Dal "Rapporto Italia 2015", pubblicato oggi, risulta che nel nostro Paese arrivano al titolo massimo di studio appena il 22,4% dei cittadini della fascia di età tra i 30 e i 34 anni, contro una media dell'Unione del 36,5%: gli uomini fermi addirittura al 17,7%. L’obiettivo fissato da Bruxelles, il 40%, rimane lontanissimo.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): da anni in Italia non si investe adeguatamente per l’Università. E nemmeno si fa un orientamento adeguato. Nel frattempo ai giovani è stata tolta anche la speranza.
L’Italia si conferma la maglia nera d’Europa per numero di laureati: dal "Rapporto Italia 2015" dell'Eurispes, presentato oggi è emerso che nella fascia di età tra i 30 e i 34 anni l'Italia è appena a metà strada dall'obiettivo fissato, del 40%, ma soprattutto rappresenta il fanalino di coda dell'Europa. Nel nostro Paese i laureati sono infatti appena 22,4%, contro una media dell'Unione del 36,5%, peraltro con una differenza abissale tra uomini e donne che riescono a conseguire il titolo universitario o post-universitario (17,7% contro 27,2%).
Anief ricorda che questi numeri rappresentano, purtroppo, una costante da diversi anni: già nel 2012/13 gli iscritti ad un corso universitario sono stati 1.709.407, il 2,4% in meno rispetto all'anno precedente. Nello stesso periodo, in 297.0000 si sono laureati, 1.400 in meno (-0,5%) rispetto all'anno precedente. Si tratta di numeri deludenti, che non possiamo permetterci: basterebbe ricordare che l’Italia vanta un numero di 30-34enni che ha conseguito un titolo di studio universitario (o equivalente) davvero basso: circa il 20%, a dispetto dell'obiettivo del 40% fissato dalla strategia ''Europa 2020''.
Il problema è che l’Italia investe sempre meno nella scuola, ma anche nell’insegnamento accademico: il nostro Paese si contraddistingue perché è l’unico dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente, contro un aumento in media del 62% degli altri; all’Università si registra una perenne situazione di stand by, con sempre meno iscritti, troppi studenti fuori corso e un numero altissimo di cultori, assegnisti, dottori di ricerca, ricercatori (figura ad esaurimento) e quasi-docenti in perenne attesa di fare il “salto” negli organici accademici.
Ora, anziché investire su un migliore orientamento, incentivando gli studenti e gettare le basi per proporre un’offerta formativa di livello, da anni è impegnata a ridurre spese e finanziamenti agli atenei. Proprio in questi giorni, il titolare del Miur, Stefania Giannini, ha firmato e pubblicato il decreto con il riparto del Fondo di finanziamento ordinario alle università statali e il decreto sul “costo standard” di formazione per studente in corso.
Si tratta di un sistema inedito, che punta ad agganciare lo stanziamento delle risorse non più a criteri storici, ma alla qualità e alla tipologia dei servizi offerti agli studenti. “Il decreto - assicurano dal Miur - tiene conto degli atenei situati in contesti economicamente più deboli, con clausole di salvaguardia che stabiliscono un tetto massimo di riduzione dei fondi pari al 3,5%, contro il 5% del 2013”. Tuttavia, fa notare l’Anief, sarà inevitabile che ad essere penalizzati da questa nuova distribuzione di circa il 20% delle risorse saranno gli atenei (e gli studenti) collocati nei contesti più svantaggiati, ad iniziare da quelli del Sud. Con un ulteriore inevitabile aumento degli abbandoni.
“La verità – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - è che oggi in Italia non si investe adeguatamente per l’Università. E nemmeno si fa un orientamento adeguato: l’ultima legge, in merito, introdotta dall’ex ministro Maria Chiara Corrozza, è fallita clamorosamente. A rendere ancora più complicata la situazione è stato anche l’inasprimento delle tasse d’iscrizione, richieste dagli atenei agli studenti fuori corso, aumentate di cifre che vanno dal 25% al 100%”.
“Il problema – continua Pacifico – non è poi limitato alla fascia di età 30-34 anni. Ma va esteso a tutti gli italiani adulti: se si considerano tutti i cittadini che rientrano tra i 25 e i 64 anni, solo il 15% ha un livello di istruzione universitario. Meno della metà della media Ocse, dove i laureati in questo spazio anagrafico sono il 32%. E il futuro non promette nulla di buona, perchè nel frattempo, la percentuale di studenti quindicenni che spera di conseguire la laurea è scesa dal 51,1% del 2003 al 40,9% del 2009: assieme ai titoli di studio, ci stanno togliendo anche la speranza”.
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