Varie

Stipendi da fame per altri 3 anni e 300mila precari fermi ai “box”, scippo del 2,5% sul TFR e allungamento dell’età pensionabile senza finestre. Essere al servizio dello Stato non paga. Diritti violati nella Pubblica amministrazione che non si ritrovano nel comparto privato. Proroga del blocco stipendiale, inflazione che galoppa e innalzamento dell’età pensionabile fino a quasi 68 anni stanno trasformando il posto statale in un vero incubo professionale. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): il problema è che chi opera per la PA è trattato sempre più da lavoratore di serie B, quello che accade a quelli della scuola ha ormai dell’incredibile.

Sarà un primo maggio davvero amaro quello che si apprestano a vivere più di tre milioni di dipendenti dei comparti pubblici: al cronico blocco degli stipendi e del turn over, quest’anno si somma un’altissima percentuale di dipendenti precari e una drastica riduzione delle domande di pensionamento a causa dell’innalzamento dei requisiti anagrafici e di servizio previsti dalla riforma Fornero. Il ‘contentino’ degli 80 euro, poco più di una pizza, non cambia la sostanza: anche se il sindacato non può certo disdegnare l’aumento in busta paga, peraltro assicurato solo fino a dicembre 2014 e non in pianta stabile, va ricordato che sarà riservato ad una parte dei dipendenti. E per finanziarlo si andranno a ridurre del 15% gli emolumenti dei dirigenti, facendo ancora una volta pagare allo stesso comparto statale un incremento stipendio che invece andrebbe finanziato per intero con risorse statali nuove.

Quanto indicato in questi giorni dall’ultimo Rapporto semestrale dell’Aran sulle retribuzione dei pubblici dipendenti, a proposito degli indici mensili delle retribuzioni contrattuali, vale molto più di tanti commenti: mentre “il settore privato mostra variazioni positive”, seppure contenute, “i comparti di contrattazione collettiva Aran (dirigenti e non) e gli altri comparti pubblici, in coerenza con le disposizioni normative che dispongono il blocco della contrattazione nazionale per i pubblici dipendenti, continuano a riportare variazioni nulle”.

“La variazione cumulata per il periodo 2007-2013 – scrive sempre l’Aran - registra una crescita delle retribuzioni contrattuali per l’intera economia pari al 16,4%: i settori che presentano valori sopra la media sono il settore privato (18,4%) - ed in particolare l’industria (+20,9%) e i servizi privati (+16,5%) - e i dirigenti non contrattualizzati della PA (+16,6%). Incrementi inferiori alla media si trovano per tutti gli altri comparti della pubblica amministrazione con valori che variano fra il più elevato (+11,7%) dei dirigenti contrattualizzati PA e il più basso (+10,3%) del personale non dirigente degli altri comparti pubblici”. Basti pensare che l’inflazione nello stesso periodo è salito del 12% mentre il personale della scuola ha avuto aumento per l’8%.

“La curva delle retribuzioni contrattuali dei dipendenti dei comparti di contrattazione collettiva Aran è ormai bloccata sul valore di luglio 2010 e, da aprile 2011, è al di sotto della curva dell’indice nazionale dei prezzi al consumo. L’andamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici non contrattualizzati (comparti forze armate, dell’ordine e vigili del fuoco) è anch’esso fermo sul valore del marzo 2011. Le retribuzioni del settore privato – conclude l’Aran - sono invece in crescita, lenta ma costante, per effetto dell’applicazione dei contratti rinnovati nel corso del 2013”.

La ‘corona’ dei dipendi pubblici con stipendi ridotti alla fame spetta agli insegnanti e del personale scolastico a cui lo Stato ha bloccato il rinnovo contrattuale nel 2009 con la legge Tremonti (122/2010), con un anno di anticipo rispetto agli altri lavoratori statali, a cui si è aggiunta la proroga approvata dal Governo Letta (DPR 122/2013). E per tutti i lavoratori statali la prospettiva è rimanere con le buste paga per altri 3 anni. Il dato si evince dal Documento di Economia e Finanza 2014 approvato a metà aprile dal CdM: “Nel quadro a legislazione vigente - si legge nel DEF - la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Amministrazioni Pubbliche è stimata diminuire dello 0,7 per cento circa per il 2014, per poi stabilizzarsi nel triennio successivo e crescere dello 0,3 per cento nel 2018, per effetto dell’attribuzione dell’indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio contrattuale 2018-2020”.

Se si somma la proroga agli altri quattro anni di stop di aumenti si arriva sette anni consecutivi di blocco stipendiale. Nella scuola sono addirittura otto gli anni di fermo, un record: considerando che tra il 2006 e il 2012 l’inflazione è salita del 12% rispetto agli aumenti contrattuali fermi nella scuola all’8%, docenti e personale Ata ad oggi hanno perso quasi 16 mila euro lordi di mancati aumenti a dipendente. In generale, considerando tutti i pubblici dipendenti, lo stipendio base è sempre più in sofferenza rispetto all’aumento del costo della vita, in ritardo anche ai livelli degli altri Paesi economicamente sviluppati ed in alcuni comparti è persino regredito in termini di potere d’acquisto.

Ma i problemi non si fermano agli stipendi inadeguati. C’è anche quello del mancato turn over, con oltre 300mila precari costretti a rimanere ai “box” chissà ancora per quanto tempo. Lo stesso Collegato al lavoro, in discussione in Parlamento, non risolve i problemi dei contratti a termine perché non autorizza la stabilizzazione dei dipendenti pubblici e non prevede una sanzione pesante verso le pubbliche amministrazioni che reiterano i contratti a termine dopo i 36 mesi di servizio. Non è un caso che nei prossimi mesi si esprimerà la stessa Corte di Giustizia Europea sulla stabilizzazione dei precari della scuola, da anni chiamati a supplire. Ma la situazione è aggravata anche dalla “stretta” Fornero-Monti. Basta dire che da quest’anno per accedere alla pensione di vecchiaia serviranno 63 anni e 9 mesi di età; per quella anticipata, un’anzianità contributiva di 41 anni e 6 mesi (per gli uomini un anno in più). E negli anni a venire i requisiti si alzeranno ancora: quando la riforma Fornero entrerà a regime, i lavoratori del pubblico impiego potranno lasciare il lavoro a quasi 68 anni.

Anche su questo fronte quanto accade nella scuola è indicativo: dal 2001 ad oggi lo Stato italiano ha assunto nelle 258.206 insegnanti. Mentre nello stesso periodo quelli che hanno lasciato il servizio per la pensione sono stati molti di più: 295.200. Le assunzioni non sono bastate nemmeno a coprire tutti quei posti liberi, ben 311.364, che sempre a partire dal 2001 sono stati dichiarati dal Miur ufficialmente vacanti. È un dato che fa ancora più male se si pensa che nella scuola vi sono oltre 140mila precari annuali, quasi la metà di tutta la pubblica amministrazione: per loro l’ultima speranza rimane il ricorso alla Corte di Giustizia europea, che entro l’anno si dovrà esprime in modo definitivo.

“Non dobbiamo lamentarci – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – se gli italiani sono gli insegnanti tra i più vecchi al mondo, con un numero crescente di ultra sessantenni e l’età media delle immissioni in ruolo alle soglie dei 40 anni di età. Il risultato di questo processo è l’età media di un insegnante italiano, ormai ben oltre i 50 anni. Dimenticando che l’insegnamento è tra le categorie professionali più a rischio burnout, in Italia ci ritroviamo con due docenti su tre che hanno superato questa età. Mentre i nostri insegnanti under 30 sono presenti per appena lo 0,5%, a fronte del 6,8% della Spagna. Il problema è che chi opera per la PA è trattato sempre più da lavoratore di serie B”.

Per non parlare della trattenuta del 2,5% sul TFR che nel comparto privato è totalmente a carico del datore di lavoro mentre rimane per i neo-assunti nel pubblico impiego dal 2000.

 

Stipendi da fame per altri 3 anni e 300mila precari fermi ai “box”, scippo del 2,5% sul TFR e allungamento dell’età pensionabile senza finestre. Essere al servizio dello Stato non paga. Diritti violati nella Pubblica amministrazione che non si ritrovano nel comparto privato. Proroga del blocco stipendiale, inflazione che galoppa e innalzamento dell’età pensionabile fino a quasi 68 anni stanno trasformando il posto statale in un vero incubo professionale. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): il problema è che chi opera per la PA è trattato sempre più da lavoratore di serie B, quello che accade a quelli della scuola ha ormai dell’incredibile.

Sarà un primo maggio davvero amaro quello che si apprestano a vivere più di tre milioni di dipendenti dei comparti pubblici: al cronico blocco degli stipendi e del turn over, quest’anno si somma un’altissima percentuale di dipendenti precari e una drastica riduzione delle domande di pensionamento a causa dell’innalzamento dei requisiti anagrafici e di servizio previsti dalla riforma Fornero. Il ‘contentino’ degli 80 euro, poco più di una pizza, non cambia la sostanza: anche se il sindacato non può certo disdegnare l’aumento in busta paga, peraltro assicurato solo fino a dicembre 2014 e non in pianta stabile, va ricordato che sarà riservato ad una parte dei dipendenti. E per finanziarlo si andranno a ridurre del 15% gli emolumenti dei dirigenti, facendo ancora una volta pagare allo stesso comparto statale un incremento stipendio che invece andrebbe finanziato per intero con risorse statali nuove.

Quanto indicato in questi giorni dall’ultimo Rapporto semestrale dell’Aran sulle retribuzione dei pubblici dipendenti, a proposito degli indici mensili delle retribuzioni contrattuali, vale molto più di tanti commenti: mentre “il settore privato mostra variazioni positive”, seppure contenute, “i comparti di contrattazione collettiva Aran (dirigenti e non) e gli altri comparti pubblici, in coerenza con le disposizioni normative che dispongono il blocco della contrattazione nazionale per i pubblici dipendenti, continuano a riportare variazioni nulle”.

“La variazione cumulata per il periodo 2007-2013 – scrive sempre l’Aran - registra una crescita delle retribuzioni contrattuali per l’intera economia pari al 16,4%: i settori che presentano valori sopra la media sono il settore privato (18,4%) - ed in particolare l’industria (+20,9%) e i servizi privati (+16,5%) - e i dirigenti non contrattualizzati della PA (+16,6%). Incrementi inferiori alla media si trovano per tutti gli altri comparti della pubblica amministrazione con valori che variano fra il più elevato (+11,7%) dei dirigenti contrattualizzati PA e il più basso (+10,3%) del personale non dirigente degli altri comparti pubblici”. Basti pensare che l’inflazione nello stesso periodo è salito del 12% mentre il personale della scuola ha avuto aumento per l’8%.

“La curva delle retribuzioni contrattuali dei dipendenti dei comparti di contrattazione collettiva Aran è ormai bloccata sul valore di luglio 2010 e, da aprile 2011, è al di sotto della curva dell’indice nazionale dei prezzi al consumo. L’andamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici non contrattualizzati (comparti forze armate, dell’ordine e vigili del fuoco) è anch’esso fermo sul valore del marzo 2011. Le retribuzioni del settore privato – conclude l’Aran - sono invece in crescita, lenta ma costante, per effetto dell’applicazione dei contratti rinnovati nel corso del 2013”.

La ‘corona’ dei dipendi pubblici con stipendi ridotti alla fame spetta agli insegnanti e del personale scolastico a cui lo Stato ha bloccato il rinnovo contrattuale nel 2009 con la legge Tremonti (122/2010), con un anno di anticipo rispetto agli altri lavoratori statali, a cui si è aggiunta la proroga approvata dal Governo Letta (DPR 122/2013). E per tutti i lavoratori statali la prospettiva è rimanere con le buste paga per altri 3 anni. Il dato si evince dal Documento di Economia e Finanza 2014 approvato a metà aprile dal CdM: “Nel quadro a legislazione vigente - si legge nel DEF - la spesa per redditi da lavoro dipendente delle Amministrazioni Pubbliche è stimata diminuire dello 0,7 per cento circa per il 2014, per poi stabilizzarsi nel triennio successivo e crescere dello 0,3 per cento nel 2018, per effetto dell’attribuzione dell’indennità di vacanza contrattuale riferita al triennio contrattuale 2018-2020”.

Se si somma la proroga agli altri quattro anni di stop di aumenti si arriva sette anni consecutivi di blocco stipendiale. Nella scuola sono addirittura otto gli anni di fermo, un record: considerando che tra il 2006 e il 2012 l’inflazione è salita del 12% rispetto agli aumenti contrattuali fermi nella scuola all’8%, docenti e personale Ata ad oggi hanno perso quasi 16 mila euro lordi di mancati aumenti a dipendente. In generale, considerando tutti i pubblici dipendenti, lo stipendio base è sempre più in sofferenza rispetto all’aumento del costo della vita, in ritardo anche ai livelli degli altri Paesi economicamente sviluppati ed in alcuni comparti è persino regredito in termini di potere d’acquisto.

Ma i problemi non si fermano agli stipendi inadeguati. C’è anche quello del mancato turn over, con oltre 300mila precari costretti a rimanere ai “box” chissà ancora per quanto tempo. Lo stesso Collegato al lavoro, in discussione in Parlamento, non risolve i problemi dei contratti a termine perché non autorizza la stabilizzazione dei dipendenti pubblici e non prevede una sanzione pesante verso le pubbliche amministrazioni che reiterano i contratti a termine dopo i 36 mesi di servizio. Non è un caso che nei prossimi mesi si esprimerà la stessa Corte di Giustizia Europea sulla stabilizzazione dei precari della scuola, da anni chiamati a supplire. Ma la situazione è aggravata anche dalla “stretta” Fornero-Monti. Basta dire che da quest’anno per accedere alla pensione di vecchiaia serviranno 63 anni e 9 mesi di età; per quella anticipata, un’anzianità contributiva di 41 anni e 6 mesi (per gli uomini un anno in più). E negli anni a venire i requisiti si alzeranno ancora: quando la riforma Fornero entrerà a regime, i lavoratori del pubblico impiego potranno lasciare il lavoro a quasi 68 anni.

Anche su questo fronte quanto accade nella scuola è indicativo: dal 2001 ad oggi lo Stato italiano ha assunto nelle 258.206 insegnanti. Mentre nello stesso periodo quelli che hanno lasciato il servizio per la pensione sono stati molti di più: 295.200. Le assunzioni non sono bastate nemmeno a coprire tutti quei posti liberi, ben 311.364, che sempre a partire dal 2001 sono stati dichiarati dal Miur ufficialmente vacanti. È un dato che fa ancora più male se si pensa che nella scuola vi sono oltre 140mila precari annuali, quasi la metà di tutta la pubblica amministrazione: per loro l’ultima speranza rimane il ricorso alla Corte di Giustizia europea, che entro l’anno si dovrà esprime in modo definitivo.

“Non dobbiamo lamentarci – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – se gli italiani sono gli insegnanti tra i più vecchi al mondo, con un numero crescente di ultra sessantenni e l’età media delle immissioni in ruolo alle soglie dei 40 anni di età. Il risultato di questo processo è l’età media di un insegnante italiano, ormai ben oltre i 50 anni. Dimenticando che l’insegnamento è tra le categorie professionali più a rischio burnout, in Italia ci ritroviamo con due docenti su tre che hanno superato questa età. Mentre i nostri insegnanti under 30 sono presenti per appena lo 0,5%, a fronte del 6,8% della Spagna. Il problema è che chi opera per la PA è trattato sempre più da lavoratore di serie B”.

Per non parlare della trattenuta del 2,5% sul TFR che nel comparto privato è totalmente a carico del datore di lavoro mentre rimane per i neo-assunti nel pubblico impiego dal 2000.

 

Nei primi anni di medie e superiori diventerà la norma formare classi da quasi 30 iscritti. Il prossimo anno avremo incrementi solo tra gli insegnanti di sostegno e pure in questo caso è una beffa, perché si riferiscono agli alunni del 2006 quando i disabili erano poco più della metà di oggi. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): Governo e Miur facciano una seria riflessione sugli organici, iniziando a cancellare la norma che prevede il loro blocco contenuta nella Legge 111/2011. Quando fu approvata, il legislatore pensò solo a risparmiare sugli stipendi, ma non ha fatto i conti con l’aumento demografico e l’ulteriore incremento di alunni stranieri.

Nell’ultimo biennio il numero di alunni è aumentato di circa 64 mila unità, a seguito di un incremento di 30 mila iscritti in più nell’anno in corso e di 34mila nel prossimo, che corrispondono a circa 3mila nuove classi. Ma siccome il numero di insegnanti, a seguito dell’art. 19, comma 7 della Legge 111/2011, è rimasto sempre lo stesso, 600.839 posti di docente comuni, questo significa che gli alunni nuovi arrivati si sono in larga parte accomodati nelle classi esistenti: allargando il già alto numero, che nei primi anni di medie e superiori arriva sempre più spesso alle soglie dei 30 iscritti. Violando, in questo modo, le misure in vigore che, soprattutto in presenza di spazi ridotti, impongono precisi vincoli per non ledere il diritto allo studio. E superando i limiti previsti dalle norme sulla sicurezza e dalla prevenzione degli infortuni.

Gli unici docenti che aumenteranno sono quelli di sostegno. Che da 63.348 saranno incrementati di circa 20mila unità. Ma si tratta, anche in questo caso, di una notizia che stona con la realtà. Quella che deve fare i coti con un organico di diritto sottodimensionato del 30%. Tanto è vero che anche se entro tre anni i docenti di ruolo specializzati nell’insegnamento ai disabili saliranno a 90.032, pari all’organico di quasi 10 anni fa, nello stesso periodo i docenti di sostegno di cui avranno bisogno i nostri alunni saranno molti di più degli attuali 110.216: basti pensare il trend positivo a partire dal 2001, quando gli iscritti nelle scuole con handicap certificato erano appena 138.000, mentre oggi sono diventati 222.000.

Per ovviare a questo problema, il sindacato ha chiesto fin da subito di autorizzare almeno altre 25.000 assunzioni su sostegno in più: ciò eviterebbe inevitabili disagi didattici e problemi di apprendimento per migliaia di disabili, ma anche tantissimi ricorsi in tribunale con danno erariale per lo Stato di chi, gioco forza, dimostrerà di essere stato chiamato per più di 36 mesi su posti liberi. Inoltre, seppure più contenuto rispetto a 10 anni fa, continua ad aumentare il numero di alunni stranieri: appena pochi giorni fa il Miur ha rilevato, assieme all’Ismu, che “dall'analisi statistica emerge che gli alunni con cittadinanza non italiana continuano a crescere di numero e anche di percentuale: sono 786.630, l'8,8% sul totale degli iscritti nelle scuole italiane”.

Come se non bastasse, nel prossimo anno alcune zone d’Italia avranno meno cattedre per tutte le discipline: in Sicilia, ad esempio, si perderanno più di 500 insegnanti. La rivista specializzata ‘Orizzonte Scuola’, nell’articolo riassuntivo, suddiviso per regioni e ordine di scuola, sugli organici degli insegnanti 2014/15 messi a confronto con quelli dell’anno in corso, ha rilevato che “come nel gioco delle tre carte, poiché gli organici non possono essere modificati e gli alunni in talune regioni aumentano, spostiamo cattedre da una regione all'altra. A saldo invariato”.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “è giunto il momento di rispettare in primo luogo le esigenze del territorio perché il tessuto sociale è diseguale nel Paese e di servizi di accompagnamento, sostituti o alternativi a quello scolastico per le nostre famiglie, al Sud e Isole, se ne vedono davvero pochi. E’ arrivato il momento – continua Pacifico – di fare una seria riflessione sugli organici, che tenga prima di tutto conto di tali disuguaglianze per rilanciare tutto il Paese e garantire il diritto costituzionale al lavoro che non può avvenire senza formazione e senza la rimozione di tutti gli ostacoli presenti”.

Il sindacalista Anief-Confedir, inoltre, chiede “al Governo e al Miur di mettersi all’opera per cancellare la norma anacronistica che vieta di incrementare i posti complessivi di insegnamento nella scuola pubblica: il comma 7 dell’art. 19 della legge 111 del 2011 aveva il compito di frenare l’innalzarsi delle cattedra, calmierando in tal modo la spesa per gli stipendi del personale. Ma il legislatore non aveva di certo fatto i conti con il ritorno all’aumento demografico e all’incremento costante di alunni stranieri. Se non si cancella in fretta quell’articolo di legge – conclude Pacifico – rischiamo ritrovarci con una quantità di alunni da dopoguerra o, peggio ancora, da terzo mondo”.


Per approfondimenti:

L’art. 19, comma 7 della Legge 111/2011 che Anief chiede di cancellare:
“A decorrere dall'anno scolastico 2012/2013 le dotazioni organiche del personale docente, educativo ed ATA della scuola non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso personale determinata nell'anno scolastico 2011/2012 in applicazione dell'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, assicurando in ogni caso, in ragione di anno, la quota delle economie lorde di spesa che devono derivare per il bilancio dello Stato, a decorrere dall'anno 2012, ai sensi del combinato disposto di cui ai commi 6 e 9 dell'articolo 64 citato”.

Il prossimo anno avremo 30mila alunni in più, ma il numero dei docenti rimarrà bloccato

Abituiamoci alle classi pollaio: da settembre +34 mila alunni, ma il numero dei docenti è in caduta libera

Fondazione Agnelli: la scuola ha già dato molto

Alunni con cittadinanza non italiana, la fotografia di Miur e Ismu

Organici di sostegno: ancora una volta confermato il 70% dell’organico complessivamente attivato

Alunni in aumento, organici stabili

 

Nei primi anni di medie e superiori diventerà la norma formare classi da quasi 30 iscritti. Il prossimo anno avremo incrementi solo tra gli insegnanti di sostegno e pure in questo caso è una beffa, perché si riferiscono agli alunni del 2006 quando i disabili erano poco più della metà di oggi. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): Governo e Miur facciano una seria riflessione sugli organici, iniziando a cancellare la norma che prevede il loro blocco contenuta nella Legge 111/2011. Quando fu approvata, il legislatore pensò solo a risparmiare sugli stipendi, ma non ha fatto i conti con l’aumento demografico e l’ulteriore incremento di alunni stranieri.

Nell’ultimo biennio il numero di alunni è aumentato di circa 64 mila unità, a seguito di un incremento di 30 mila iscritti in più nell’anno in corso e di 34mila nel prossimo, che corrispondono a circa 3mila nuove classi. Ma siccome il numero di insegnanti, a seguito dell’art. 19, comma 7 della Legge 111/2011, è rimasto sempre lo stesso, 600.839 posti di docente comuni, questo significa che gli alunni nuovi arrivati si sono in larga parte accomodati nelle classi esistenti: allargando il già alto numero, che nei primi anni di medie e superiori arriva sempre più spesso alle soglie dei 30 iscritti. Violando, in questo modo, le misure in vigore che, soprattutto in presenza di spazi ridotti, impongono precisi vincoli per non ledere il diritto allo studio. E superando i limiti previsti dalle norme sulla sicurezza e dalla prevenzione degli infortuni.

Gli unici docenti che aumenteranno sono quelli di sostegno. Che da 63.348 saranno incrementati di circa 20mila unità. Ma si tratta, anche in questo caso, di una notizia che stona con la realtà. Quella che deve fare i coti con un organico di diritto sottodimensionato del 30%. Tanto è vero che anche se entro tre anni i docenti di ruolo specializzati nell’insegnamento ai disabili saliranno a 90.032, pari all’organico di quasi 10 anni fa, nello stesso periodo i docenti di sostegno di cui avranno bisogno i nostri alunni saranno molti di più degli attuali 110.216: basti pensare il trend positivo a partire dal 2001, quando gli iscritti nelle scuole con handicap certificato erano appena 138.000, mentre oggi sono diventati 222.000.

Per ovviare a questo problema, il sindacato ha chiesto fin da subito di autorizzare almeno altre 25.000 assunzioni su sostegno in più: ciò eviterebbe inevitabili disagi didattici e problemi di apprendimento per migliaia di disabili, ma anche tantissimi ricorsi in tribunale con danno erariale per lo Stato di chi, gioco forza, dimostrerà di essere stato chiamato per più di 36 mesi su posti liberi. Inoltre, seppure più contenuto rispetto a 10 anni fa, continua ad aumentare il numero di alunni stranieri: appena pochi giorni fa il Miur ha rilevato, assieme all’Ismu, che “dall'analisi statistica emerge che gli alunni con cittadinanza non italiana continuano a crescere di numero e anche di percentuale: sono 786.630, l'8,8% sul totale degli iscritti nelle scuole italiane”.

Come se non bastasse, nel prossimo anno alcune zone d’Italia avranno meno cattedre per tutte le discipline: in Sicilia, ad esempio, si perderanno più di 500 insegnanti. La rivista specializzata ‘Orizzonte Scuola’, nell’articolo riassuntivo, suddiviso per regioni e ordine di scuola, sugli organici degli insegnanti 2014/15 messi a confronto con quelli dell’anno in corso, ha rilevato che “come nel gioco delle tre carte, poiché gli organici non possono essere modificati e gli alunni in talune regioni aumentano, spostiamo cattedre da una regione all'altra. A saldo invariato”.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “è giunto il momento di rispettare in primo luogo le esigenze del territorio perché il tessuto sociale è diseguale nel Paese e di servizi di accompagnamento, sostituti o alternativi a quello scolastico per le nostre famiglie, al Sud e Isole, se ne vedono davvero pochi. E’ arrivato il momento – continua Pacifico – di fare una seria riflessione sugli organici, che tenga prima di tutto conto di tali disuguaglianze per rilanciare tutto il Paese e garantire il diritto costituzionale al lavoro che non può avvenire senza formazione e senza la rimozione di tutti gli ostacoli presenti”.

Il sindacalista Anief-Confedir, inoltre, chiede “al Governo e al Miur di mettersi all’opera per cancellare la norma anacronistica che vieta di incrementare i posti complessivi di insegnamento nella scuola pubblica: il comma 7 dell’art. 19 della legge 111 del 2011 aveva il compito di frenare l’innalzarsi delle cattedra, calmierando in tal modo la spesa per gli stipendi del personale. Ma il legislatore non aveva di certo fatto i conti con il ritorno all’aumento demografico e all’incremento costante di alunni stranieri. Se non si cancella in fretta quell’articolo di legge – conclude Pacifico – rischiamo ritrovarci con una quantità di alunni da dopoguerra o, peggio ancora, da terzo mondo”.


Per approfondimenti:

L’art. 19, comma 7 della Legge 111/2011 che Anief chiede di cancellare:
“A decorrere dall'anno scolastico 2012/2013 le dotazioni organiche del personale docente, educativo ed ATA della scuola non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso personale determinata nell'anno scolastico 2011/2012 in applicazione dell'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, assicurando in ogni caso, in ragione di anno, la quota delle economie lorde di spesa che devono derivare per il bilancio dello Stato, a decorrere dall'anno 2012, ai sensi del combinato disposto di cui ai commi 6 e 9 dell'articolo 64 citato”.

Il prossimo anno avremo 30mila alunni in più, ma il numero dei docenti rimarrà bloccato

Abituiamoci alle classi pollaio: da settembre +34 mila alunni, ma il numero dei docenti è in caduta libera

Fondazione Agnelli: la scuola ha già dato molto

Alunni con cittadinanza non italiana, la fotografia di Miur e Ismu

Organici di sostegno: ancora una volta confermato il 70% dell’organico complessivamente attivato

Alunni in aumento, organici stabili

 

Il Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, pubblicato dall’Aran in queste ore, conferma quanto il mestiere dell’insegnante abbia perso prestigio e valore sociale: dal 2001 anche il settore privato è andato meglio, con le buste paga del manifatturiero che hanno sovrastato il costo della vita di ben 15 punti; chi lavora per la formazione e la crescita dei nostri giovani è invece andato sotto di 2 punti.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): quella dei nostri insegnanti è la categoria più maltrattata d’Europa. Non stiamo parlando dei 100.000 euro lordi annui dei colleghi del Lussemburgo o delle 50.000 sterline degli inglesi: dal 2007 per colpa del blocco dei contratti nella PA lo stipendio medio di quelli italiani (meno di 30.000 euro lordi) è sceso di ulteriori mille euro. E se il Governo riuscirà nell’intento, già dichiarato, di cancellare gli scatti d’anzianità andrà sempre peggio. L’ultima speranza è la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

Non solo sul breve, ma anche sul lungo periodo le retribuzioni medie dei docenti e del personale della scuola sono cresciute meno dell’inflazione e di tutti gli altri comparti pubblici e privati: tra il 2001 e il 2012 gli stipendi di docenti e Ata si sono innalzati appena del 29,2%, meno del tasso di inflazione effettivo del periodo (31%) e degli altri settori della PA. Basti pensare che nello stesso periodo le busta paga dei dipendenti in forza a Regioni e Autonomie locali sono state incrementate del 41,6%. E quelle di chi opera per le amministrazioni pubbliche centrali del 40,3%. Addirittura nel settore privato manifatturiero hanno fatto riscontrare un aumento del 45,6%.

I dati sono contenuti nell’ultimo Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, relativo al secondo semestre 2013, pubblicato dall’Aran in queste ore. E rappresentano la conferma di quanto il mestiere dell’insegnante abbia perso prestigio e valore sociale. Nel registrare i rapporti retributivi dei salari pubblici, aggiornati a tutto il 2012, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale per le PA, “conferma il quadro di sostanziale staticità delle retribuzioni su tutti i settori della Pubblica amministrazione, dovuto alle misure di sospensione della contrattazione nazionale e di congelamento delle retribuzioni, introdotte dal 2010 e vigenti anche per l’anno 2014”.

“La dinamica delle retribuzioni pro-capite di fatto, rilevate dall’Istat, riporta per l’intero aggregato relativo alle Amministrazioni pubbliche una crescita sostanzialmente nulla. Il settore privato registra, invece, un andamento in crescita (+1,2%), con importanti differenze al suo interno fra i Servizi vendibili (+0,6%) e le Attività manifatturiere (+2%). Questo quadro – continua l’Aran - è confermato peraltro da tutte le fonti statistiche disponibili, ivi compresi i dati rilevati dalla Ragioneria generale dello Stato attraverso il conto annuale, pure citati nel Rapporto”.

Tutte queste nuove indicazione danno forza a quanto l’Anief sostiene da tempo: la depauperazione dei dipendenti della scuola ha origine lontane, risale ad oltre 20 anni fa. Tutto ha inizio con il “piano” avviato con il D.lgs. 29/1993, poi ribadito con il D.lgs. 165/01 e con il più recente D.lgs. ‘brunettiano’ 150/09: tutti provvedimenti orientati a disinnescare i diritti previsti dai contratti di comparto. E finalizzati a fare spazio, per ragioni di finanza pubblica, alla privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego. Ma l’equiparazione ai contratti privati non c’è mai stata. Non ha nemmeno “retto” l’aumento del costo della vita degli ultimi 12 anni.

Come degli ultimi 5: tra il 2007 e il 2013 l’inflazione è salita al 12%, mentre gli aumenti disposti dall’ultimo Ccnl 2006-2009 della scuola si sono fermati all’8%. Con 4 punti, quindi, sotto il costo della vita ed uno in meno di tutto il pubblico impiego (9%). Con il contratto ormai bloccato dal 2009 dalla legge Tremonti (122/2010) e dalla proroga voluta dal Governo Letta (DPR 122/2013), nonostante siano stati pagati gli scatti per il biennio 2010-2011 ma ai valori del 2009, grazie ai tagli di 50.000 posti di lavoro e alla riduzione di un terzo del MOF (- 500 milioni di euro).

Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, chiede di compensare questo gap stipendiale rispetto al costo della vita con un indennizzo proporzionale: “se si dovessero adeguare gli stipendi al solo costo dell’inflazione certificata nel periodo 2007-2013 – sostiene il sindacalista - bisognerebbe assegnare 93 euro lorde al mese dall’anno 2010. Altro che 80 euro dal prossimo mese di maggio, come ha annunciato il governo: questo comporterebbe un credito in media di 5.000 euro lordi di arretrati a dipendente”.

“Tuttavia, se si dovessero rapportare gli stipendi a quelli dei docenti Ocde, a parità di lavoro nelle superiori, da quando è stato bloccato il contratto, - continua Pacifico - la cifra quintuplica perché a fine carriera gli stipendi dei nostri insegnanti sono inferiori di 8.000 euro. Ecco perché gli 80 euro promessi dal Governo non bastano. Il credito a dipendente diventa quindi, solo per gli ultimi 5 anni, di 25mila euro. Complessivamente, per pagare anche i soli arretrati servirebbero subito 5 miliardi di euro”.

Ma non è finita. Perché se si considera che il 60% del personale della scuola è over 50, si comprende come la categoria sia la più maltrattata d’Europa. Non stiamo parlando dei 100.000 euro lordi annui dei colleghi del Lussemburgo o delle 50.000 sterline degli inglesi: lo stipendio medio dei docenti italiani (neanche 30.000 euro lordi) è sceso di mille euro negli ultimi sei anni e tutto per colpa del blocco dei contratti nel pubblico impiego. Una scelta, purtroppo, condivisa da diverse organizzazioni sindacali che hanno firmato nel febbraio 2011 un’intesa con il Governo per applicare la riforma Brunetta (d.lgs. 150/2009) già dal prossimo rinnovo contrattuale e cancellare gli stessi scatti di anzianità, e che sembra condivisa dal nuovo ministro Giannini che ha più volte dichiarato di voler abbandonare il sistema della progressione di carriera per anzianità (scatti) per finanziare con il fondo d’istituto, oggi ridotto di un terzo rispetto al 2010, il merito di qualcuno, sempre che trovi i soldi (nuovi tagli) e un sistema oggettivo di valutazione.

In conclusione, lo stipendio base del personale della scuola non è sufficiente rispetto all’aumento del costo della vita, è inadeguato per come la funzione è percepita negli altri Paesi economicamente sviluppati ed è persino regredito in termini di potere d’acquisto. “Per tutte queste ragioni – conclude Pacifico – Anief ha deciso di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per tutelare non soltanto il diritto a un contratto, al lavoro e a una giusta retribuzione ma anche alla parità di trattamento tra i lavoratori italiani ed europei. Esiste anche un’Europa dei Diritti e non soltanto del pareggio di bilancio”.

Per informazioni sul ricorso basta scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Per approfondimenti:

Il Rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti 2-2013

Stipendi da fame, altro che pizze. Mentre si aspettano gli 80 euro promessi dal Governo, Anief ne chiede 25.000 di arretrati al netto dell’inflazione e nella media dei Paesi OCDE

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