Dal giudice europeo parere positivo al ricorso dei sindacati che chiede l'assunzione oltre i 36 mesi: "Non si combatte l'abuso dei contratti a tempo determinato".
Notizie contraddittorie sui i precari storici della scuola. Mentre il governo medita di cancellare le graduatorie d'istituto - che annoverano quasi 300mila supplenti - il giudice europeo dà parere positivo al ricorso dei sindacati che - appellandosi alla normativa europea in materia di precariato - chiede l'assunzione di tutti i supplenti che hanno prestato servizio ininterrotto per almeno 36 mesi. Secondo le stime sindacali, si tratterebbe di un numero di soggetti variabile tra 100mila e 140mila, che fra qualche mese potrebbero coronare ope legis il sogno della cattedra fissa. E niente più andirivieni da una scuola all'altra ancora per chissà quanti anni. La questione è stata sollevata per prima dall'Anief che ha patrocinato diversi ricorsi al giudice del lavoro per l'applicazione della direttiva europea sul divieto di abuso dei contratti a tempo determinato nella scuola.
A richiedere l'intervento della Corte di giustizia europea sul presunto abuso da parte del governo italiano del contratto a termine per i supplenti della scuola e stato il giudice del lavoro di Napoli, seguito da altri colleghi e dalla stessa Corte costituzionale. Al centro della querelle l'interpretazione della cosiddetta clausola numero 5: quella sulle "misure di prevenzione degli abusi" per i contratti a tempo determinato. In merito, il parere dell'Avvocato generale della corte di giustizia europea, Maciej Szpunar, è piuttosto tranchant. E lascia intravedere un giudizio di merito, che dovrebbe arrivare a settembre o al massimo ad ottobre, in linea con l'idea che si è fatto mister Szpunar.
"Alla luce delle considerazioni" effettuate sul caso in questione "una normativa nazionale", come quella italiana che autorizza ad assumere a tempo determinato in attesa che si svolgano i concorsi, "senza che vi sia la benché minima certezza - scrive Szpunar - sulla data in cui tali procedure si concluderanno (...) senza definire criteri obiettivi e trasparenti che consentano di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un'esigenza reale e (...) non prevede alcuna misura per prevenire e sanzionare il ricorso abusivo alla successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore scolastico, non può essere considerata come giustificata da ragioni obiettive".
In altre parole, la normativa italiana non combatterebbe adeguatamente l'abuso dei contratti a tempo determinato nella scuola. Una questione di cui si erano accorti i sindacati che hanno avviato il procedimento. Per i rappresentanti dei lavoratori non ci sarebbe nessuna ragione obiettiva perché ogni anno migliaia di supplenti vengano assunti a tempo determinato, nonostante la cattedra loro assegnata sia vacante. Cioè senza un titolare. Perché non assumere a tempo indeterminato il docente se il posto è libero?, si chiedono i rappresentanti dei lavoratori. La normativa europea stabilisce che, a meno di ragioni particolari, i contratti a tempo determinato non possono essere sine die. E nel 2001 l'Italia si è uniformata, con una disposizione di legge, a questa direttiva.
Ma, poi, ha continuato ad assegnare ad ogni inizio d'anno migliaia di supplenze fino al 31 agosto. E, alla luce del parere espresso ieri, 125mila precari storici - 100mila insegnanti e 25mila Ata - sperano nel miracolo. Per l'Anief, "siamo alla resa dei conti". "Per l'avvocato generale della Corte di giustizia europea - dichiara Marcello Pacifico - assegnare più di 100mile supplenze l'anno su posti liberi è inaccettabile". Secondo Sergio Galleano, legale dell'Anief a Lussemburgo, "il tono delle conclusioni depositate non sembra lasciare molto spazio ad una soluzione diversa". "Il governo - dice Domenico Pantaleo, della Flc Cgil - non ha più alibi per rinviare o centellinare le immissioni in ruolo su tutti posti disponibili della scuola". Per la Gilda degli insegnanti, "anche grazie alla Federazione Gilda-Unams, si preannuncia una vittoria". E per i governo si preannuncia un'altra grana.
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