Il Mattino – 21 luglio 2014
"Ristrutturiamo le scuole ma basta riforme pazze"
░ Giorgio Israel sulla pulsione del Governo a rifondazioni radicali della Scuola. Riportiamo parzialmente.
...E' emerso un progetto strampalato, che prevede la trasformazione delle scuole in «centri civici» aperti fino a sera, la cui funzione non sarebbe più ristretta all'istruzione (tagliare sull'insegnamento tradizionale è lo sport prediletto dei «riformatori») ma estesa ad attività «culturali» e «associative», e all'esercizio di una funzione di assistenza globale sul territorio. Insomma, una sorta di oratori laici, dove parcheggiare i figli tutto il giorno, tra attività teatrali e sportive, e dove assistere il nonno nella dichiarazione dei redditi. In tal modo, si realizzerebbe l'agognata trasformazione dell'insegnante in «facilitatore», previa la definizione dei suoi orari, generalizzando l'idea già in atto in ambito universitario secondo cui si può quantificare l'impiego di tempo di un insegnante per preparare le lezioni, correggere i compiti o aggiornarsi, trasformando in stolida burocrazia quel che dovrebbe essere materia di un'intelligente valutazione.... Si apprende che un altro poderoso progetto epocale sta prendendo forma. Riguarderebbe nientemeno che la riforma globale dei cicli scolastici. È evidente che si sta consolidando l'idea di ridurre i licei a 4 anni, con la tecnica efferata di evitare le discussioni di merito e creando il fatto compiuto con le «sperimentazioni». Ma qui si va oltre, riesumando un progetto di ben 15 anni fa, la riforma dei cicli dell'ex-ministro Berlinguer, che prevedeva un ciclo primario settennale e un altro superiore quinquennale. Sembra che non sia stata assimilata la lezione di quali disastri abbiano compiuto anni di riforme contraddittorie e sgangherate e di esperimenti avventati «in corpore vili» e che non ci si acconci ad affrontare una fase di calma riflessione, limitandosi a rimettere in funzione il funzionamento ordinato del sistema. Invece, questi progetti sembrano alimentati da un vero e proprio odio ideologico della cultura, dell'insegnamento tradizionale, dei percorsi di apprendimento che non siano immediatamente finalizzati al lavoro e che non siano brevi, che culmina nel desiderio compulsivo di distruggere i licei.... Non è necessario che tutti facciano il liceo e l'università. Ma non si vede perché l'avviamento precoce al lavoro di una fascia di giovani sia in contraddizione col fatto che un'alta fascia studi più a lungo, anche molto a lungo. Come pensare che un paese avanzato possa fare a meno di personale di altissima qualificazione? Ci si rende conto che la tecnologia contemporanea richiede più tempo di studio, più approfondimento? E perché mai non dovrebbe sussistere uno spazio per l'alta formazione culturale di tipo umanistico, senza la quale anche la conoscenza scientifica perde una delle principali fonti di alimento? ....
Latecnicadellascuola.it – 21 luglio 2014
"Supplenze brevi, sì o no?"
░ Di Silvana La Porta. Le opinioni di Reggi, Aprea e Bastico.
E' questo uno dei punti più dibattuti della proposta di riforma Giannini-Reggi, la querelle che sta facendo infuriare i precari della scuola... Il risparmio stimato dall'eventuale eliminazione delle supplenze brevi, affidate ai docenti di ruolo, è di circa 800 milioni di euro. Il tempo, all'interno delle scuole, si sta economicizzando e la terminologia diventa sempre più scientifica: è il momento, a quanto si vocifera, della creazione di una banca del tempo, un numero di ore che i docenti di ruolo, non si sa con quale retribuzione, dovrebbero mettere a disposizione dell'istituzione. ... Da tempo si sbandiera l'idea della flessibilità organizzativa e didattica che è certo un aspetto organizzativo nonché dinamico che tocca l'istituto dell'orario e deve rispondere, in un'armonica composizione di interessi, a particolari esigenze dei lavoratori e quelle della scuola come sistema. Inoltre è chiaro che l'orario di lavoro dei docenti, pur essendo contrattualmente definiti la funzione e il profilo professionale comune a tutti (cfr artt. 25 e 26 del CCNL 2006/2009), assume un diverso approccio, non solo per quantità oraria, secondo i diversi gradi di scuola, l'aggregazione in istituti comprensivi e anche i diversi ordini di scuola a livello superiore. Non a caso anche linguisticamente la questione dell'orario docenti è abbastanza complessa. Esiste una differenza tra orario di servizio (la durata di funzionamento del servizio scolastico, l'apertura della scuola con le sue articolazioni); orario di lezione (l'orario che comprende le attività curriculari); e orario di lavoro (la durata della prestazione del singolo lavoratore che comprende tutte le tipologie delle attività relative al proprio profilo professionale e alla specifica funzione). Da tempo in parecchi istituti è vigente il cosiddetto contratto di solidarietà per le sostituzioni giornaliere, appunto una forma di banca delle ore, senza aggravi di spesa per l'amministrazione pubblica, grazie alla quale il dirigente si garantisce la possibilità di garantire le sostituzioni quotidiane. ... Si vorrebbe (si attendono chiarimenti in tal senso) estendere questo sistema anche alle supplenze brevi che, proprio per la loro brevità, non possono garantire alcun vantaggio didattico per gli allievi. "Le supplenze brevi vanno sostituite..." dichiara il Sottosegretario Reggi, non aggiungendo ulteriori ore di lezione ai docenti (Reggi ha smentito questa interpretazione della sua intervista a Repubblica), ma dando attuazione all'organico funzionale di scuola o di rete, come previsto dalla legge 35/2012. A quanto pare, dunque, al di là del sensazionalismo delle notizie e della comprensibile angoscia dei precari, la scuola dell'autonomia dovrebbe andare in tale direzione. Sulla quale si ritrovano d'accordo anche donne di scuola di posizioni antitetiche come Valentina Aprea e Mariangela Bastico. In un'intervista rilasciata a Italia Oggi la Aprea, ex sottosegretario alla PI e assessore regionale all'istruzione della Lombardia, dichiara: "Trovo auspicabile un orario maggiore per gli insegnanti se legato a maggiori responsabilità o attività, comprese le sostituzioni dei colleghi assenti per brevi periodi. Questo però funziona se l'insegnante ha un suo interesse anche economico. Servono risorse." E sulle supplenze brevi: "Non ha senso per gli studenti avere docenti estranei alla classe che fanno qualche ora e via, è tempo perso. Sostituire i colleghi della classe all'interno di un progetto educativo condiviso, è meglio anche per il supplente, vuol dire non essere dei tappabuchi. Ovviamente questo sistema non va bene per le lunghe sostituzioni, per le quali servirebbero altri strumenti, come gli organici di rete." Della stessa idea la Bastico, ex viceministro alla P.I. del governo Prodi: "Credo che obiettivo, anche per gli insegnanti precari, sia giungere ad un organico stabile corrispondente alle esigenze scolastiche, non ampliare la platea di coloro che hanno svolto un'attività scolastica, magari di pochi giorni, aumentando soltanto il numero delle persone in graduatoria, in un'attesa senza fine. Comprendo l'obiezione di chi dice "meglio piuttosto che niente", ma non penso che questo possa essere l'obiettivo verso cui orientare le riforme."
lastampa.it – 22 luglio 2014
"Scuole private: dove arriva la libertà ?"
░ Riportiamo parti di un articolo del prof. V.Zagrebelsky,riferito al caso dell'insegnante alla quale è stato negato il rinnovo di un contratto di insegnamento da parte di una scuola privata cattolica, sulla base di un preteso suo orientamento sessuale che la scuola disapprova: non si può più oltre eludere il problema e occorrerà fissare i paletti a limitare la discrezionalità delle scuole private. La posizione dell'ANIEF è chiara: alle paritarie si dia libertà, secondo la previsione costituzionale, e "senza oneri per lo Stato": le scuole che ricevono finanziamenti devono riconoscere piena libertà ai docenti in materia didattica e di scelte educative, e non possono avere discrizionalità nelle nomine del personale dovendo assumerlo secondo l'ordine che ha nelle graduatorie pubbliche (perché è lo Stato che ne valuta la professionalità, e se i contribuenti pagano, tutti i cittadini devono avere le medesime chance occupazionali, senza favoritismi nè discriminazioni: non posso dare i miei soldi a chi non conosco perché ne faccia ciò che meglio crede posponendo nelle assunzioni gente che lo Stato ha valutato avere titoli maggiori.
... La libertà d'insegnamento assicurata dalla nostra Costituzione, accanto all'obbligo per la Repubblica di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi, implica anche la libertà di istituire scuole da parte di privati. La legge, che fissa i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, come stabilisce ancora la Costituzione, deve assicurare ad esse piena libertà. Se sull'impostazione culturale della scuola pubblica incide in modo fondamentale il carattere di laicità, principio supremo della Repubblica, garanzia di pluralismo, equidistanza, non schieramento in favore di questa o quella religione o ideologia, da quel carattere per definizione si distacca una scuola privata, che si presenti come ideologicamente, religiosamente, culturalmente caratterizzata. Il riconoscimento costituzionale della libertà di istituire scuole diverse da quella statale, presuppone l'esistenza e la valorizzazione di differenti impostazioni di contenuto e metodo: diversità capaci di causare divisione e opposizione nella società e tuttavia essenziali per nutrire il pluralismo senza il quale non c'è società democratica. Nell'ispirazione della Costituzione, la pluralità di istituzioni di istruzione è apprezzata, non solo tollerata... Alla libertà di istituire scuole diverse corrisponde quella di scegliere a quale di esse far riferimento per l'istruzione e l'educazione propria o dei propri figli. L'esercizio di questa libertà presuppone la conoscenza dell'orientamento delle varie istituzioni scolastiche e l'affidamento che l'orientamento dichiarato sia effettivamente seguito. Non solo in Italia si è posto il problema di come la specificità di scuole «di tendenza» possa essere salvaguardata, rispetto al principio generale che afferma l'eguaglianza e il divieto di discriminazione tra i lavoratori, che sono in questo caso chiamati quotidianamente a dispensare un servizio per definizione culturalmente orientato. Nel diritto dell'Unione europea e in quello nazionale, la parità di trattamento in materia di lavoro, vieta ogni discriminazione legata «alla religione, alle convinzioni personali, agli handicap, all'età e all'orientamento sessuale». Tuttavia, nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, non costituiscono atti di discriminazione le differenze di trattamento praticate quando siano necessarie per realizzare gli scopi istituzionali nelle «istituzioni di tendenza», come sono gli enti religiosi o le altre organizzazioni pubbliche o private caratterizzate dalla professione di determinate' religioni o convinzioni. Questa eccezione fornisce l'indicazione necessaria per sciogliere il conflitto esistente tra la libertà di insegnamento e la libertà religiosa fatta valere dalla scuola, e il diritto al lavoro, il diritto di espressione, la libertà di pensiero e di religione, il diritto al rispetto della propria vita privata rivendicati dall'insegnante. Risolutivi nei singoli casi sono i criteri di proporzione e ragionevolezza. ... Lo schema entro il quale si inseriscono i rapporti tra il diritto alla specificità delle scuole religiosamente caratterizzate e i diritti e libertà fondamentali di coloro che operano nel loro ambito, lascia aperto un problema ulteriore. Fino a che punto lo Stato può riconoscere la parità (ed anche finanziare) scuole private, quando emergano contrasti profondi con principi fondamentali dell'ordinamento della Costituzione repubblicana? ... La deferenza rispetto a orientamenti religiosi tradizionalmente presenti in Italia ha lasciato sopito il problema. Ma da un lato la nuova reattività sociale rispetto ai diritti e le libertà delle persone, e dall'altro la nuova realtà di religioni non tradizionali, come quella islamica, impediranno di eludere un problema che è politico e giuridico insieme...
Corriere della sera 27ora– 22 luglio 2014
"Dopo gli eroi dei concorsi a cattedra, per gli aspiranti tirocinanti 2.0 solo quiz"
░ Rachele Grandinetti si sofferma sulle risibili metodiche di selezione adottate per l'assunzione degli insegnanti.
In effetti le prove "strutturate" (specialmente i test a risposte multiple) sono del tutto inadeguati allo scopo di individuare i migliori; a parte ciò, il timore è che a prepararli non siano studiosi eminenti (dove troverebbero il tempo di preparali) ma collaboratori cooptati non si sa in base a quali titoli. Gentile Rachele, questo suo cruccio lo abbiamo tutti i precari, e anche la mortificazione (a che livello è scesa la considerazione dei decisori politici nei confronti della funzione docente)e la delusione (a che livello è la capacità di discernimento di coloro ai quali assegniamo la presa delle decisioni politiche). Rassegnati non siamo: questa rubrica continuerà a spiegare che i quiz non sono utili per selezionare laureati.
Se dovessi rappresentare la realtà con un simbolo sceglierei sicuramente la "x", quell'incognita che tra banchi di scuola ci ha fatto sudare e temere i compiti in classe. Tutti in grembiule e in bilico sulle assi, per scoprire le caratteristiche di variabili non tanto ordinate. È una lettera, è un segno e le difficoltà si moltiplicano. Basta un "per" e le mani non bastano più a tenere il conto. È quella stessa crocetta che, nell'incertezza dell'esito di una partita, scriviamo sulla schedina; la stessa che ci divertiamo a tracciare su una a, una b o una c sui test di personalità in compagnia delle amiche sotto l'ombrellone. Ed è la stessa che, ormai, si è fatta strumento e misura di valutazione. Sì, davvero la vita è tutta un quiz e il futuro può dipendere da una x. Perché, in fondo, il domani è sempre un'incognita. Ce li hanno proposti inizialmente agli esami di Stato per mettere alla (terza) prova la nostra cultura generale. Da studentessa mi sembrò quasi rassicurante, niente in confronto al foglio bianco da riempire il primo e il secondo giorno. Poi quelle caselline da compilare si sono fatte strada negli atenei come test d'ingresso all'università. Adesso le crocette sono le regine dei concorsi. Sono Rachele, una gocciolina del mare magnum che, in questi giorni, ha affrontato il test preliminare per il TFA, il Tirocinio Formativo Attivo, un corso di formazione e abilitazione all'insegnamento nelle scuole di secondo grado. In base al titolo di studio, ciascuno può accedere ad una o più classi di concorso. Io, laureata in lettere, ho "gareggiato" per la 043 (italiano, storia e geografia) e la 050 (materie letterarie negli istituti di secondo grado). Non avevo mai partecipato ad un concorso pubblico. I miei genitori, mia madre dirigente scolastico e mio padre insegnante di liceo, sono gli eroi dei concorsi a cattedra. Mi avevano raccontato di aule larghe e silenzi lunghi, banchi lontani e occhi vigili vicini. Niente di tutto ciò. L'aspirante tirocinante 2.0 vive un'atmosfera diversa: chiasso, disordine e spazio insufficiente per collocarci (eppure le iscrizioni e la tassa di 50 euro – perché è col quiz che si fanno i milioni – penso avessero parlato abbastanza chiaro circa l'afflusso) e scene da film. Infatti, al momento della comunicazione: «Abbiamo precisi ordini da parte del Ministero: la prova sarà annullata a chiunque venga sorpreso con un cellulare», un silenzio improvviso invade la sala e oltre cento persone che, contemporaneamente, si alzano ricordando di aver dimenticato lo smartphone in tasca. C'è una cosa che mi ha lasciata assai perplessa. Nonostante la preparazione cucita addosso con anni di studio, per alcune domande di questa famosa "cultura generale" che si richiede al futuro insegnante, era davvero inutile scavare nella memoria andando alla ricerca di cose mai incontrate nel mezzo del cammin di nostra vita e tra le pagine dei libri. Lacune mie, indubbiamente. Però mi fa tristemente sorridere pensare che, per valutare il mio potenziale di formatore, debba sapere quale, tra vestito, bivio, miope e indagine, sia la parola del "vocabolario fondamentale dell'italiano". Onestamente, prima del test per il TFA, non sapevo neanche cosa fosse il "vocabolario fondamentale dell'italiano". Ma ci sta. Non ci sta, però, che su un esame preparato e sigillato dal Ministero della Pubblica Istruzione ci siano errori di grammatica. Forse ce ne siamo accorti in pochi. O forse, chi l'ha notato, ha storto il naso per un momento e poi si è riconcentrato a mettere "ics". Il Ministero mi interroga sul vocabolario fondamentale dell'italiano e poi pone questa domanda: «Cosa rappresenta il Zollverein del 1843?». Una delle quattro opzioni era: «Un unione commerciale di stampo liberista fra la Prussia e gli altri stati tedeschi». Un'unione. Senza l'apostrofo. Per non parlare di quell'articolo davanti a Zollverein e della data sbagliata (lo Zollverein è del 1834). Mi sento un asino a cui il bue ha dato del cornuto. E non addolciamo i bocconi con lo zucchero degli errori di stampa. Non posso davvero credere che, nel preparare un esame per un concorso nazionale, a nessuno sia caduto un solo occhio su quelle parole. Ma non è questo che conta. Quello che conta è mettere "x", anche a caso, perché laddove non arrivano le competenze, interviene la fortuna. E se la dea bendata assiste la tua penna nera a sfera facendoti azzeccare le risposte giuste allora sì che sei pronto per fare l'insegnante. È puro nozionismo, non è cultura generale. Un tempo, chi non era in grado di leggere e scrivere apponeva una X come firma. Non trovo molte differenze. Testano la nostra capacità (e fortuna) di mettere x, invece di capire se siamo in grado di parlare e scrivere bene in italiano, di comprendere il significato superficiale e profondo di un testo scritto, di orientarci nella storia, di fornire pennellate di arte, di viaggiare nella geografia. Ma ognuno deve portare la sua croce. A noi, brancolanti nel buio della precarietà, tocca portare una crocetta sulle spalle. È piccola ma pesa, richiede grande forza. E non basta l'unione a fare la forza. Nemmeno con l'apostrofo.
corrieredellasera.it – 23 luglio 2014
"Edilizia scolastica, in arrivo le risorse dell'8 per mille"
░ I finanziamenti potranno andare alla ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico.
In arrivo per l'edilizia scolastica anche le risorse dell'8 per mille a diretta gestione statale. Andrà all'esame del Consiglio dei ministri oggi pomeriggio il decreto presidenziale che modifica i criteri per l'utilizzazione dell'otto per mille devoluto allo Stato, che aggiungerà la categoria edilizia scolastica pubblica alle voci finanziate con questi fondi. Il provvedimento, così come previsto dalla legge di stabilità per il 2014, inserisce una quinta quota tra i beneficiari dell'8 per mille Irpef a gestione statale, inserendo anche «ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica». Altri capitoli riguardano il contrasto della fame nel mondo, le calamità naturali, l'assistenza ai rifugiati e la conservazione dei Beni culturali. Attualmente il piano di edilizia scolastica del governo prevede investimenti per oltre un miliardo di euro, con 20.845 edifici coinvolti. La scelta per la destinazione dell'otto per mille dell'Irpef viene effettuata dal contribuente apponendo la propria firma sulla dichiarazione dei redditi in corrispondenza dell'istituzione prescelta: a parte le confessioni religiose, già adesso è possibile destinare l'8 per mille allo Stato, ma solo per scopi sociali ed umanitari. Se il decreto dovesse essere approvato, il contribuente saprà che, scegliendo di donare il suo 8 per mille allo Stato, lo donerebbe ad una platea più ampia di possibili destinazioni. Saranno poi le commissioni istituite ad hoc a decidere per la ripartizione. In caso di scelte non espresse dai contribuenti, la destinazione è stabilita proporzionalmente alle scelte espresse e secondo gli accordi sottoscritti con le Confessioni religiose
latecnicadellascuola.it – 24 luglio 2014
"Puntiamo sugli stage: d'ora in poi anche nei licei e nel 'quizzone'"
░ Di Alessandro Giuliani.
om'è noto, l'ANIEF ha proposto in sede parlamentare che il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione sia esteso al triennio tutti i corsi di studio secondario di II grado, e che i due anni conclusivi vi abbiano carattere marcatamente professionalizzante attivando percorsi scuola/lavoro sotto la responsabilità del d.s. in collaborazione con aziende, teatri, biblioteche, Istituzioni regionali, Confindustria, ABI, Unioncamere ecc., tutti accettati come partner educativi della Scuola.
L'annuncio è arrivato attraverso le pagine del Sole 24 Ore, attraverso un'intervista al sottosegretario all'Istruzione Angela D'Onghia: bisogna offrire almeno 99 ore di formazione (che corrispondono a 15 giorni lavorativi) in azienda, è un'obiettivo fondamentale per ridurre la dispersione.... Estendere il più possibile le attività di scuola-lavoro, soprattutto al quinto anno delle superiori e nei licei, dove oggi si svolgono solo in rari casi, ma anche introdurre i contenuti affrontati in azienda nella terza prova dell'Esame di maturità: sono gli obiettivi su cui sta lavorando il Miur in vista del prossimo anno scolastico. Nell'articolo, il sottosegretario ha specificato che l'amministrazione scolastica sta ultimando la bozza di regolamento che determinerà, in base al decreto Carrozza, i diritti e i doveri degli studenti impegnati nei percorsi scuola-lavoro già previsti dal Decreto legislativo N. 77/2005. La sua attuazione non è semplice, perché anche se l'accordo generale è già stato trovato, prevede comunque il coinvolgimento, oltre che del Miur, anche del ministero del Lavoro, delle Regioni e delle associazioni studentesche. Il provvedimento riguarderà tutti gli studenti a partire dai quindici anni di età. Non comporterà la sottoscrizione di alcun contratto di lavoro... L'ultimo monitoraggio Miur-Indire, risalente allo scorso anno (i dati dell'a.s. in corso possono essere comunicati dalle scuole fino al prossimo 30 settembre)ha conteggiato che sono stati 228mila gli studenti impegnati nell'alternanza scuola-lavoro: si tratta di numeri modesti, pari ad appena l'8,7% del totale degli alunni iscritti alle scuole secondarie superiori...