Varie

Anief-Confedir: il tasso di abbandono scolastico rimane altissimo ed è alla base del boom di disoccupati. Non è più possibile portare avanti la politica dello “struzzo”: occorre da subito migliorare i progetti a supporto della didattica e aprire le scuole anche di pomeriggio, aumentando il numero di docenti e Ata nelle aree meridionali più arretrate.

È ancora emergenza Sud. Anche per quanto riguarda l’istruzione. A ribadirlo è stato oggi il Censis, attraverso un rapporto annuale che conferma i timori per il futuro dei giovani che risiedono in determinate aree del paese: se nel 2012 in tutta Italia i ragazzi tra i 18 e i 24 anni che hanno conseguito al massimo la licenza media sono stati pari al 17,6%, nelle regioni meridionali la percentuale è stata del 21,1%. Con Sicilia e Sardegna che hanno raggiunto livelli record, visto che gli under 24 che non hanno conseguito nemmeno una qualifica professionale sono addirittura il 25%. Quindi al Sud un giovane su quattro è fuori prematuramente dal percorso formativo.

Il sindacato reputa questi dati davvero preoccupanti. Sempre dal rapporto odierno del Censis, risulta infatti che l'incidenza tra i giovani del titolo di studio appare particolarmente alta: i Neet, i ragazzi che non studiano né lavorano, che hanno al massimo la licenza media sono infatti il 43,7%. Confermando, visto che esiste un legame diretto tra il basso titolo di studio e la disoccupazione, che per combattere il fenomeno dei Neet occorre investire con urgenza nel meridione.

“È indispensabile agire già in vista del prossimo anno scolastico – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – rafforzando i progetti a supporto della didattica e le attività pomeridiane extracurricolari delle scuole del Sud Italia. In particolare in quelle aree territoriali dove il tessuto sociale e industriale è più arretrato. Dove, infatti, quasi sempre gli istituti non sono aperti al territorio e chiudono le attività a metà giornata. Con i risultati, a livello di studio e di lavoro giovanile, che oggi il Censis ci ha illustrato”.

“Ma per attuare progetti e tempo prolungato, oltre che per migliorare l’orientamento scolastico, - continua Pacifico - occorre che il Miur decida finalmente di introdurre degli organici diversificati, destinando maggiori forze nelle aree difficili e più a rischio di abbandono scolastico: al Sud occorrono più docenti e più personale Ata. Inoltre, proprio alla luce di questi dati diventa ancora più paradossale la volontà dell’amministrazione di tagliare di un altro 10% gli istituti scolastici. Soprattutto al Sud. Dove i dirigenti sono chiamati dagli Uffici scolastici regionali a gestire anche 4 o 5 scuole autonome contemporaneamente, spesso – conclude il rappresentante Anief-Confedir - distanti decine di chilometri l’una dall’altra”.

Oltre all’azione scolastica, per combattere il fenomeno dei Neet tra i 15 e i 29 anni è anche necessario che il Governo intervenga subito sulla conversione di tutti i contratti a termine superiori ai tre anni nel rispetto della direttiva comunitaria. Che sblocchi gli aumenti di stipendio, attui una riforma dell'apprendistato che immetta nel mondo del lavoro i ragazzi a 15 anni con l'alternanza allo studio obbligatorio fino a 19 anni o al termine della secondaria, distingua la contrattazione in base alle aree del Paese, riporti l'istruzione al centro del Paese potenziando l'orientamento tra la scuola superiore, l'università e il tutoraggio. Servono provvedimenti, infine, che ringiovaniscano la forza lavoro, anche introducendo la retribuzione differita.

 

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): tempo pieno quasi assente, tagli di risorse, mancanza di orientamento e di lotta alla dispersione stanno condannando il meridione all’eutanasia. Già oggi i neet sono il doppio rispetto al Nord. Per cambiare il trend servono anche l’obbligo formativo fino a 18 anni e una seria riforma dell’apprendistato.

I dati Ocse-Pisa 2012 sulle competenze degli studenti 15enni, presentati oggi al Miur, confermano il gap formativo cui sono destinati gli iscritti a una scuola del nord rispetto ai coetanei che frequentano un istituto del sud: mentre gli studenti di Trento, Friuli Venezia Giulia e Veneto sono tra i più bravi al mondo in matematica (tra le prime 14 aree territoriali a livello mondiale, praticamente ai livelli di Svizzera, Olanda e Finlandia), i 15enni siciliani occupano un posto basso molto più basso nelle ''performance con i numeri'', collocandosi tra Turchia e Romania (quasi al centesimo posto). Pure nei campi delle scienze e della lettura le eccellenze nazionali sono concentrate al nord est, con le prestazioni più scarse che si registrano anche stavolta al sud. Nella lettura, in particolare, la Sicilia occupa una posizione davvero bassa, collocandosi addirittura dopo la Repubblica Slovacca.

L’Ocse si è anche soffermata sulla diretta proporzionalità tra rendimento scolastico e frequenza assidua delle lezioni: nel nostro paese, la percentuale di chi non è mai arrivato tardi a scuola è molto più elevata in Veneto, Trento, Bolzano, Emilia, Friuli (con punte del 75%) rispetto, ad esempio, al Lazio (59%) e alla Calabria (54%). Per quanto riguarda l'assiduità delle presenze, i “sempre presenti” vanno da un minimo del 37,7% della Campania a un record di quasi l'80% di Bolzano.

“I dati Ocse-Pisa sul divario Nord-Sud ci amareggiano – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – ma purtroppo non ci sorprendono: questi numeri non fanno altro che certificare il gap di investimenti che lo Stato ha riservato alle regioni, abbandonando di fatto quelle meridionali. Per tutti vale quanto è accaduto in Sicilia nel 2012, dove la mancanza di risorse e di mense scolastiche ha fatto sì che il tempo pieno nella scuola primaria è stato attivato solo per il 3 per cento degli alunni. Mentre il tempo pieno in Lombardia è presente nel 90 per cento delle scuole primarie”.

Ed è evidente che tenere gli alunni a scuola anche nel pomeriggio significa garantire loro una maggior offerta formativa. Mentre al termine dei cinque anni di scuola primaria i bambini della Sicilia studieranno 430 giorni in meno, che corrispondono a oltre 2 anni scolastici. A questi dati va aggiunta la scarsità di investimenti per combattere la dispersione scolastica e migliorare l’orientamento. Al sud non c’è solo un problema demografico e migratorio, ma anche un alto tasso di abbandono scolastico in età di obbligo formativo. Con il risultato che negli ultimi cinque anni tra il sud e le isole si sono persi 150mila alunni - con Molise, Basilicata e Calabria che accusano riduzioni tra il 7% ed il 9% - mentre al nord c’è stato un incremento di 200mila iscritti (incremento maggiore del 5%).

Così, mentre l’Ue ci chiede di raggiungere, nel 2020, un tasso medio nazionale di abbandono del 10%, con alcune aree del centro-nord già vicine a questa soglia, ancora una volta il sud va per conto suo: in Sicilia la quota dei ragazzi che lasciano gli studi in età di obbligo formativo supera in certe aree ancora il 25%. “È evidente – commenta ancora Pacifico – che se non si inverte questa tendenza con un serio piano di sviluppo economico, di implementazione di idee e risorse, il meridione è condannato all’eutanasia. Con il Nord che guarda sempre più da vicino l’Europa, mentre il Sud non riesce nemmeno a garantire il diritto allo studio”.

A dare la “mazzata” finale alle regioni del sud, che hanno meno risorse, ci hanno poi pensato le riforme scolastiche degli ultimi anni. Con l’orario curricolare ridotto di un sesto: oggi l’Italia detiene il triste primato di 4.455 ore studio nell’istruzione primaria, rispetto alle 4.717 dell’area Ocse; in quella superiore di primo grado siamo scesi a 2.970, rispetto alle 3.034 sempre dell’Ocse. Preoccupa, inoltre, il crollo al 20,5% del tasso di occupazione dei 15-24enni. Per non parlare della quota di giovani che non sono né nel mondo del lavoro, né in educazione né in formazione (Neet), la cui percentuale è cresciuta in cinque anni, tra gli under 25, di oltre 5 punti, arrivando a fine 2012 al 21,4%. E non vale nemmeno la teoria che tutti sono in queste condizioni: solo Grecia e Turchia, tra i 34 Paesi dell'organizzazione, hanno infatti una quota di Neet più elevata.

E pure su questo fronte, dei giovani che non studiano né lavorano, il sud è stato penalizzato: se nel Mezzogiorno sfiorano il 32%, mentre nelle regioni Settentrionali sono meno della metà. “Siamo riusciti nell’impresa di abbattere i fondi destinati a combattere l’abbandono scolastico – commenta ancora Pacifico –. Con le regioni più avanti che hanno tamponato. E quelle più arretrate che stanno sprofondando. Mentre il decollo dell’apprendistato e l’obbligo formativo fino a 18 anni, le carte vincenti per sovvertire il trend, sono rimasti solo dei progetti sulla carta”.

 

Anief si appella alla sensibilità delle istituzioni: negli ultimi sei anni la scuola ha già dato il suo contributo allo Stato, sotto forma di forti tagli di risorse, plessi e organici (che il sindacato riassume in questo documento). Ora basta: le mere esigenze di cassa non possono mettere in ginocchio la funzione della nostra scuola pubblica.

Ci aspettano giorni cruciali per il futuro di oltre 800 istituti scolastici. Dopo le notizie trapelate nei giorni scorsi sulla volontà del Ministero dell'Economia di tagliare, in regime di nuova spending review, il 10% delle attuali 8mila scuole, dalla stampa nazionale giunge la notizia che le scelte del Miur verranno rese pubbliche il prossimo 15 dicembre.

Anief rammenta all'amministrazione che tagliare il 10% di istituti scolastici comporterebbe sicuri disservizi all'utenza: negli ultimi sei anni è stata già cancellata una scuola su tre, infatti da 12mila sono passate alle attuali 8mila. Con conseguente riduzione dell’organico di dirigenti e Dsga di 4mila unità per profilo. Con il risultato finale che oggi un preside gestisce la propria scuola, più, in media, altri 4 istituti. Senza peraltro avere più la possibilità di retribuire le reggenze affidate ai vicari (L. 135/12).

Anief, inoltre, ricorda alle istituzioni responsabili dell'Istruzione pubblica che in Italia sono vigenti delle leggi sulla formazione degli istituti scolastici, a partire dai criteri previsti dal D.P.R. 233 del 18 giugno 1998, che non possono essere eluse per meri motivi di cassa. Anche i giudici lo hanno fatto osservare: non è un caso se la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 147 del 7 giugno 2012, ha bocciato la chiusura o l'accorpamento degli istituti con meno di mille alunni.

Pertanto, il sindacato non può esimersi dal ricordare a questo Governo che se vuole veramente tracciare un solco rispetto a quelli che lo hanno preceduto deve porsi in controtendenza rispetto a questi dati impietosi. Ai quali ne vanno aggiunti altri, di rilievo altrettanto negativo.

Negli ultimi sei anni sono stati circa 200mila i posti, tra docenti e personale Ata, che sono stati cancellati per effetto dei piani di razionalizzazione (L. 244/2007, L. 133/2008, L. 111/11, L. 135/12). A proposito del personale non docente, l'Anief ha di recente calcolato che solo nell'ultimo triennio sono stati cancellati 44.500 Ata. Cui vanno aggiunti 2.395 direttori dei servizi generali e amministrativi. In tutto 47mila posti in meno, che corrispondono ad un quinto del totale dei non docenti.

Inoltre, un sesto dell’organico di diritto a fronte di 75.000 posti ridotti nei restanti due terzi dei comparti pubblici, ha portato il comparto istruzione a collezionare il 75% dei tagli adottati dalla spending review rispetto alla P.A. Ma non finisce qui: è stato anche stato ridotto di un sesto l’orario della didattica, il cosiddetto piano di offerta formativa curricolare. Col risultato che oggi l’Italia ha anche il triste primato di avere 4.455 ore studio nell’istruzione primaria rispetto alle 4.717 dell’Ocse e 2.970 in quella superiore di primo grado rispetto alle 3.034 sempre dell’Ocse con un tasso di Neet tra i 15 e i 29 anni del 23,2% mentre la media Ocse è ben diversa: il 15,8%.

 

Il sindacato invita gli attuali docenti e Ata incaricati di sorvegliare la sicurezza di oltre 40mila edifici scolastici di attendere il testo della sentenza: la ‘deresponsabilizzazione’ di massa creerebbe uno stato di insicurezza ancora maggiore. Nel frattempo, di certo ci sono le responsabilità dello Stato e dei legislatori, che tra proroghe sulla messa a norma degli edifici e mancati finanziamenti ci hanno portato allo stato attuale.

In attesa di conoscere le motivazioni che hanno portato alla sentenza di Appello sul crollo al liceo Darwin di Rivoli, con sei condanne per la tragedia che nel 2008 colpì gli studenti e il personale, Anief-Confedir sottolinea all’opinione pubblica due dati inequivocabili. Il primo è la mancanza di finanziamenti da parte dello Stato, che continua a far vivere oltre 8 milioni di alunni e 1 milione di dipendenti della scuola in edifici scolastici in balia degli eventi atmosferici e del logorio delle suppellettili scolastiche.

Il secondo dato certo è quello delle continue proroghe di adeguamento di messa a norma degli stessi edifici scolastici: oltre 40mila strutture facenti capo a poco più di 8mila dirigenze, che il legislatore italiano continua ad approvare sulla spinta di motivazioni puramente finanziarie. Non è un caso che l’anagrafe dello stato edilizio delle scuole italiane sia rimandato di anno in anno e che ormai il suo aggiornamento si attenda da quasi due decenni.

Detto questo, rimane da capire quali possano essere le colpe da addossare ai docenti addetti alla sicurezza. A meno che siano incorsi in comportamenti omissivi, come la mancata denuncia di rischi noti, rimane difficile immaginare che possano essere loro addebitate colpe relative alla mancata messa in sicurezza dell’edificio che ospitava il liceo Darwin: questa competenza, infatti, rimane per legge ad esclusivo appannaggio delle istituzioni preposte.

“Il condizionale è d’obbligo – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – visto che ancora non conosciamo il testo della sentenza e non è possibile esprimere giudizi. Come sindacato, comunque, confermiamo la nostra piena solidarietà agli studenti, alle famiglie e al personale scolastico che ogni giorno operano in ambienti in certi casi al limite della sicurezza. Lo dicono, del resto, rapporti nazionali circostanziati e come è stato anche rilevato in queste ore da Legambiente. È evidente che le colpe non possono non ricadere su uno Stato inadempiente, che non pone la sicurezza dei suoi cittadini al primo posto, riducendo al minimo i rischi che si ripetano tragedie come quella del liceo Darwin di Rivoli”.

“A questo punto – continua Pacifico – è bene anche che tra il personale della scuola non prevalga lo scoramento o la sfiducia. Il rischio, infatti, è che nelle migliaia di unità di docenti e Ata incaricati della sicurezza degli istituti possa prevalere una sorta di ‘rigetto’ verso il ruolo assunto. È bene che anche loro conoscano le motivazioni e non procedano verso quelle temute dimissioni di massa, verso una ‘deresponsabilizzazione’ generalizzata, che renderebbero le nostre scuole ancora meno sicure di quanto sono oggi”.

 

Riceviamo e pubblichiamo la seguente nota di Tonino Russo, deputato PD della XVI legislatura.

Stamattina, a seguito delle sollecitazioni di alcuni docenti, mi sono preso la briga di leggere gli emendamenti al decreto legge sull'istruzione dichiarati ammissibili. Con mio dispiacere, ho notato che ci sono tre emendamenti (2 del M5S ed uno perfino del PDL) che prevedono il superamento della quarta fascia aggiuntiva ed il conseguente ricongiungimento con la terza.

Mi sarei aspettato che almeno un emendamento sul tema portasse la firma di qualche parlamentare del mio partito, il PD. Invece, al riguardo non ci sono emendamenti del PD se non il 15.37 dell'on. Malpezzi che prevede la perpetuazione della quarta fascia anche per il prossimo triennio.

Mi rendo conto che l'on. Malpezzi non era presente nella precedente legislatura, e che quindi non è tenuta ad un dovere di coerenza comportamentale con precedenti scelte. Resta comunque certo che un partito ed il suo gruppo parlamentare che ne rappresenta il braccio istituzionale, ha il dovere della continuità ideale e progettuale. Sottolineo ciò perché ai miei ex colleghi della legislatura precedente difficilmente sfuggirà che su tale questione si è avuta una lunga e travagliata battaglia parlamentare in cui tutti, nessuno escluso, siamo stati impegnati senza risparmiarci. Chi ha buona memoria, rammenterà che la vicenda partì con l'approvazione alla Camera di un mio emendamento che prevedeva l'inserimento di circa 23.000 docenti in Gae. Questo atto di giustizia e di indiscutibile sostanziale vittoria del gruppo Pd della Camera, invece al Senato, sotto l'influenza del sen. Pittoni della Lega, venne stravolto e dimezzato. Infatti, quanto votato alla Camera, addirittura con voto di fiducia, fu derubricato ad inserimento in una quarta fascia aggiuntiva. Infine, con il ritorno del provvedimento alla Camera, non potendo apportare ulteriori modifiche pena lo sforamento dei 60 giorni per la conversione del decreto e la decadenza dello stesso, presentai un odg sul quale il governo Monti si espresse contro. A quel punto, l'Aula di Montecitorio approvò il mio odg punendo il governo e la sua approssimazione in materia. Il Pd votò compatto e tra i voti favorevoli, oltre quello di tutti i componenti pd della VII commissione, spicca quello di Franceschini, allora Capogruppo alla Camera, D'Alema, Bindi, e perfino quello dell'attuale Presidente del Consiglio Enrico Letta, del quale ricordo anche una pacca di compiacimento sulla mia spalla.

Più recentemente, come detto, sulla via di Damasco ha avuto la sua giusta folgorazione anche il PDL (che allora era contrario). E, consentitemi la soddisfazione, perfino Max Bruschi, con quello che potremmo definire Ravvedimento Operoso, dal suo blog ha manifestato sostanzialmente di essersene fatto una ragione. 

Ora, credo che sarebbe davvero incomprensibile il comportamento del mio partito che, mentre riesce a conquistare alla propria causa anche gli avversari, adesso si penta e operi un triplo salto, davvero mortale in rapporto ai docenti precari, tornando indietro di tre anni. Mi auguro, pertanto, che tutto quel lavoro non venga spazzato e ci sia la volontà per un necessario ulteriore approfondimento, recuperando magari qualche documento della precedente legislatura e, soprattutto, le ragioni di quegli impegni e di quelle fatiche. Credo che non serva ricordare che le scelte che saranno adottate incideranno sulle aspettative ed i destini di diverse decine di migliaia di docenti plurilaureati e pluriabilitati. A prescindere, come direbbe Totò, questa sarebbe una buona circostanza per farsi carico del riconoscimento delle ragioni del merito e dei sacrifici di tantissimi docenti e delle rispettive famiglie di provenienza. Lo è a maggior ragione se si considera la storia del precariato scolastico di questi anni e la funzione esercitata dal Pd. In quest'ottica mi auguro che certi temi che in questi mesi sono stati un po' lontani dagli occhi del PD almeno non provochino il distacco dal cuore!

Tonino Russo, deputato PD della XVI legislatura.

P.S. Per rinfrescare la memoria, ecco il dispositivo d'impegno approvato nella scorsa legislatura nell'Odg su P.D.L. 4865 (Milleproroghe):

"Impegna il Governo a:
• inserire nella fascia aggiuntiva tutti i docenti che conseguono l
’abilitazione presso le facoltà di scienze della Formazione Primaria entro la data di scadenza delle domande prevista dal decreto del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai sensi del comma 2-ter all'articolo 14;
• inserire nella terza fascia, secondo il rispettivo punteggio delle graduatorie ad esaurimento, i docenti collocati nella fascia aggiuntiva, all’atto dell’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento previsto per l’anno scolastico 2014/2015;
• inserire con riserva, all’atto del decreto del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai sensi del comma 2-ter all'articolo 14, coloro che si sono iscritti negli anni accademici 2008-2009, 2009-2010 e 2010-2011 presso il corso di laurea in scienze della formazione primaria e a sciogliere tale riserva al momento del conseguimento dell’abilitazione, all’atto dell’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per l’anno scolastico 2014/2015;
• consentire lo scioglimento della riserva degli abilitati all'insegnamento con i decreti ministeriali 21/2005, 85/2005, e 137/2007; del semestre aggiuntivo del IX corso Siss; nonché degli insegnanti che, pur abilitati, non hanno rinnovato domanda di inserimento all'atto dell'aggiornamento."