglio mai visto per la pubblica amministrazione. E infine sono «vecchi» come ci dicono le indagini internazionali: la lunga e impervia strada del precariato e delle supplenze fa dei nostri insegnanti una categoria, per il 62 per cento, di ultracinquantenni. Un record in tutta Europa. … Il precariato più lungo e confuso d’Europa: il 27 marzo se ne occuperà la Corte di Giustizia, perché il periodo massimo di contratti a tempo determinato permesso nell’Unione europea è di 36 mesi. Mentre per entrare in ruolo in Italia ci possono volere anche dieci-quindici anni.
corrieredellasera.it - 21/03/2014
"Cambiamo la scuola rompendo un tabù: puniamo gli insegnanti incapaci”
░ «Dare ai meritevoli, ma sanzionare quelli che non garantiscono un livello minimo di qualità», dice il ministro dell'Istruzione. A chi spetta decidere? «Chi dirige un istituto dovrebbe avere questa responsabilità». Rischiamo di tornare indietro rispetto all’epoca di Misasi. Intervista surreale, dalla quale si capisce che cosa attenderci da questo ministro; raccomandiamo, a chi desidera farsi quattro risate, di leggere l’ultima dichiarazione che riportiamo dall’intervista. Il nostro ritornello: - A quando un ministro con esperienza di Scuola ?
A trentuno anni era professore associato. A trentotto ordinario. Stefania Giannini, leader di Scelta civica ed ex rettore dell'Università per stranieri di Perugia, è il nuovo ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca. La incontro in viale Trastevere, nella sede storica del dicastero: stanze gigantesche, arredi ottocenteschi, corridoi vuoti. … Liberale orgogliosa, Giannini si dà come obiettivo da ministro di portare "semplificazione e responsabilità"…. A un certo punto, mentre racconta delle capriole necessarie per portare a termine la nomina di 360 dirigenti scolastici a causa dei possibili ricorsi al Tar, azzarda: «Se dobbiamo lavorare con la spada di Damocle delle sentenze dei giudici, sarà difficile migliorare i servizi scolastici. Ma non mi faccia dire queste cose, che poi mi licenziano». Appena le ricordo le polemiche causate dal suo esordio con la visita a una scuola paritaria cattolica, replica thatcherianamente: «Lo Stato deve garantire la qualità dell'istruzione, ma ogni famiglia deve avere la possibilità di scegliere». E quando definisco "inciampo" l'intervista in cui disse che andava superato il meccanismo degli scatti di anzianità e che ha causato una reazione indignata dei sindacati, dice: «Per me non è stato un inciampo… Ribadisco con forza: solo in un sistema statico come il nostro l'anzianità è l'unico modo per valorizzare la figura dell'insegnante con un aumento dello stipendio». L'alternativa? «Premiare i più capaci, disponibili e preparati. I dirigenti scolastici dovrebbero avere l'autonomia per farlo e si dovrebbero assumere la responsabilità delle loro scelte. Un insegnante può essere premiato con un aumento dello stipendio, ma anche con il ruolo di coordinamento di un'area didattica… I sindacati hanno sempre preteso di tutelare tutta la categoria: non si valorizza chi ha più merito, ma si dà a tutti una garanzia minima. Tanti iscritti garantiti allo stesso modo vogliono dire più potere del sindacato. I tempi sono maturi per cambiare… Chi dirige un istituto e deve rendere conto della qualità dei servizi si dovrebbe prendere anche questa responsabilità. Gli strumenti per procedere ci sono già, ma è sempre mancata la volontà politica. Basterebbe seguire l'esempio delle università».
corrieredellasera.it - 21/03/2014
"27 marzo 2014: la Corte di Giustizia Europea deciderà la sorte dei 300.000 precari della scuola”
░ Sono trascorsi 50 mesi da quando l’ANIEF ha posto la questione invocando il principio di non discriminazione tra personale di ruolo e personale chiamato alla medesima funzione ma con contratto a t.d., e denunciando l’abuso giuridico ed economico ai danni dei precari della Scuola. Una iniziativa, questa di Pacifico, lungimirante sotto il profilo sindacale ed eticamente degna, per la valenza che ha all’interno della tremenda questione generazionale del riscatto dei giovani. In questa battaglia, Marcello Pacifico e l’Ufficio legale dell’ANIEF hanno già conseguito parecchie vittorie, a favore di colleghi della scuola che, avendo maturato tre anni di contratti annuali a t.d. su posti vacanti e disponibili, si sono visti riconoscere dai tribunali del lavoro risarcimenti economici per la mancata nomina a t.i. Analogamente, per altri precari, l’ANIEF ha ottenuto il riconoscimento economico e amministrativo della progressione di carriera.
Negli ultimi due anni sono chiamati sempre 140.000 supplenti, la maggior parte, al termine delle attività didattiche, per far risparmiare allo Stato le due mensilità di luglio e agosto, nonostante i posti siano vacanti e disponibili e non vi siano ragioni sostitutive di personale assente: il 13,8% dell’organico necessario per far funzionare le scuole, una percentuale scesa di due punti percentuali rispetto al 2007, dopo la cancellazione di 124.000 ad opera dei piani di razionalizzazione (- 94.000 tolti ai precari e - 30.000 mancate assunzioni dal turn-over), quando i supplenti erano 233.000 e il tasso di precarietà era del 15,9%, il più alto tra i comparti del Pubblico impiego. Il precariato nella scuola non soltanto è rimasto costante negli anni ma oggi è a suoi massimi storici se si considera che soltanto la metà del personale inserito nelle graduatorie ottiene una supplenza al 30 giugno o al 31 agosto mentre altri 150.000 docenti (abilitati con il TFA, SFP, Diploma magistrale, PAS) attendono di essere inseriti nelle stesse graduatorie. La precarietà è una malattia endemica nella Scuola italiana e ora la Corte europea potrebbe avere la cura: la Repubblica, fin dal suo nascere, ha utilizzato i supplenti per non chiudere le scuole e per risparmiare sulla finanza pubblica, visto che non riconosce loro aumenti di stipendio e li licenzia al 30 giugno piuttosto che al 31 agosto quando termina l’anno scolastico…. Nel 2011, il ministro Gelmini di fronte alle prime pronunce dei tribunali che condannavano l’amministrazione al risarcimento danni e al pagamento degli scatti stipendiali con quote intorno ai 30.000 euro per ricorrente e a una procedura d’infrazione (2124) aperta nel 2010 che porterà nei prossimi mesi alla condanna dello Stato italiano per inadempimento, chiede al Parlamento di intervenire. La legge 106/2011 così chiarisce che nella scuola non si applica il d.lgs. 368/2001 che recepisce la direttiva comunitaria sui contratti a termini e autorizza un nuovo piano di immissioni in ruolo di 67.000 unità ma a invarianza finanziaria, con stipendi bloccati per i successivi 9 anni, nonostante qualcuno dei neo-assunti da precario già riceva gli scatti stipendiali grazie ai giudici del lavoro. La Cassazione condivide l’intervento del legislatore perché ritiene che esistano ragioni oggettive imputabili al privilegio che hanno i precari della scuola italiana di poter essere assunti per scorrimento di graduatoria grazie all’anzianità di servizio maturata e all’oscillazione degli organici dovuta all’iscrizione degli alunni. Ma i legali Anief e la stessa Commissione UE con osservazioni scritte contestano tale difesa considerato che si accede alle graduatorie dopo aver superato concorsi per titoli ed esami, l’essere inserito nelle suddette graduatorie non comporta un diritto soggettivo all’assunzione dopo 36 mesi, il ricorso alle supplenze per l’ordinario funzionamento è persino aumentato in un decennio nonostante l’aumento del numero degli alunni…. Il numero delle assunzioni è stato inferiore, a parità di tagli al fisiologico turn-over: dall’a. s. 2001/2002, 258.000 immissioni a fronte di 278.000 pensionamenti. In undici anni aumentano anche le supplenze, ma si dimezzano i posti assegnati al 31 agosto: nell’a. s. 2002/2003, primo anno di riapertura delle ex graduatorie permanenti, prima esaurite, le supplenze erano 105.000, di cui 26.000 al 31 agosto, mentre nell’a. s. 2013-2014 salgono a 120.000 di cui soltanto 12.000 al 31 agosto. A niente sono serviti i piani triennali di immissioni in ruolo annunciati con diverse leggi dello Stato (143/2004, 296/2006, 106/2011, 128/2013), i precari rimangono sempre lì per far funzionare le scuole…. La legge (124/1999) è chiara: se un posto è vacante e disponibile deve essere assegnato al 31 agosto, ma la maggior parte dei posti, nonostante non vi sia il titolare, sono assegnati in supplenza al 30 giugno. Lo sanno bene i docenti di sostegno il cui organico stabile è stabilito dal legislatore (244/2007, 128/2013) sempre nel 70% di quello utilizzato ogni anno per garantire un rapporto uno a due con alunni con handicap, altro che Europa. Ma ora, finalmente la parola passa ai giudici di Lussemburgo cui si sono rivolti il giudice Coppola del tribunale del lavoro di Napoli e il giudice Napolitano della Consulta che per la prima volta, invece di invocare il d.lgs. 165/2001, peraltro già bocciato dalla Corte Europea, o l’art. 97 della Costituzione, hanno chiesto se le nostre norme sono compatibili con quelle comunitarie. L’Anief che aveva denunciato la mancata stabilizzazione e la discriminazione dei precari della scuola italiana dalle pagine di un quotidiano nazionale il 16 gennaio 2010 e che ha già ottenuto presso diversi tribunali del lavoro sentenze positive in primo grado in tema di stabilizzazione e/o risarcimenti danni, confermate in appello per gli scatti stipendiali durante il pre-ruolo grazie al prezioso coordinamento della Rete dei legali operato dagli avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli, sarà rappresentata in CGUE dagli esperti avvocati Sergio Galleano e Vincenzo De Michele che hanno vinto, sempre in Europa, il contenzioso sulla stabilizzazione del personale delle Poste italiane.
l’Unità - 22/03/2014
"Il nuovo apprendistato senza formazione”
░ La stretta economica impone di andare al sodo, ma i nostri decisori politici non sanno qual è “il sodo”; così l’espungono dall’apprendistato: era pensato per abbinare formazione culturale e esperienza pratica ma viene “ammorbidito” nella parte educativa. Quello applicativo è certamente l’aspetto decisivo dei percorsi studio-lavoro ma presuppone che il soggetto formatore sia in grado, oltre che di erogare conoscenze (Knowledge) tecniche, anche di favorire negli studenti l’autonomia del pensiero (Thinking) e le capacità relazionali (Communication). Riportiamo un articolo di Paolo Inghilesi, già responsabile della Formazione Cgil.
… Il ministro del Lavoro Poletti ha annunciato l’ennesima riforma dell’apprendistato che toglie alle aziende l’obbligo del piano formativo individuale e della formazione trasversale, cioè sulle competenze culturali e informatiche, finora programmata e erogata dalle Regioni. Così viene portato a compimento lo smantellamento della valenza formativa dell’apprendistato, affidata solo alla buona volontà della aziende senza nessun controllo, a fronte peraltro di forti sgravi contributivi che dovrebbero essere giustificati dall’attività formativa stessa. In Germania il sistema duale si basa invece per l’apprendistato sull’alternanza tra il momento del lavoro e quello della formazione che si svolge sia in azienda sia all’esterno presso la scuola e i centri di formazione professionale, con quantità consistenti di ore di formazione certificate. Su questo modello fu fatta la legge Treu del ’96 che prevedeva per gli apprendisti l’intreccio fra formazione interna all’impresa e quella esterna quantificata in un monte ore e certificata, alla cui realizzazione erano condizionati gli sgravi contributivi. I successivi governi di centrodestra, sotto la spinta di associazioni imprenditoriali miopi attente solo agli sgravi contributivi e noncuranti della formazione, cancellarono in buona parte gli obblighi formativi previsti dalla legge Treu, in particolare per la formazione esterna, fino a ridurli al piano formativo individuale aziendale e a poca formazione esterna sulle competenze trasversali. Oggi l’annunciato decreto legge Poletti toglie anche questi ultimi impegni formativi, in nome di una presunta semplificazione delle procedure amministrative che in realtà comporta una completa distruzione della componente formativa dell’apprendistato. Naturalmente il paragone con il sistema duale tedesco a questo punto è una mistificazione. Tutto ciò si tradurrà in ulteriore perdita di qualità professionale e di produttività della forza lavoro, privata di quella formazione in giovane età che è decisiva per lo sviluppo professionale e che in Germania è considerata come un bene prezioso sia per la competitività delle imprese che per la qualità dei lavoratori. Ma si potranno avere… anche effetti pericolosi sugli sgravi contributivi che in mancanza di formazione certificata per l’occupabilità rischiano di essere annullati dalla Corte di giustizia Europea, come avvenne per i contratti di formazione lavoro. A questo punto c’è da chiedersi se quanti hanno a cuore, non solo a parole, la formazione come punto centrale dei programmi politici (parlamentari, amministratori regionali, forze sociali e in primis lo stesso Renzi che pure ha messo al centro dei suoi progetti questo tema) possono accettare la riduzione dell’apprendistato a un contratto senza componente formativa accertata contro la tendenza dei maggiori Paesi europei, a partire dalla Germania, a rafforzarlo come contratto a finalità formativa importante per l’occupabilità e per la qualità professionale dei giovani.