Per comprare carta igienica, toner e pagare bollette, i dirigenti inviano costantemente richieste e solleciti ai genitori degli studenti. ‘Spacciando’ quella che dovrebbe essere una donazione per un obbligo di legge! Ora il Miur pubblica una nota ufficiale, ricordando ai capi d’istituto che sino al terzo superiore l’istruzione deve essere gratuita, come sancito dall'art. 34 della Costituzione. Ma allora la colpa di tutto ciò di chi è? Dello Stato, naturalmente. Che attraverso gli ultimi Governi ha sottratto indebitamente all’istruzione pubblica 8 miliardi di euro, 200mila unità di personale e 2mila scuole.
Il Ministero ribadisce la volontarietà dei contributi scolastici da parte delle famiglie, ma nulla fa per evitare questa procedura sempre più in voga nelle 9mila scuole italiane, contraria agli articoli 23 e 34 della Costituzione. L’Anief si fa portavoce di un malessere generalizzato nella scuola pubblica, dove i dirigenti scolastici continuano a chiedere alle famiglie anche 300 euro l’anno a studente. Tra l’altro ‘spacciandoli’ non di rado per contributi obbligatori.
Considerando che a seguito del dimensionamento la maggior parte degli istituti contano almeno 700 alunni, ogni scuola si ritrova un “tesoretto” che può arrivare anche a 300mila euro annui. Soldi che vengono impegnati per la manutenzione, gli approvvigionamenti di cartoleria, toner, carta igienica, bollette, oltre che per tutte le attività e i materiali a supporto della didattica. A volte anche per finanziare progetti e le ripetizioni dei docenti.
Strumenti e prestazioni che altrimenti verrebbero meno. Lo Stato, infatti, versa per questo genere di esigenze fondi sempre più esigui. Ma non è una novità. Basti pensare al taglio di 200mila posti di lavoro in sei anni, alla cancellazione di 8 miliardi di euro a partire dal 2009, oltre a mezzo miliardo sottratto di recente al miglioramento dell’offerta formativa. Ma anche alla sparizione di 2mila scuole, malgrado la sentenza della Corte costituzionale dello scorso mese di giugno, allo spostamento di un terzo del Fondo d’istituto per ‘coprire’ gli scatti di anzianità del personale. Per non parlare della prospettiva che vorrebbe introdurre risparmi ad oltranza travestiti dalla logica del merito.
Il risultato di questo processo sono le classi “pollaio”, con oltre 30 alunni nella stessa aula, la riduzione sostanziale dei fondi destinati all’abbandono scolastico e al recupero delle carenze formative, la didattica in generale più povera. Con il personale, docenti e Ata, sempre più professionalmente ed economicamente impoverito. E che in futuro si vorrebbe anche porre in regime di concorrenza.
Ora, a fronte di tale situazione, le scuole che fanno? Chiedono aiuto alle famiglie. Ora, però, il Miur ricorda, tramite una nota del capo dipartimento Lucrezia Stellacci, che “simili comportamenti, oltre a danneggiare l'immagine dell'intera Amministrazione scolastica e minare il clima di fiducia e collaborazione che è doveroso instaurare con le famiglie, si configurano come vere e proprie lesioni al diritto allo studio costituzionalmente garantito”. E si pongono, inoltre, “come una grave violazione dei propri doveri d’ufficio”. Anche perché nella scuole statali la frequenza della scuola dell'obbligo (sino al terzo anno compreso delle superiori) deve essere gratuita, come sancito dall'art. 34 della Costituzione. Solo nel biennio finale precedente alla maturità sono previste delle tasse scolastiche, peraltro solo per gli studenti per i quali non è previsto l’esonero.
“Quello che hanno realizzato gli ultimi Governi sulla scuola – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief – è un processo di lento assorbimento di risorse. Umane, finanziarie e strutturali. Per sopperire alle necessità immediate, tanti dirigenti scolastici pensano allora di rivolgersi ai genitori dei loro alunni. È una scelta sbagliata, ma che comprendiamo. Il rischio è che l’evolversi di questa situazione conduca le scuole statali italiane nella stessa situazione delle Università. Dove le logiche privatistiche, del merito e dei tagli hanno comportato la chiusura di decine atenei, di centinaia di corsi e dipartimenti. Con insegnamenti non di rado affidati a docenti a contratto non remunerati o pensionati”.