Rassegna stampa

Recensioni dalla Stampa al 18 aprile 2014

 Governarelascuola.it – 13 aprile 2014

La scuola. Un modo senza prospettive"

░ Riportiamo, da Pietro Perziani, unainteressante proposta per dare prospettive di carriera nel lavoro a Scuola.

Un docente va in pensione facendo esattamente le stesse cose che faceva nel suo primo giorno di lavoro, lo stesso avviene per il dirigente scolastico; nessuno dei due ha la prospettiva di un arricchimento professionale della sua prestazione lavorativa, di un avanzamento di carriera e di una maggiore soddisfazione economica, a parte gli scatti di anzianità per i docenti. Questa è la conseguenza della marginalizzazione della scuola autonoma rispetto al sistema di istruzione e dell’anomiagiuridico-istituzionale che caratterizza la singola istituzione scolastica; le deficienze strutturali hanno pesanti ricadute sul personale e l’insoddisfazione di docenti, ATA e dirigenti ha naturalmente pesanti ricadute sulla qualità del servizio. Non si dice forse che la scuola è il regno del burnout? Si potrebbe dire che almeno una forma di carriera nella scuola esiste: un docente può diventare dirigente scolastico; ma si tratta veramente di una carriera? La risposta è no.

Intanto, va considerato un fatto puramente quantitativo: non più dell’1% dei docenti può diventare dirigente, un’altra piccolissima percentuale ispettore; la cosa più importante, però, è che quello che un docente fa o non fa nell’ambito della sua prestazione professionale non ha alcuna influenza sulla possibilità di diventare dirigente Un impiegato laureato che viene assunto al MIUR ha davanti a sé la prospettiva di una carriera che, per gradi intermedi, lo può portare fino ai massimi livelli dell’Amministrazione; tutto questo, per il docente non vale: nasce docente, muore docente. Forse non ci si è mai fatto mente locale, ma lo stesso vale per il dirigente scolastico; un giovane di 35 che è stato appena assunto ha davanti a sé più di 30 anni di lavoro sempre uguale, quello che fa oggi lo farà per sempre; particolare da non sottovalutare: non avrà alcuna possibilità di guadagnare di più. Anche nella scuola, come in qualsiasi posto di lavoro, ci dovrebbe essere la possibilità di più alternative professionali e di un avanzamento di carriera, che dai livelli di ingresso porti ai livelli più alti di gestione dell’amministrazione di appartenenza. Cosa fare? Proviamo a delineare una “Carriera della Scuola”, senza trascurare il personale ATA e i DSGA; non andiamo oltre delle semplici suggestioni, il tema andrà ripreso con un approfondimento ben maggiore.Per prima cosa, va istituzionalizzata una diversificazione della funzione docente, lungo tre direttrici:

1-Creazione del middle managment con funzione di line; dovrebbero essere istituzionalizzate tutte le figure di collaborazione del dirigente nella gestione della scuola che già esistono, senza una veste giuridica precisa

2-Creazione della funzione vicaria, nella veste giuridica di una vice dirigenza o qualcosa di equivalente, come ruolo a se stante

3-Creazione delle figure di staff, istituzionalizzando le funzioni di quanti contribuiscono all’elaborazione e alla gestione della didattica, eliminando nel contempo tutte le figure spurie di origine contrattuale.

Per quanto riguarda il personale ATA, dove la possibilità di un avanzamento di carriera esiste, va previsto il riconoscimento della Vice Dirigenza anche al DSGA. Arrivati alla dirigenza dell’istituzione scolastica autonoma, il percorso non si deve fermare; se l’autonomia scolastica si deve espandere sul territorio, lo stesso deve succedere per la sua dirigenza. Il sistema di istruzione e formazione deve essere gestito da chi gestisce la scuola, cioè dai dirigenti scolastici, fino ai massimi livelli, sia a livello centrale che periferico. Quanto appena detto vale tanto più se si va verso una dirigenza apicale a tempo determinato.

l’Unità – 14 aprile 2014

Laureati, disoccupati, scoraggiati"

░ Le risultanze di un’indagine realizzata dalConsorzio Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureatiDal 2008 al 2012, il tasso di disoccupazione dei laureati di I livello è cresciuto di 11 punti. Di CarloButtaroni, Presidente Tecnè.

… Le grandi trasformazioni avvenute in quegli anni alimentavano l’idea che in Italia, come in altri paesi occidentali, la rigida divisione in classi appartenesse ormai al passato. E, in effetti, il cambio di struttura economica iniziato negli anni Cinquanta con il processo d’industrializzazione prima e di terziarizzazione poi, hanno segnato una rapida crescita della classe operaia urbana e della classe media impiegatizia, insieme all’affermarsi di una borghesia legata alla piccola industria e al commercio, registrando tassi elevati di mobilità sociale ascendente.Una mobilità che ha consentito non solo a milioni d’italiani di raggiungere condizioni di benessere individuale, ma a tutto il Paese di crescere e acquistare fiducia in se stesso, dando corpo a un ceto medio sempre più diffuso e dinamico. Questo imponente processo di mobilità sociale ha avuto il suo apice negli anni Sessanta per rallentare progressivamente nei decenni successivi. E mentre diminuivano le possibilità di ascesa sociale, crescevano contestualmente i vantaggi determinati dalla posizione di partenza ereditata della famiglia. Con il risultato che, dagli anni Ottanta, gli eredi delle classi medie e superiori riuscivano con minore frequenza a ricalcare la dinamica ascendente dei padri, e assai più fatica dovevano fare i figli delle classi inferiori per emanciparsi dalle loro origini. Già negli anni Novanta, le possibilità che avevano i figli d’imprenditori, liberi professionisti, dirigenti di accedere ai vertici della gerarchia sociale superavano di dodici volte le possibilità su cui potevano contare i giovani provenienti da famiglie di classi inferiori. Non solo: le classi più elevate riescono anche a garantire una protezione più elevata contro i rischi di discesa verso posizioni inferiori, riducendo, quindi, le opportunità di ricambio ai vertici della piramide sociale. Questo fenomeno si accentua ancora di più nel decennio successivo fino a quando, a cavallo tra il nuovo secolo e i giorni nostri, le traiettorie sociali invertono la direzione. Gli ascensori sociali si bloccano in salita, mentre aumentano le frequenze delle discese e l’Italia sperimenta, complice anche la crisi economica, una radicale discontinuità storica rispetto agli ultimi cinquant’anni. … Paradossalmente, ad aggravare gli effetti del blocco della mobilità sociale ascendente è la crescita dei livelli d’istruzione dei giovani. A parità di titolo di studio, infatti, i figli si collocano in posizioni professionali meno qualificate rispetto a quelle dei loro genitori, rendendo inevitabilmente meno produttivo il loro capitale umano. A un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di disoccupazione dei laureati di primo livello è cresciuto di oltre 11 punti in soli 4 anni, passando dal 15,1% del 2008 al 26,5% del 2012. E mentre è cresciuta la difficoltà a trovare un lavoro, per gli occupati si sono ridotti i guadagni netti mensili, inferiori di un quinto per i laureati nel 2012 rispetto ai colleghi che hanno conseguito il titolo nel 2008. Un fenomeno che inevitabilmente induce a ritenere la laurea meno efficace rispetto al passato.

 

ItaliaOggi – 15 aprile 2014

Visite specialistiche, che caos !"

░ Difformità tra una circolare della Funzione pubblica e la legge.

 

 

 

Monta la protesta dei lavoratori della scuola contro il divieto di utilizzare le assenze per malattia per le visite specialistiche e gli esami diagnostici. Divieto che è stato introdotto dalla Funzione pubblica, con la circolare n. 2 emanata il 17 febbraio scorso.Secondo il dipartimento, l'articolo 4, comma 16-bis, del decreto legge 101/2013 precluderebbe ai dipendenti pubblici di imputare ad assenza per malattia quelle dovute a visite specialistiche ed esami clinici. E quindi, per questo genere di assenze, bisognerebbe utilizzare i permessi per motivi personali. La questione … sembrerebbe fondarsi su un equivoco, indotto dall'adozione di un criterio meramente letterale nell'interpretazione della disposizione contestata. La quale prevede che, quando si utilizza un'assenza per malattia per questo genere di motivi, il permesso debba essere giustificato con un'attestazione del medico o della struttura sanitaria. Ciò ha indotto la Funzione pubblica a ritenere che non si tratti di assenze per malattia, ma di permessi. E quindi, essendo il permesso per motivi personali l'unico utilizzabile in alternativa alle assenze per malattia, questa sarebbe l'unica soluzione possibile. Il ragionamento non fa una grinza, se non fosse per il fatto che l'intenzione del legislatore sembrerebbe diversa. Leggendo la relazione illustrativa si scopre, infatti, che il comma 16-bis, altro non sarebbe se non «una modifica tecnica volta a stabilire che la giustificazione è da riferirsi al permesso richiesto e non all'assenza in quanto tale». In buona sostanza, dunque, ciò che deve essere dimostrato ai fini del diritto non è lo stato morboso (come nel caso delle assenze per malattia in senso stretto) ma il titolo (il permesso) che abbia determinato l'insorgenza del diritto. Nel caso specifico: la sottoposizione ad una visita specialistica o ad un esame clinico. I cui esiti potrebbero anche essere negativi. E quindi, siccome il dipendente che dovesse sottoporsi a visite o esami potrebbe anche risultare sano come un pesce, la giustificazione non può consistere in un certificato medico che accerti l'esistenza dello stato patologico (come nelle assenze per malattia in senso stretto). Di qui la necessità della semplice attestazione del medico che lo abbia visitato oppure della struttura sanitaria dove sia stato sottoposto ad accertamenti. Fin qui l'interpretazione delle parole.

Ma ci sono anche aspetti più complessi da considerare, quali le necessità dei lavoratori affetti da gravi patologie, che ,anche quando sono abili al lavoro, necessitano di continui accertamenti e conseguenti visite specialistiche per il dosaggio dei farmaci salvavita. Si pensi, per esempio, ai diabetici o ai malati di cancro. In questi casi, i controlli e le visite possono essere anche molto frequenti. E quindi, i permessi per motivi personali sono assolutamente insufficienti. …. Insomma, una bella gatta da pelare per il ministro Maria Anna Madia, chiamata a dirimere una questione emersa a causa di una circolare che porta la firma del suo predecessore Gianpiero D'Alia. E che, considerati gli interessi in gioco, rischia di scatenare un contenzioso di enormi proporzioni.

 

http://www.laricerca.loescher.it – 15 aprile 2014

“Una squadra fortissimi"

░ MarinBoscaino interviene sul tema del reclutamento degli insegnanti, che la Giannini auspicherebbe fosse affidato ai dirigentiscolastici.

Si tratta di un tema delicato, sul quale sarebbe il caso di riflettere con minore velocità e maggiore ponderatezza. All’ipotesi si oppone, innanzitutto, l’art. 97 della Costituzione, che al comma 3 recita: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge…. Il concorso pubblico – senza dubbio perfettibile, in alcuni casi inficiato dall’italica propensione almalcostume o da errori – è non solo garanzia del principio di pari opportunità nel reclutamento; ma anche di pari opportunità per il diritto all’apprendimento degli studenti. Nonché del fatto che, tra i principali strumenti che lo Stato ha a disposizione per configurare il principio di uguaglianza (comma 2 dell’art. 3 della Carta: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”), c’è anche e soprattutto la scuola pubblica. L’abbassamento dei livelli di competenze, i salari con un potere d’acquisto sempre più avvilente, lo scarso investimento sul ruolo del docente e sulla scuola pubblica che ha – trasversalmente, purtroppo – scandito le politiche scolastiche degli ultimi lustri, hanno avuto effetti negativi sulla motivazione di molti. La perdita di una funzione culturale e di uno statuto sociale dei docenti di una società che si alimenta di ben altri miti, sono sintetizzati da due estremi, altrettanto demagogici e occhieggianti a consensi opposti, che danno in maniera analoga il senso di una professione che non riesce più a trovare una collocazione significativa all’interno di questa società: da una parte la glorificazione – a salario fermo e contratto bloccato da tanti anni – di coloro che ci hanno chiamato e ci chiamano eroi; dall’altra la ventata di strategie diffamatorie dell’intera categoria degli insegnanti – inaugurata da alcuni interventi sui più importanti quotidiani di economisti editorialisti come Ichino,Panebianco, Giavazzi – che sono alla base di un’asfittica e punitiva visione della valutazione e di una premialità legata a criteri fluttuanti, lontani anni luce da ciò che si deve sapere e saper fare per interpretare dignitosamente ed efficacemente la nostra professione. Spesso inconsapevoli di ciò che la scuola è, nella sostanza. O ansiosi di giustapporre al “luogo scuola” – con le sue particolarità e specificità – i limiti angusti, e ad esso incoerenti, delle realtà aziendaliGli insegnanti oscillano tra una sfiduciata dismissione culturale e relazionale, che accompagna quella sociale; e un ostinato esercizio della vocazione missionaria che molti di noi hanno; quella vocazione che ha consentito  alla scuola di andare avanti comunque, tentando di tamponare e di neutralizzare i danni che gli strateghi delle politiche dell’istruzione producevano impunemente. Nessuno dei nostri politici ha pagato il conto di errori marchiani (l’abbassamento dell’obbligo scolastico, la diminuzione drammatica delle competenze dilettoscrittura nei quindicenni scolarizzati nel nostro Paese, ad esempio), di scoop ad uso della stampa che si sono tradotti in nulla o – peggio – in operazioni opinabili (la geostoria, il portfolio, il tempo pieno ridotto da diritto a fortunata opportunità, la politica della “semplificazione”). A nessuno è stato presentato il conto di cambiamenti continui – traumatici o a colpi di “cacciavite” – che la scuola ha subito protestando o no, ma troppo spesso sostituendo all’opposizione e alla condivisione della resistenza l’adattamento (responsabile o di comodo) alle novità. Le responsabilità sono fluttuanti: non sappiamo o preferiamo non assegnare a nomi e cognomi, per chiedere ragione delle continue bizzarrie che di pedagogico – da qualsiasi parte politica siano provenute – non hanno nulla … In questo contesto si inserisce l’insistenza sul tema della chiamata diretta. Inopportuno, dunque, sia dal punto di vista normativo che delle condizioni concrete. Quali sarebbero i criteri che garantiranno identiche condizioni di accesso? Quali le caratteristiche dei profili più richiesti? Per quali motivi gli istituti scolastici meno rinomati (e dunque meno ambiti), già caratterizzati da una popolazione studentesca svantaggiata, dalla localizzazione in zone marginali, dovrebbero – come è ovvio e fisiologico che sia – accontentarsi dei docenti meno titolati, meno referenziati dal punto di vista culturale – ampliando così i margini di svantaggio già esistenti?  Come si misura la capacità di relazione e di cura che un insegnante è in grado di sviluppare? Qual è il vantaggio di amplificare il gap che già esiste tra zone del Paese e – nell’ambito del Paese – tra scuola e scuola? Queste e tante altre ledomande.

 

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. – 15 aprile 2014

Già accolto un ricorso su tre Concorsi universitari nel caos"

░ I risultati dell’Abilitazione Nazionale universitaria sono stati contestati dinanzi ai tribunali, da 600 aspiranti professori. Se alla fine i giudici daranno ragione al candidato bisognerà fare tutto daccapo.

Non c’è pace per l’Abilitazione scientifica nazionale. È la tappa che può aprire la strada — o sbarrarla — ai concorsi universitari per diventare docenti ordinari (prima fascia) o associati (seconda) nei prossimi anni. Un appuntamento per quasi sessantamila persone. Ma che ora per il ministero dell’Istruzione è diventato una grana giudiziaria, oltre che accademica. Con risvolti legali che potrebbero tirare in ballo anche la Corte costituzionale. Soprattutto quando a giugno e luglio saranno esaminati i ricorsi che mettono in discussione addirittura la costituzionalità delle norme che regolano l’abilitazione. E così prima di arrivare nelle aule universitarie bisognerà vedere che succede in quelle dei tribunali. Fino a ieri 66 commissioni (su 184, più di un terzo) hanno chiesto interventi di «autotutela». Per rivedere alcuni giudizi, certo. Ma anche per evitare possibili ricorsi al Tar. E proprio al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza, di ricorsi inviati dai candidati «non idonei» ne sono arrivati quasi 600. Di questi — secondo le prime stime — ne sono stati accolti circa 200. Uno su tre. E per ognuno il ministero deve rinominare entro sessanta giorni una nuova commissione (quattro docenti italiani, uno straniero) per rigiudicare chi ha proposto ricorso. Quattro sono i punti critici. Il primo: quando i candidati sono stati giudicati da commissioni senza membri esperti. Il secondo: quando gli indicatori bibliometricisulle pubblicazioni scientifiche — essenziali per essere valutati — si sono rivelati errati. Il terzo: quando la mancata idoneità è stata accompagnata da cinque giudizi tutti negativi, ma con motivazioni non omogenee. Il quarto: quando i commissari non hanno abilitato pur valutando «accettabili» i titoli dell’aspirante docente. Per il Tar «accettabile» non è un giudizio negativo. A complicare ancora di più la situazione, proprio in questi giorni leuniversità stanno attivando le procedure di chiamata. Per non parlare della seconda tornata dell’Abilitazione: i lavori sono stati prorogati di un altro mese. 

 

L’Unità – 16 aprile 2014

La riforma dell’apprendistato: quali i rischi di effetti negativi (inattesi)?"

░ Il tema della formazione in apprendistato, visto da Ugo Ascoli e Emmanuele PavoliniLe riflessioni si basano sull’esperienza di amministratore di uno dei due autori di questo articolo (che è stato per vari anni Assessore regionale al Lavoro) e sui risultati di una ricerca condotta nell’ultimo biennio all’interno di un progetto di ricerca del MIUR (PRIN) sui temi del welfare, in cui una parte specifica è stata dedicata al funzionamento dell’apprendistato. Riportiamo in parte.

L’attuale governo ha ritenuto di dover intervenire con celerità su questioni relative al mercato del lavoro con un decreto legge, il 34 del 20 marzo 2014, onde modificare la regolazione di alcune importanti forme di contratto: l’apprendistato (incidendo soprattutto su quello più praticato, ovvero quello ‘professionalizzante’) ed il contratto a tempo determinato. Renzi, tramite il decreto “Poletti”, interviene sul contratto di apprendistato. Nel corso degli ultimi decenni si è ripetutamente intervenuto sui limiti di età per avere accesso a tale strumento: seguendo una direzione di progressivo innalzamento di tale limite nel 1997 si elevò l’età dell’apprendista fino a 24 anni; nel 2003 si portò tale limite fino a 29 anni e si elevò il periodo possibile dell’apprendistato ‘professionalizzante’ a sei anni; nel 2011 venne approvato il Testo Unico che riportava la durata massima a tre anni; nel 2012 si rivedevano gli sgravi contributivi a favore del datore di lavoro (fino al 100% per un impresa con meno di nove addetti). Da un punto di vista degli strumenti per facilitare l’inserimento sul mercato del lavoro dei giovani, il valore e l’importanza del contratto di apprendistato risiedono nell’essere un contratto ‘a causa mista’: la doppia attenzione su inserimento lavorativo e formazione ne costituiscono l’essenza e la forza.  L’idea di coniugare esperienza in azienda con attività formative, spendibili in un contesto più ampio di mercato del lavoro, si è andata affievolendo nel corso del tempo. Dieci anni fa le ore della ‘formazione trasversale’ erano 120 annue. Si è giunti successivamente a 120 in tre anni. Con il decreto Poletti l’obbligo è stato praticamente azzerato. Per essere più precisi il decreto del marzo 2014 rende facoltativa e non obbligatoria la formazione trasversale. …Il nodo della formazione ha da sempre rappresentato una questione spinosa nell’ambito dei rapporti fra datori di lavoro, organizzazioni sindacali e soggetti pubblici, spesso responsabili dei percorsi formativi ‘esterni’: in nessuna regione italiana si è mai riusciti a mettere in formazione più di un terzo dei giovani in apprendistato e tutte le ricerche hanno mostrato un funzionamento profondamente insoddisfacente per le modalità dei percorsi attivati. Tuttavia erano in molti a pensare che occorresse ridisegnare tale formazione, facendone veramente una leva per migliorare la capacità dei giovani di ricollocarsi efficacemente in un’altra attività lavorativa, dopo la conclusione di un periodo di apprendistato, piuttosto che abdicare nella sostanza all’aspirazione di investire in tale direzione. Contemporaneamente buona parte dei datori di lavoro l’ha sempre considerata come ‘una perdita di tempo’ che riduce il monte ore investito nel lavoro e quindi un costo per l’impresa.

 

orizzontescuola.it – 18.04.20145

Graduatorie di istituto: abilitati TFA alMiur. Aggiornamento a maggio, ancora nessuna soluzione per i punteggi, impossibile accontentare tutti"

░ Il prestigioso periodico professionale – tra i più completi e puntuali – ospita una lettera del prof. Edoardo Ricci. Si inserisce nella disputa tra abilitati con TFA e abilitandi con PAS.

Una delegazione di docenti abilitati con TFA è stata ricevuta a colloquio, durante la manifestazione di giovedì 17 aprile, dal Capo di Gabinetto dott. Fusacchia e dalla dott.ssa Montesarchio. La rappresentanza tieffina ha avuto modo di illustrare, in questa sede, il dossier con le proposte atte a valorizzare il titolo di abilitazione conseguito con merito.Sono state presentate all’attenzione degli interlocutori istituzionali le seguenti questioni: a) La distinzione di punteggio tra TFA e PAS da ottenere tramite la valorizzazione della discriminante oggettiva che rende differenti i due percorsi, ossia la presenza di una triplice prova selettiva in ingresso, da quantificare in almeno 24 punti a favore dei percorsi ordinari basati sul fabbisogno. E’ stata presentata, a tal fine, una bozza di tabella di valutazione dei titoli per l’aggiornamento imminente della seconda fascia delle graduatorie di istituto; b)l’illegittimità dell’inserimento con riservadei PAS, da sciogliere a conseguimento del titolo, nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, non essendo contemplata dal Regolamento delle supplenze (D.M. 131/07)….. c)la necessità di superare il limite della scelta di venti scuole, incrociando le graduatorie di seconda fascia degli istituti su base provinciale, in modo da assicurare il conferimento degli incarichi annuali e delle supplenze su organico di fatto a personale abilitato; d) l’affermazione del diritto degli abilitati TFA al doppio canale di reclutamento, previo inserimento nella fascia aggiuntiva delle graduatorie ad esaurimento e l’indizione di un nuovo concorso a cattedra, nel rispetto della Legge 124/99. E’ stato sottolineato, a proposito, come l’inserimento dei docenti abilitati con TFA e dei laureati in Scienze della Formazione Primaria entro l’a.a. 2012-13 nella quarta fascia delle Graduatorie ad esaurimento, rispettando la chiusura di queste ultime, avrebbe il merito di rispettare il principio di priorità temporale tra i titoli di abilitazione all’insegnamento, in attesa di una nuova riforma del reclutamento che dovrà interessare esclusivamente i futuri abilitati, tramite l’istituzione regime le lauree magistrali abilitanti con tirocinio formativo previste dal DM 249/10. e) I casi particolari dei vincitori di più classi di concorso e degli idonei al primo ciclo TFA e la paradossale condizione dei futuri abilitati del TFA sostegno, che rischiano di non poter fruire del titolo di specializzazione fino al rinnovo delle graduatorie del 2017. La componente ministeriale ha rassicurato i tieffini chel’aggiornamento delle graduatorie d’istituto avverrà nel mese di maggio e che entro fine aprile porterà a conoscenza le scelte operate in merito alla questione della differente valutazione dei titoli di abilitazione TFA ePASSe chiaro è parso il riconoscimento del valore del percorso formativo TFA e vivo l’interesse nei confronti delle soluzioni prospettate, non è stata tuttavia fornita alcuna risposta sulle soluzioni che il Ministro intenderà adottare