latecnicadellascuola.it - 7 giugno 2014
“Quota 96 e la mail della Fornero che avrebbe potuto anche non spedire”
░ Monti le diede solo 15 giorni per preparare la riforma pensionistica. Sbagliò qualcosa e lo stress le fece quel brutto scherzo in diretta; adesso la Fornero ci mette la faccia, e per questo ha la comprensione di Pasquale Almirante. D’altronde, dopo la Fornero, nessun politico ha risolto l’affaire “quota 96”. Almirante prova comprensione umana.
Sta suscitando clamore la risposta della ex ministra del lavoro, Elsa Fornero, a una docente di "Quota 96" che accusava la legge sulle pensione di non avere tenuto conto della specificità della scuola, costringendola a lavorare fino a 66 anni con bambini che pretendono invece giovani insegnanti. …L’allora governo Monti, dentro il quale aveva l'incarico di ministro del lavoro, fece un lavoro poco pulito, calandosi la benda e colpendo nel mucchio. Almeno da tante parti è stato questo il giudizio che ne è scaturito, alzando lance e battendo sugli scudi e indicando nella ferale donna la causa di ogni male… Dopo l'arrivo di alcune mail con accuse reiterate alla ex ministra, una riflessione occorre farla. Diciamo subito che Fornero avrebbe potuto non rispondere a M.C. e invece l'ha fatto, con umiltà, bisogna dirlo. Ma ha detto pure cose importanti: la crisi finanziaria alle porte, e col rischio di non riuscire a pagare gli stipendi, ha imposto la riforma delle pensioni che però nessuno si sogna di cambiare perché rende circa 35miliardi di euro. La fretta che le è stata imposta (Mi furono dati 15 giorni), mentre il precedente governo lasciva le poltrone non avendo più né credibilità né voti né maggioranza e lo stesso Tremonti abbandonava l'esecutivo, ha provocato errori di valutazione e sbagli. Errori che però, aggiunge Fornero, il parlamento avrebbe potuto correggere (Se il parlamento avesse voluto, avrebbe potuto cambiare alcune cose, come quella sugli insegnanti), ma che non ha fatto: perché non ha potuto o perché non ha voluto? Dal dicembre 2011 a oggi, cosa ha impedito in effetti di porre un rimedio al maltolto ? …
Il Messaggero - 8 giugno 2014
"Al Sud cresce la dispersione scolastica. Per la Sicilia, fuga record”
░ Le risultanze dell’ultimo del rapporto di Save the children, e Anief impongono di ripensare le strategie fin qui adottate: chi nasce al Sud e nelle isole, da famiglie indigenti e in zone con un livello socio-culturale non sufficiente, può non fruire di servizi scolastici adeguati.
È un’Italia che torna indietro e che rispolvera il periodo del secondo dopoguerra, almeno sul versante dell’istruzione. Quelle differenze sociali, che proprio a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, si erano ridotte grazie alla scolarizzazione di massa e che avevamo permesso di unire il Paese, tornano, ora, a espandersi, lasciando il palcoscenico in mano a quella che, a tutti gli effetti, può definirsi una contro-rivoluzione culturale. Il livello d’istruzione degli alunni del Mezzogiorno si allontana sempre più dagli standard europei e da quelli del resto d’Italia. … La dispersione scolastica in Sicilia e Sardegna resta tra le più preoccupanti. Nelle isole il tasso di abbandoni prematuri è del 24,8%, seguono poi la Campania e la Puglia, rispettivamente con il 21,8% e il 19,7%. A livello nazionale, invece, la media di alunni che abbandonano i banchi prima dei 16 anni si attesta al 17,6%, mentre in Europa non arriva al 13%... Stando ai dati raccolti dall’Ocse-Pisa, infatti, le competenze possedute dai 15enni italiani, oltre a essere insufficienti, non sono neanche omogenee…
tuttoscuolaNews - 9 giugno 2014
"Sostegno.Se l’Amministrazione svolge un ruolo di ammortizzatore sociale”
░ Tuttoscuola pubblica in tema di Sostegno due brevi articoli; ineccepibili, se non fosse che “Non c’è ingiustizia peggiore che fare parti uguali tra diseguali“ (Don Milani).
La legge finanziaria 2008, all’articolo 50 ha previsto che si realizzi “lo sviluppo dei processi di integrazione degli alunni diversamente abili anche attraverso opportune compensazioni tra province diverse ed in modo da non superare un rapporto medio nazionale di un insegnante ogni due alunni diversamente abili”. Parole al vento. Si poteva sperare che la forbice potesse chiudersi gradualmente nel corso degli anni, portando i territori ad avvicinarsi a quel rapporto virtuale di due alunni disabili per ogni docente di sostegno, ma non è successo nulla e la norma è rimasta sostanzialmente ignorata in tutti questi anni, secondo la logica che chi ha avuto ha avuto e se lo tiene; chi non ha avuto… Insomma, dopo sei anni tutto è rimasto sostanzialmente come prima: chi aveva più docenti di sostegno rispetto agli alunni disabili certificati ha continuato ad averne di più. Nell’anno scolastico che si sta chiudendo il rapporto è sceso a 1,90 alunni disabili per docente di sostegno: 209.814 alunni e 110.216 docenti. Ma la forbice è rimasta aperta, come prima.
Se si fosse tentato di avvicinare i rapporti territoriali con le dovute compensazioni fino a realizzare per tutte le regioni lo stesso rapporto, alcune regioni, attualmente favorite da una maggiore assegnazione di posti, avrebbero meno posti. Quali? Il Molise, la Basilicata, la Calabria, la Campania, la Puglia, la Sardegna e la Sicilia. A invarianza di spesa, 5.655 dei 110.216 posti di sostegno istituiti quest’anno non avrebbero dovuto essere assegnati a quelle regioni, bensì distribuiti alle altre, tutte con rapporto superiore alla media nazionale dell’1,90.
Un aiutino non da poco che, oltre a tradursi in una sperequazione di servizio per gli alunni, ha spostato altrettanti posti di lavoro dal Centro-nord al Sud, utilizzando - non richiesto dalla legge - il sostegno come ammortizzatore sociale.
“Meno alunni disabili e più docenti di sostegno. Perché”.
Come mai in alcune regioni - sempre quelle - in cui, rispetto all’intera popolazione scolastica vi è una minor presenza di alunni con disabilità, vi è invece, in proporzione, un maggior numero di docenti di sostegno? Come mai in quelle regioni questa che sembra una contraddizione (maggior densità di docenti di sostegno a fronte di minor densità di alunni con disabilità) si conferma con regolarità in ogni ordine di scuola, soprattutto dall’infanzia alla secondaria di I grado? È forse possibile e credibile che in quelle regioni – sempre quelle – le ASL certifichino soltanto i casi di grave disabilità, obbligando l’Amministrazione scolastica ad assegnare più docenti di sostegno? Mah! È pur vero che, soprattutto in quei territori, i giudici amministrativi danno spesso una mano a far lievitare il numero dei docenti di sostegno (a seguito di ricorsi delle famiglie), ma ciò non può giustificare quella che sembra essere da molto tempo (ancor prima dell’aiutino giudiziario) complessivamente una anomalia della politica degli organici, messa in atto, passo dopo passo. Per di più, in quelle regioni fino a ieri la percentuale di posti di sostegno stabilizzati (e qui l’eventuale gravità della disabilità non c’entra per niente) era maggiore che altrove. C’è voluta una norma di legge, la 128/2013 (peraltro applicata non compiutamente) per ridurre, senza annullarla completamente, la grave sperequazione esistente. Difficile parlare di caso o di semplice coincidenza, perché i numeri dell’attuale situazione di fatto, in questo anno scolastico che volge al termine, sembrano parlare chiaro. Più posti di sostegno in rapporto al minor numero di alunni disabili è una anomalia da sanare, eventualmente in modo graduale, assegnando il più possibile i posti di sostegno alle regioni che finora hanno avuto meno della media...
ScuolaOggi.org - 10 giugno 2014
"Progressione di carriera: si fa presto a dire”
░ Antonio Valentino propone un’articolata, interessante analisi.
… Questi mi sembrano i punti nodali su cui è possibile, dopo i molti dibattiti degli scorsi anni, registrare convergenze.
…Il problema è come rendere i docenti protagonisti di questo progetto, mettendo in campo proposte sensate e mobilitanti. Anche un ripensamento radicale dell’attuale modello di progressione di carriera, se sviluppato in questa ottica, può quindi contribuire ad avviarne il superamento. Il dato da cui partire. L’idea di una scuola formalmente affidata alla leadership esclusiva del DS non ha più ragion d’essere. Oggi la scuola per essere governata ha bisogno del concorso responsabile di una serie di figure che rendano possibile un funzionamento che produca risultati. Gli attuali livelli di complessità (i nuovi parametri per il dimensionamento, i nuovi bisogni formativi e la nuova domanda di istruzione, le sfide globali - e, prima fra tutte, quelle della formazione come fattore di uguaglianza-, ma anche l’esplosione delle nuove tecnologie), impongono il superamento degli attuali assetti organizzativi. Non ha senso infatti che funzioni fondamentali per la vita della scuola (dal funzionamento ordinario, al coordinamento di spazi vitali come i dipartimenti o le aree di progetto, la cura dello sviluppo professionale e i rapporti col territorio e le altre scuole) vengano assunte a titolo assolutamente volontario e senza garanzie di continuità e di formazione specifica, oltre che di riconoscimenti adeguati, e quindi motivanti. Abbiamo bisogno, per queste funzioni aggiuntive, di figure attrezzate, stabili, di sistema (nel senso che vanno garantite a tutte le scuole, in coerenza con l’ordine a cui appartengono e in misura congruente con il numero di studenti e le loro caratteristiche), il cui lavoro, valutato, permetta adeguati riconoscimenti economici e di carriera. … Scheda 1. Aree di intervento e relative funzioni. – Coordinamento didattico-organizzativo (dipartimenti, Consigli classi parallele, gruppi di progetto); - Collaborazione gestionale; - Orientamento tutoring counseling; - Cura e sviluppo laboratori, spazi, arredi; - Valutazione e sviluppo (Autovalutazione / Rilevazioni statistiche nazionali e internazionali /Aggiornamento e formazione /Tecnologie informatiche); Coordinamento territoriale(Rapporti/Reti/Progetti europei). Scheda 2. Progressione verticale: Si realizza attraverso passaggi a incarichi e ruoli di livello superiore (DS, Dirigenza Tecnica, Dirigenza Amministrativa ….) a fronte di crediti professionali acquisiti nei diversi ambiti della funzione docente, certificati da personale competente, “quantificati” sulla base di griglie predisposte dall’INVALSI e/o Istituti esperti, e validi a fini concorsuali nelle aree professionali in cui le competenze dimostrate possono trovare sbocco. Progressione orizzontale: Si realizza attraverso il passaggio a livelli di carriera e a posizioni stipendiali (in numero da definire, comunque circoscritto) più elevate. Ai vari livelli si accede con i crediti acquisiti attraverso le esperienze realizzate (cura e sviluppo professionale, incarichi e funzioni …), valutate e certificate. Tali crediti dovrebbero essere debitamente considerati e riconosciuti: per posizioni organizzative (incarichi) di maggiore responsabilità, all’interno del ruolo docente (coordinare progetti europei, presidiare le attività di autovalutazione di istituto e progetti di sperimentazioni e ricerca…), ma anche per ricoprire, ove si abbiano ovviamente le competenze specifiche, ruoli professionali, diversi dall’insegnamento, e inscrivibili comunque nell’area dell’educazione (educazione alimentare , ambientale, sanitaria, funzioni di counselling o di orientamento professionale); funzioni e ruoli indispensabili nella scuola dell’autonomia per far fronte a nuove necessità formative, ma anche per dare gambe ai progetti dell’autonomia in direzione di un miglioramento continuo, dentro il singolo Istituto o in reti di scuole… Per sistema
di crediti si intende l'insieme di riconoscimenti certificati, conseguenti sia alle attività di sviluppo professionale, sia allo svolgimento di incarichi aggiuntivi all’insegnamento e ai loro risultati.
Tali crediti, assieme alle esperienze realizzate nell'ambito della propria funzione e coerenti anche lato sensu al proprio ruolo, potrebbero rientrare in un apposito portfolio, che andrebbe predisposto: - secondo un format da valere a livello nazionale (potrebbero farsene carico l’INVALSI e altre strutture / agenzie competenti); - sulla base di indicazioni preliminari su questioni chiave, quali: in cosa dovrà consistere il credito (punteggi o giudizi in scala per ciascuna attività che si intende considerare e premiare); in che misura va accordato per le varie attività, iniziative o incarichi ricoperti; i valori massimi e minimi dei crediti per ciascuna attività, in modo da attribuire la necessaria discrezionalità a chi i crediti poi dovrà riconoscerli)….
Le proposte da sperimentare su "chi valuta" dovrebbero soprattutto obbedire ai criteri sia della viciniorità del valutatore rispetto agli “oggetti” valutativi (incarichi, attività, esperienze da valutare); sia della omogeneità nell’applicazione dei criteri adottati a livello nazionale; sia della rendicontabilità sociale. Quanto ai soggetti “giudicanti”, penso si debba ragionare su "figure" che obbediscano ai criteri suesposti, come, ad esempio: - Comitato di valutazione di scuola così come previsto dal ddl della scorsa legislatura (non andato in porto) sulle Norme di autogoverno delle scuole (e questo, almeno in prima battuta), per le esperienze e le attività da valutare annualmente; - DS, all’interno del Comitato di valutazione, per gli aspetti più legati alle sue competenze specifiche (rispetto delle regole interne, correttezza negli adempimenti….); - Dirigente tecnico (coadiuvato dal DS), che entra nelle procedure di progressione per verificare quando verrà richiesto dall’insegnante e dalla scuola e in uno specifico colloquio - a. le dichiarazioni e la documentazione del portfolio, b. la correttezza e l’adeguatezza dei crediti riconosciuti ai fini del passaggio, c. la valorizzazione o meno del percorso autovalutativo dell’insegnante interessato o di parti del portfolio meritevoli di approfondimenti.
Suo compito conclusivo dovrebbe essere quello di decretare il passaggio al livello superiore del percorso di carriera. Andrebbe altresì considerata l'eventualità di sperimentare il coinvolgimento di genitori e, nelle superiori, anche di studenti maggiorenni… La questione è certamente delicata e pone problemi, ma non si può sottovalutare il fatto che una misura di questo tipo potrebbe rappresentare una prima rottura con le logiche autoreferenziali… Nesuno può pensare ovviamente che questa operazione possa essere a costo zero. Valorizzazione e riconoscimenti comportano risorse economiche in misura non trascurabile…..
latecnicadellascuola.it - 10 giugno 2014
"Asili nido e scuola dell'infanzia per tutti: qualcosa si muove”
░ La Commissione Istruzione del Senato si sta occupando del ddl a prima firma Puglisi (al quale sono stati abbinati due testi della Lega Nord); anche l’Anief è stato ascoltato. Riportiamo da Alessandro Giuliani.
…. Il 10 giugno la Commissione Istruzione al Senato ha avviato la discussione generale sul disegno di legge che, attraverso un sistema integrato per l'infanzia, propone nuovi strumenti per estendere l'educazione prescolare - dai tre mesi ai sei anni - su tutto il territorio nazionale, garantendo così a tutti i bambini pari opportunità di apprendimento. Ad oggi, invece, fino a 3 anni la media nazionale di bambini accolti è inferiore al 15%. Con punte superiori al 25% in Emilia Romagna, ma anche con modeste percentuali, inferiori al 10% di fruitori potenziali, al Sud e nelle Isole…. In generale, c'è l'impegno dello Stato, coordinato con Regioni ed enti locali, a garantire la copertura di posti in asilo nido per il 33% dei bambini nel 75% dei territori entro il 2020. Con il piano straordinario per l'infanzia del 2007 e rifinanziato nei due anni successivi - si legge nella relazione introduttiva al ddl - la quota degli utenti di un servizio socio educativo pubblico era salita dal 9,5% al 14%, ma con ampie differenze territoriali, soprattutto tra nord e sud. La scuola dell'infanzia accoglie invece il ''94% dei bambini tra i tre e i sei anni'': nel dettaglio, le scuole statali ''danno risposta al 60%'' dei bambini, ''quelle paritarie pubbliche, gestite dai comuni, al 12%''. Per quanto riguarda infine gli investimenti, conclude Puglisi, è previsto ''un finanziamento statale, graduale negli anni, che va a implementare la spesa di Regioni ed enti locali, con una quota paritaria pari al 50%''. Per l'attuazione della legge sono previsti quindi ''oneri'' pari a ''500 milioni di euro per il 2014'', che andranno aumentando negli anni successivi fino ''ai 1.500 milioni di euro nel 2019''. In aiuto per le famiglie anche i ''ticket nido'', voucher del ''valore massimo di 150 euro'', che le aziende potranno erogare per aiutare i lavoratori e le lavoratrici a sostenere le spese del nido.
Se il ddl dovesse essere approvato con l’attuale testo, è prevista anche la nascita sui territori di veri e propri poli per l'infanzia (omnicomprensivi di servizi scolastici ed educativi), della garanzia di qualifiche universitarie per il ''personale educativo'' e ''tempi ragionevoli'' per gli spostamenti tra casa e scuola-servizio.
Prima di arrivare al testo che presto verrà votato, con diversi schieramenti bipartisan che si sono detti favorevoli, nei giorni scorsi la VII Commissione della Camera ha ascoltato le proposte delle parti in causa. Come quelle delle Regioni, per le quali hanno parlato gli assessori Marzocchi (Emilia-Romagna) e Aprea (Lombardia), che hanno chiesto chiarezza istituzionale, e dei sindacati: tra cui l’Anief, che ha chiesto di anticipare la scuola a 5 anni, con classi 'ponte' che prevedano la compresenza di maestri dell'infanzia e della primaria.
Corrieredellasera.it - 12 giugno 2014
"Andare all’asilo fa bene alla pagella”
░ Lo studio Ocse-Pisa e i vantaggi nell’apprendimento e nella socializzazione per i ragazzi che sono stati alla materna per più anni. Di Francesca Borgonovi, ricercatrice Ocse-Pisa.
Numerosi studi mostrano che la scuola dell’infanzia può promuovere l’apprendimento e il benessere dei bambini, con conseguenze di lungo termine sulle loro capacità di interazione con gli altri, di perseguire obiettivi con successo e, in alcuni casi, sulle capacità cognitive. Lo studio Ocse Pisa mostra che gli studenti 15enni che dichiarano di essere andati alla scuola dell’infanzia per più di un anno hanno risultati scolastici migliori dei loro coetanei che hanno dichiarato di non essere mai andati alla scuola dell’infanzia. In media, tra i Paesi Ocse, nel 2012 la differenza nel punteggio in matematica era di 53 punti, che equivale alla differenza di punteggio che risulta dall’essere andati a scuola un anno in più. In Italia la differenza di punteggio è ancora maggiore ed equivalente a 63 punti Pisa. In parte questa differenza riflette il fatto che gli studenti socio-economicamente svantaggiati tendono ad avere tassi di partecipazione inferiori: la differenza di punteggio scende infatti in media a 31 punti (e in Italia a 52 punti) quando si considerano studenti che provengono da contesti socio-economici simili…. La scuola d’infanzia aiuta i nuovi immigrati ad integrarsi e a imparare per tempo la lingua del nuovo Paese
Questo significa che molti degli studenti che potrebbero trarre un maggior beneficio dalla partecipazione a programmi quali la scuola dell’infanzia, al momento non prendono parte a questo importante ambiente di formazione e socializzazione. In Italia la proporzione degli studenti con un background d’immigrazione è cresciuta rapidamente tra il 2003 e il 2012. I nuovi immigrati sono generalmente molto più svantaggiati rispetto agli immigrati già stabiliti nel Paese e rispetto agli studenti senza un background di immigrazione. La barriera linguistica che molti di questi studenti devono affrontare è altresì un ostacolo all’apprendimento. …
TuttoScuolaNews - 13 giugno 2014
"Dimezzamento dei permessi sindacali”
░ Bozza di riforma della PA all'esame dell'incontro con i sindacati.
La decisione finale sulla riforma della PA sarà assunta dal Consiglio dei Ministri di domani, 13 giugno, sulla base della bozza di proposta, predisposta dal ministro Madia, che ha raccolto nelle settimane scorse pareri e suggerimenti. Nella bozza si parla di riduzione del 50% del monte ore dei permessi, aspettative e distacchi sindacali nel pubblico impiego, scuola compresa. A dire il vero a ridurre drasticamente il numero dei distacchi sindacali ci aveva già pensato il ministro Brunetta dell’ultimo governo Berlusconi che con riduzione del 15% per anno in un triennio aveva portato il numero a 2.233, oltre ad altri 208 distacchi per regioni, enti locali e sanità, frutto di cumulo di ore di permesso. Un’altra indefinita quantità di distacchi, sempre conseguente a cumulo di ore, è stata attuata negli altri comparti per una quantità stimata intorno a altri 300 distacchi. Il dimezzamento di tutti i distacchi (quantificabili in circa 2.700/2.800), determinerebbe il ritorno in servizio di circa 1.300/1.400 dipendenti pubblici. Per il comparto scuola che attualmente dispone di 681 distacchi normali più altri 150 circa per effetto del cumulo di ore di permesso, potrebbero ritornare in servizio a scuola 410/420 persone. C’è anche la previsione del dimezzamento dei permessi sindacali di cui fruiscono dirigenti e rappresentanti delle OO.SS. Oggi per ogni comparto (esclusi Regioni, EE.LL. e Sanità) il monte ore di permessi sindacali (da distribuire tra le OO.SS. in base alla % di rappresentatività) è calcolato in 76,5 minuti per ogni addetto di ruolo in servizio. Per la scuola, stimati in 850mila gli addetti di ruolo, il monte permessi dovrebbe essere pari a 1 milione e 83.750 ore che, dimezzato, si ridurrebbe a poco più di mezzo milione, un terzo, comunque, da riservare alle RSU e il restante terzo da cumulare in distacchi.
Un altro monte ore di permessi riguarda la partecipazione alle riunioni di organismi direttivi statutari del sindacati: 165.901 ore (di cui 111.367 per il comparto scuola). Se dimezzato anche quello, i sindacati dovranno razionalizzare gli incontri. Comunque vadano a finire le cose (dimezzamento del monte ore di permesso e dei distacchi) si annunciano tempi duri per il sindacato.