È quanto emerge da un ampio studio INPDAP che partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per verificare la compatibilità a svolgere la professione, ha operato un confronto tra docenti, impiegati, personale sanitario, operatori. Chi sta dietro la cattedra è particolarmente esposto al rischio di incorrere nella sindrome di burnout, che porta ansia, esaurimento, panico, irritabilità, agitazione, senso di colpa, ridotta autostima.
Tra i motivi che aumentano stress nella categoria c’è il rapporto con studenti e genitori, le classi spesso numerose, il lungo precariato, il susseguirsi di riforme, la retribuzione insoddisfacente e la scarsa considerazione dell’opinione pubblica. A complicare tutto c’è stata poi la riforma Monti-Fornero: obbligando i docenti a rimanere in servizio fino a 67-68 anni, ha creato una situazione di panico generalizzata. I 100mila prof che già soffrono di disagio psichico, stanchezza e depressione sono destinatati a lievitare.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): per fronteggiare il problema bisogna introdurre la figura del prof ‘senior’, serve poi una deroga alla riforma pensionistica specifica per gli insegnanti e assumere su tutti i posti vacanti.
L’insegnamento è una professione usurante, soggetta ad una frequenza di patologie psichiatriche maggiore rispetto alle altre categorie della Pubblica amministrazione: svolgendo una professione altamente ripetitiva e alienante, i docenti sono infatti sottoposti a diversi stress di tipo professionale. È quanto emerge da studio commissionato dall’ente previdenziale INPDAP,, che partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per l’inabilità al lavoro, ha operato un confronto tra insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori.
Lo studio è stato condotto monitorando per 10 anni i dipendenti pubblici delle quattro macro aree professionali della PA. Tra le categorie prese in esame, riporta la rivista “Orizzonte Scuola”, sono proprio gli insegnanti ad essere particolarmente esposti al rischio di incorrere nella sindrome di burnout: una condizione caratterizzata da particolari stati d’animo come ansia, esaurimento fisico, panico, irritabilità, agitazione, senso di colpa, ridotta autostima.
Sono stati analizzati circa 3.000 casi gestiti dalla ASL di Milano ed è emerso che tra i fattori che determinano tali disturbi vi sono una serie di condizioni stressogene a cui essi sono sottoposti: “il rapporto con gli studenti e i genitori, le classi spesso troppo numerose, la situazione di precariato che si protrae per anni, la conflittualità tra colleghi, la costante delega da parte delle famiglie, l’avvento dell’era informatica e delle nuove tecnologie, il continuo susseguirsi di riforme, la retribuzione insoddisfacente e, non ultima, la scarsa considerazione da parte dell’opinione pubblica”.
Lo studio evidenzia, inoltre, come le donne siano più facilmente esposte alla sindrome di burnout, in quanto più esposte a situazioni di empatia nei rapporti con gli alunni e con i colleghi. E le donne, vale la pena ricordarlo, costituiscono l’81% del corpo insegnante italiano. Dall’analisi dei dati dello studio decennale emerge, inoltre, il numero crescente di docenti che chiedono il cambio di mansione in seguito alla dichiarazione di inabilità a poter svolgere il loro lavoro: lo scorso anno le domande di inabilità al lavoro di insegnante si sono triplicate.
Ma anche per chi rimane a fare l’insegnante, le prospettive sono fosche: “capita molto spesso di imbattersi in scuole con un alto numero di insegnanti ultrasessantenni che incontrano una serie difficoltà a reggere ritmi e stress collegati al loro lavoro”. A complicare il quadro è stata la riforma pensionistica Monti-Fornero, che ha spostato a 67-68 anni la soglia per lasciare il lavoro, protraendo così il collocamento a riposo di un quinquennio: “come si può parlare di scuola innovativa quando” si trattengono dei docenti “con forti problemi legati al lavoro che svolgono? Come possono questi docenti, in condizioni di forte disagio psichico, formarsi, aggiornarsi e dare il massimo? Come si può chiedere agli attuali 70mila docenti ultrasessantenni, in futuro saranno molti di più, di operare con disinvoltura con i ‘nativi digitali’.
I tanti interrogativi che emergono a seguito della pubblicazione della ricerca svolta nella provincia di Milano, rappresentano l’amara conferma di quanto l’Anief sostiene da tempo. Il logorio della professione è un dato certo. Che coinvolge molti più docenti di quanto si pensi. Le ultime stime, svolte su scala nazionale, indicano almeno il 3% di docenti (circa 25mila) sofferenti di patologie psichiatriche croniche, a cui va aggiunto un altro 10% (circa 80mila) che mostra segni palesi di stanchezza e spesso di depressione.
Vittorio Lodolo D'Oria, medico ematologo, autore di diversi studi sul burnout, ha calcolato che “ad ammettere di essere stressati a causa del lavoro logorante sono il 73 per cento dei docenti. Gli interlocutori che causano loro maggior stress sul lavoro sono nell'ordine: gli studenti (26 per cento); i loro genitori (20 per cento); i colleghi (20 per cento); il dirigente scolastico (2 per cento). La restante parte (32 per cento) ritiene usurante la somma di tutte le relazioni.Le più esposte sono le docenti, che nella scuola rappresentano complessivamente oltre l'80 per cento del corpo insegnante, fisiologicamente più soggette al ‘logorio professionale, in particolare dopo la menopausa’”. E di recente, il medico Lodolo D'Oria si è anche soffermato sulle “gravi patologie psichiatriche o di forme tumorali conseguenti all’immunodepressione da stress cronico” dell’insegnante medio.
Anief ribadisce che bisogna permettere ai docenti che hanno svolto oltre 20-25 di insegnamento di accedere alla figura dell’insegnante ‘senior’: facendo da tutor ai nuovi colleghi si permetterebbe loro di lasciare il rapporto logorante con i discenti e di mettere a disposizione la loro esperienza delle nuove generazioni di docenti. Ma agli insegnanti va data anche la possibilità di accedere alla pensione anticipata: non è possibile farli stare in cattedra fino alle soglie dei 70 anni. Si tratta di un’iniquità anche rispetto ad altri dipendenti della PA. Seppur adeguando i requisiti agli incrementi della speranza di vita per l’accesso alla pensione di anzianità, il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico continua a fruire di “tetti” di vecchio stampo: per questi lavoratori, “a decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2015 l’accesso al pensionamento anticipato prevede il raggiungimento di un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e con un’età di almeno 57 e anni e 3 mesi”. Con il risultato che nell’ultimo anno i corpi di polizia hanno lasciato il servizio in media a meno di 55 anni. Ed i militari a 57 anni.
“Di fronte a questi dati inequivocabili – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – i nostri governanti non possono continuare a far finta di nulla. È giunta l’ora di introdurre una deroga alla legge pensionistica: rappresenterebbe il giusto riconoscimento ad una categoria professionale dedita alle nuove generazioni e per questo fortemente esposta al burnout. Bisogna quindi riparare all’errore fatto con la Legge Fornero, che ha considerato usuranti solo professioni riconducibili al comparto privato”.
“Il Governo – continua Pacifico – proprio in questi giorni sta provvedendo a trovare una soluzione per i 4mila ‘Quota 96’, ammettendo la grave dimenticanza del legislatore per chi aveva diritto ad andare in pensione già due anni fa. Dopo l’estate è bene che trovi una soluzione, senza decurtazioni stipendiali, anche per gli altri docenti, le cui difficoltà psicologiche, a volte psichiatriche, derivano da un forte stress lavorativo. Al loro posto ci sono tante giovani leve, già vincitrici di concorso e pronte ad essere immesse in ruolo: 60mila già da subito. In un colpo solo si svecchierebbe la scuola, oggi composta da pochissimi under 30 e oltre la metà di docenti ultracinquantenni, si migliorerebbe la qualità della didattica e si collocherebbero in pensione decine di migliaia di docenti vittime del burnout”.
Per approfondimenti:
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