La modesta riduzione di risorse si evince da un approfondimento del rapporto Ocse 'Education at a Glance 2015' sui sistemi di istruzione di 38 Paesi messi a confronto: ci collochiamo al 31esimo posto, con la spesa per l’istruzione pari al 7,4% di quella pubblica complessiva. Contro la media dell’11,6%. Anche a livello universitario gli investimenti languono: il Belpaese investe per gli atenei la seconda quota più bassa dopo il Lussemburgo, più o meno come Brasile e Indonesia.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): il futuro è nero, perché per ammissione del nostro Ministero dell’Economia, la spesa pubblica per l’Istruzione rispetto al Pil sarà in continuo calo almeno fino al 2035. Eppure è risaputo che un giovane ben formato e preparato rappresenta una risorsa in più, non solo per la cittadinanza, ma anche per rilanciare lo sviluppo economico del Paese. Questa tesi, non la insegna soltanto Jean-Paul Fitoussi, ma lo praticano da tempo, con successi indiscussi, la cancelliera Angela Merkel e il presidente Barack Obama.
Il Governo continua a concentrare l’attenzione sulla riforma della scuola, ma sugli investimenti rivolti all’Istruzione pubblica tutto tace. Invece ci sarebbe molto da dire. Perché se tra il 2010 e il 2012 il Pil di molti Paesi ha cominciato a risalire, ci sono realtà nazionali – come Australia, Canada e Italia – dove è avvenuto il processo inverso. La modesta riduzione di risorse si evince dal rapporto Ocse 'Education at a Glance 2015' sui sistemi di istruzione di 38 Paesi messi a confronto: da un’analisi dei dati ufficiali, si evince che la nostra Penisola si colloca nel raggruppamento dei Paesi più restii a ben formare i propri giovani. Che poi sono gli stessi Paesi che pagano meno i loro docenti: l’Ocse ci dice che rispetto ai lavoratori con qualifiche equivalenti, le buste paga degli insegnanti italiani sono costituite in media dal 33% in meno.
Considerando l’investimento rispetto al Pil, il quadro è davvero desolante: nel 2012, per la scuola nel Belpaese si è speso appena il 3,9% del Pil, contro il 5,2% della media Ocse. Si tratta di un gap enorme, pari a 1,3 punti, che posiziona l’Italia al 31esimo posto su 38. La spesa per l’istruzione in Italia è, inoltre, pari al 7,4% di quella pubblica complessiva; contro l’11,6% della media Ocse. Sono sotto la media, i costi sostenuti per tutti i livelli di istruzione: dai 7.924 dollari annui per studente della scuola primaria (8.247 media Ocse), agli 8.774 dollari della secondaria (9.518) fino ai 10.071 dollari dell’istruzione universitaria, pari a solo due terzi della spesa media Ocse che supera i 15 mila dollari.
A proposito di Università, l’Ocse ha evidenziato che, sempre in Italia, nel 2012 lo Stato ha speso 10.071 dollari statunitensi per studente: è una spesa, in effetti, superiore a quello di più di un terzo dei Paesi Ocse e Paesi partner, ma a ben vedere è pari a solo due terzi della spesa media Ocse. Complessivamente, il finanziamento delle istituzioni del settore d’istruzione terziario rappresentava lo 0.9% del prodotto interno lordo del Paese, con un leggero aumento rispetto al livello di spesa dello 0.8% registrato nel 2000, ma rappresenta comunque la seconda quota più bassa tra i Paesi dell’Ocse dopo il Lussemburgo, e un livello equivalente a quello di Brasile e Indonesia. All’opposto, Paesi come Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti, hanno dedicato quasi il 2%, o una quota superiore, del Pil all’istruzione accademica.
I dati emessi dall’Ocse, purtroppo, confermano di quanto già messo in evidenza di recente dalla Commissione europea: nel 2012, infatti, i Governi di sedici Paesi della Comunità Europea hanno applicato la riduzione del 5% del finanziamento dedicato l’anno precedente al settore dell’istruzione, dell’università e della ricerca. In Italia, però, i tagli hanno continuato a investire anche la spesa per studente, già sotto la media UE, in cattiva compagnia di Spagna, Croazia, Bulgaria, Lettonia e Romania. L’Italia si è contraddistinto perché è stato l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri. Con il risultato che andando ad analizzare le fonti di finanziamento delle spese dirette pubbliche per gli istituti scolastici e per i sussidi pubblici alle famiglie di tutti i livelli d'istruzione, l’Italia si piazza mestamente in fondo alla classifica dei Paesi europei. E si si guarda oltre ai confini dell’UE il quadro non cambia: negli Stati Uniti, la spesa pubblica per l’Istruzione è pari al 6,9% del Pil. Superano ampiamente il nostro Paese pure l’Australia (5,8%) e il Giappone (5,1%).
Anche l'ultimo Annuario statistico italiano pubblicato dall’Istat conferma questa tendenza: il nostro Paese riserva alla crescita e alla cultura dei sui giovani appena il 4,6% del Prodotto interno lordo. La graduatoria è guidata dalla Danimarca (7,9% di “Spesa pubblica per l’istruzione in % sul Pil”), ma fanno meglio di noi anche tutti Paesi più vicini all’Italia, come Regno Unito (6,4%), Paesi Bassi (6,2%), Francia (6,1%), Portogallo (5,5%). La stessa Spagna, che non brilla di certo per le condizioni economiche floride, riesce comunque a dedicare alla cultura delle nuove generazioni il 5,5%, che corrisponde quasi ad un punto percentuale in più rispetto all’Italia.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal, “c’è poco da sperare per un cambio di marcia, almeno finchè in Italia si continua a considerare la formazione, nella scuola e nell’università, una mera spesa, piuttosto che un investimento. Il futuro non appare roseo, perché per ammissione del Ministero dell’Economia, la spesa pubblica per l’Istruzione rispetto al Pil sarà in continuo calo almeno fino al 2035: passerà dal 4% al 3,2%. Per poi risalire, ma solo leggermente, sino ad attestarsi al 3,4% almeno fino al 2060”.
“Questi, purtroppo, - dice ancora Pacifico – sono dati ufficiali. Eppure è risaputo che un giovane ben formato e preparato rappresenta una risorsa in più, non solo per la cittadinanza, ma anche per rilanciare lo sviluppo economico del Paese. Per questo motivo, spendere di più per formare capitale umano significa credere nella capacità civilizzatrice e lavorativa dei cittadini. E, nel contempo, gettare le basi per la costruzione di una società equa e solidale. Questa tesi, non la insegna soltanto l’economista francese Jean-Paul Fitoussi, ma lo praticano da tempo, con successi indiscussi alla distanza, la cancelliera Angela Merkel e il presidente Barack Obama”.
Per approfondimenti:
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