Varie

Spariranno anche 14 cattedre in Abruzzo, 58 in Basilicata, 183 in Calabria, 387 in Campania, 33 in Molise, 340 in Puglia, 27 in Sardegna. Tranne l’Umbria, dove vi sarà un decremento di appena 11 posti, tutte le altre regioni del Centro-Nord avranno invece un numero maggiore di docenti. Marcello Pacifico (presidente Anief): basta con la costituzione degli organici dei docenti avendo come riferimento solo i numeri degli iscritti, le scuole non sono fabbriche dove si costruiscono robot. Meridione e Isole avrebbero bisogno di più docenti e risorse, perché presentano tassi di dispersione altissimi.

Al di là degli annunci-spot del premier Renzi e del Ministro Giannini, che non perdono giorno per dire che la scuola uno dei settori principali su cui il Governo intende investire perché è da lì che bisogna rilanciare l’Italia, la svolta nel settore dell’istruzione pubblica ancora non c’è stata: il prossimo anno scolastico gli studenti iscritti saranno ben 33.997 in più di quello attuale. Tuttavia, per effetto del blocco all’organico di diritto previsto dalla Legge n. 122/2102, il numero degli insegnanti sarà sempre lo stesso: 600.839. Ora si scopre che in alcune zone d’Italia saranno anche di meno: in Sicilia, ad esempio, si perderanno più di 500 insegnanti, mentre in Lombardia ve ne saranno 420 in più. L’anticipazione giunge in queste ore dalla rivista specializzata ‘Orizzonte Scuola’, che ha pubblicato un quadro riassuntivo, suddiviso per regioni e ordine di scuola, sugli organici degli insegnanti 2014/15 messi a confronto con quelli dell’anno in corso.

La rivista ha rilevato che “come nel gioco delle tre carte, poiché gli organici non possono essere modificati e gli alunni in talune regioni aumentano, spostiamo cattedre da una regione all'altra. A saldo invariato”. Ma se il totale rimane immutato, c’è comunque chi guadagna. E, inevitabilmente, chi perde. Peccato che a perdere insegnanti saranno solo le regioni del Sud: nel prossimo anno scolastico si perderanno 14 cattedre in Abruzzo, 58 in Basilicata, 183 in Calabria, 387 in Campania, 33 in Molise, 340 in Puglia, 27 in Sardegna, 504 in Sicilia. Tranne l’Umbria, che perderà comunque appena 11 posti, tutte le altre regioni del Centro-Nord avranno invece un numero maggiore di docenti.

L’associazione sindacale Anief ritiene iniqua e pericolosa questa politica avviata dal Miur da almeno sette anni: scorrendo gli ultimi dati forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato, si è scopre infatti che tra il 2007 e il 2012 il personale della scuola ha perso oltre 124 mila posti (facendo registrare un -10,9%): da 1.137.619 unità di personale si è passati a poco più di un milione. Con gran parte di questi posti persi che appartengono al corpo docente. Anche se il numero di alunni tra il 2009 e il 2012 è aumentato di 90.990 unità, quello degli insegnanti si è ridotto del 9% passando “da 843 mila a 766 mila: una riduzione – ha rilevato di recente la Fondazione Agnelli - che ha toccato in eguale misura tutti i gradi scolastici, con l’eccezione della scuola dell’infanzia, e ha riguardato in modo più vistoso i docenti con un contratto a tempo determinato (-25%), mentre quelli di ruolo sono scesi del 6%”.

Sempre dal rapporto della Fondazione Agnelli è emerso che, soprattutto a seguito delle “misure volute dai ministri Gelmini e Tremonti con la legge 133/2008”, sono state riscontrate “importanti differenze regionali, con province del Sud, dove la popolazione studentesca è in forte calo, che hanno registrato diminuzioni dei docenti di ruolo fino al 18%”. I tagli maggiori al corpo docente di ruolo hanno riguardato tutte province del Sud: Frosinone, Matera, Avellino, Messina, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Nuoro, Reggio Calabria e Isernia.

Inoltre, scorrendo l’ultimo rapporto territoriale Abi–Censis, realizzato su dati Istat, si scopre che l’area dove lo “squilibrio socio-economico” è maggiore è quella del Mezzogiorno. E lo stesso, tranne rare eccezioni, vale per quelle che hanno il più “basso tenore di crescita” a livello di “potenzialità rurale” o che sono “a rischio involuzione”. Mentre i territori dove c’è maggiore possibilità di crescita e sviluppo sono quelli del Nord, in particolare il Friuli, il Trentino, il Veneto, la Lombardia e il Piemonte. Con il settentrione che fa quindi “da traino”.

Il problema è che si stanno sottraendo docenti proprio dove ce ne sarebbe più bisogno: se si consulta il Focus del Miur sulla “dispersione scolastica”, si scopre che le zone dove gli alunni iscritti, sia nella scuola di primo che di secondo grado, presentano un “maggior rischio di abbandono” scolastico prima dei 16 anni sono ancora una volta Sud e Isole: Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo. E, per chiudere il cerchio, Anief-Confedir ha rilevato, attraverso un apposito dossier sul fenomeno dei Neet, che complessivamente in Italia vi sono 2 milioni 250 mila giovani tra i 15 e i 29 anni, 23,9% di quella fascia d’età: il numero di gran lunga maggiore di giovani che non lavorano e non studiano è radicato sempre Sud. Con zone dove riguarda ormai un giovane su due.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “sugli organici degli insegnanti ancora un volta si è persa un'occasione per combattere l’altissima dispersione e abbandono scolastico al Sud. Dove, si continuano a perdere alunni e cattedre in misura doppia, a volte tripla, rispetto alle indicazioni dell’Unione Europea. È tutto dire che il Cnel, elaborando dei dati Istat, ha denunciato che se in Italia il ciclo formativo si interrompe già molto presto, il 18,2% dei giovani con meno di 16 anni rispetto al 12,3% della media europea, al Sud, in particolare in Sicilia, Sardegna e Campania, un giovane su quattro lascia precocemente gli studi. Esemplare quanto accade in alcune province, come quella di Napoli, dove negli istituti tecnici la percentuali di studenti che risultano dispersi nel quinquennio supera il 45%. E il Ministero che fa? Riduce il corpo insegnante: è incredibile”.

Tutti questi dati dimostrano che gli attuali criteri sulla formazione dell’organico dei docenti, derivanti dal D.P.R. 81 del 2009, con gruppi-classi che possono raggiungere 27-28 alunni, non possono essere adottati nelle aree disagiate e a rischio. Per il Sud, in particolare laddove il disagio socio-economico è maggiore, occorre introdurre degli organici con parametri diversificati rispetto alle altre aree del Paese. E per questo occorre prevedere delle risorse aggiuntive, ad iniziare da un diverso rapporto docenti-studenti, facendo così cadere l’unicità degli organici e della formazione delle classi.

“Bisogna finirla con la costituzione degli organici dei docenti avendo come riferimento solo i numeri degli iscritti”, ricorda Pacifico. “Perché le istituzioni scolastiche non sono fabbriche dove si costruiscono robot: non si può pensare di comparare i giovani che studiano a degli operai. Anche la più recente giurisprudenza sul dimensionamento scolastico, che tanto per cambiare ha penalizzato il Sud, ha confermato questa linea: il numero di scuole e di alunni va rapportato alle esigenze territoriali, tanto è vero che la competenza rimane esclusiva degli enti locali. A fronte, del resto, di un maggior tasso di abbandono scolastico, di Neet e di flussi migratori particolarmente accentuati, è evidente – conclude il rappresentante Anief-Confedir - che va ripensata la modalità di costituzione del servizio formativo pubblico”.

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Rapporto AlmaDiploma sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati di scuola secondaria superiore ad uno, tre e cinque anni dal diploma

Servizio statistico Miur: Focus ‘La dispersione scolastica’ (2013)

Fondazione Agnelli: la scuola ha già dato molto

Abi-Censis: Territorio, banca, sviluppo - I sistemi territoriali dentro e oltre la crisi

E li chiamano Neet: dossier Anief-Confedir sull’evoluzione del quadro formativo e occupazionale dell’ultimo decennio

 

Anief reputa inappropriato l’invito rivolto dal Ministro dell’Istruzione ai sindacati a non salvaguardare più il minimo stipendiale per tutti: ma lo sa che il blocco del contratto, lo stop and go sugli scatti, la sospensione dell’assegno di vacanza contrattuale hanno posizionato lo stipendio degli insegnanti addirittura 4 punti percentuali sotto l’inflazione? Lo sa come si fa a vivere con neanche 1.300 euro al mese?

Anziché perdere tempo a ricordare ai sindacati, come ha fatto oggi, che non devono più “salvaguardare il minimo garantito per tutti”, ma impegnarsi per valorizzare solo “chi lavora meglio”, il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini farebbe bene ad andare a leggersi quanto guadagna nel 2014 un insegnante della scuola pubblica italiana: in media non arriva a 1.300 euro, meno di un operaio. Il blocco del contratto, lo stop and go sugli scatti, la sospensione dell’assegno di vacanza contrattuale hanno infatti posizionato lo stipendio degli insegnanti addirittura 4 punti percentuali sotto il livello dell’inflazione.

Il Ministro Giannini forse non sa, o fa finta di non sapere, che in Europa i docenti percepiscono lo stipendio più basso dopo la Grecia, con quasi 8mila euro in meno a fine carriera rispetto alla media di tutto il vecchio Continente. E sono maltrattati anche rispetto agli dipendenti pubblici: dall’ultimo ‘Conto annuale’, realizzato dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato risulta che il personale scolastico è posizionato un punto percentuale rispetto alla media degli altri comparti della PA.

Comparti che, ricordiamo sempre al Ministro, sono già in grave ritardo rispetto alla crescita dell’inflazione: mentre il premier Renzi promette ‘oboli’ da 80 euro per mezzo milione di docenti e gli Ata che percepiscono meno di 1.500 euro al mese, l’Istat emette un indice generale delle retribuzioni contrattuali orarie disponibile con incrementi tendenziali sopra la media solo per il settore privato (+1,9%), in particolare nei settori dell’agricoltura (+3,4%), dell’industria (+2,1%) e dei servizi privati (+1,6%). Mentre in tutti i comparti della pubblica amministrazione si continuano a registrare variazioni nulle.

L’Anief può essere anche d’accordo con il Ministro Giannini quando dice che occorre "valorizzare le singole persone", ma prima di questa operazione c’è da attuare un’opera di allineamento dello stipendio del personale scolastico al costo reale della vita. “La nostra Costituzione – ricorda Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – prevede il lavoro come fondamento del Paese: pertanto, le istituzioni e la politica devono garantire uno stipendio dignitoso. Trovando le risorse adeguate: il prossimo rinnovo contrattuale del comparto Scuola diventa quindi il banco di prova per capire se questo Esecutivo è in grado di fornire tale prerogativa. Se il Ministro non lo comprende o non è d’accordo, allora faccia pure un passo indietro”.

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Solo il 6,6% tra i 25 ed i 64 anni di età è oggi coinvolto nella formazione. Eppure il Regolamento, varato più di un anno fa, prevede la messa a regime immediata delle nuove strutture. Per dare una risposta a milioni di cittadini deprivati culturalmente e senza occupazione. Oltre che per favorire le esigenze di riqualificazione professionale, l'alfabetizzazione linguistica degli stranieri e la formazione nelle carceri.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è paradossale che i Cpia non siano presenti in realtà svantaggiate. Clamorosa l’assenza nel territorio campano, dove imperversano disoccupazione, Neet e dispersione scolastica. Nell’era della formazione permanente, in Italia mancano ancora alternative all’istruzione tradizionale.

In Italia l’educazione per gli adulti è lontana dal compiersi. Ma quel che è più grave è che latita nelle regioni dove vi sarebbe più bisogno. Come in Sicilia, dove il numero di disoccupati e di cittadini che hanno lasciato i banchi prima del tempo è sopra il livello di guardia, ma al contrario di quel che sostiene il regolamento nazionale, approvato oltre un anno fa, non è stato ancora attivato un centro di formazione per adulti. In Italia appena il 6,6% degli adulti tra i 25 ed i 64 anni ne usufruisce. È una vera miseria, basta ricordare che in Spagna gli adulti che seguono un corso di studi sono il 10,7%.

Il quadro nazionale è davvero desolante: da una ricerca realizzata dall’Anief sulle scuole tagliate negli ultimi due anni è emerso che nel nostro paese ogni Regione potrebbe contare in media su 7 Centri territoriali permanenti, per un totale di 144 Cpia complessivi. Ma la distribuzione è tutt’altro che omogenea: Il valore più alto degli adulti che studiano si riscontra al Centro (7,6%) e quello più basso al Sud (5,7%). Oltre alla Campania, ci sono anche Molise, Umbria e Veneto a non poter contare nemmeno su un centro formativo per adulti. Eppure la Campania è la Regione dove nel 2011 su 100 persone da 20 a 64 anni residenti neppure 43 lavoravano. E sempre in Campania, dati Istat fine 2013, sono concentrati tantissimi Neet: i giovani che non seguono percorsi formativi e non lavorano hanno raggiunto il 35,4%. I non occupati sono quasi 700mila, di cui 225mila di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Mentre, paradossalmente, in Lombardia, dove la presenza di Neet è decisamente più bassa (16,2%), sono stati attivati ben 20 Centri territoriali permanenti.

“Si tratta di una contraddizione davvero inspiegabile – dice Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir –, un paradosso tutto italiano sul fronte dell’istruzione e del lavoro giovanile: come si fa a non attivare nemmeno un centro per la formazione degli adulti proprio in Campania, dove abbondano disoccupati e Neet? E dove i diplomati, ci ha detto l’Istat, sono appena il 47%, contro una media nazionale di 9 punti percentuali superiore, addirittura quasi 20 punti in meno rispetto a Lazio, Umbria e la provincia di Trento, dove a concludere con successo le superiori sono il 65% dei giovani?

“E, ancora, come si fa a lasciare al loro destino quel 22 per cento di giovani che escono prematuramente dal sistema scolastico campano? La realtà è che mentre si continua a parlare di istruzione permanente, in Italia nel 2014 ancora non esiste un’alternativa ai canali formativi tradizionali. Eppure le norme esistono e – conclude il sindacalista Anief-Confedir – i numeri indicano chiaramente che il successo formativo è legato a doppio filo con quello professionale-occupazionale”.

È significativo che nel 2010 in Europa il 39% dei Neet tra i 25 e i 29 anni aveva un modesto livello di istruzione (licenza media), il 44% una formazione di secondo livello (diploma di maturità), e solo il 17% una formazione di livello terziario (laurea). Un dato che conferma, se ve ne era ancora bisogno, che il livello formativo conseguito incide pesantemente sull’occupazione dei giovani. Solo i nostri governanti non sembrano accorgersene. A costo di disapplicare la legge.

Perché lo scorso anno, il 25 febbraio 2013, sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale 47/2013 gli 11 articoli del D.P.R. 263/2012 contenenti il Regolamento sul funzionamento dei “Centri provinciali per l'istruzione degli adulti”, al fine di introdurre “le norme generali per la graduale ridefinizione, a partire dall'anno scolastico 2013-2014 e comunque entro” il “2014-2015”, specificatamente per la definizione del loro “assetto organizzativo e didattico”.

Nello D.P.R. 263/12 è stata prevista l’attivazione di “un comitato di verifica tecnico-finanziaria composto da rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze, con lo scopo di monitorare il processo attuativo” dell’introduzione degli stessi Cpia. Questo organismo di esperti, presieduto dal professor Tullio De Mauro e nominato dagli ex ministri Carrozza e Giovannini, rispettivamente dell’Istruzione e del Lavoro, ha affrontato la problematica, giungendo anche a formulare delle ipotesi di intervento.

Come lo sviluppo delle università della terza età, ma soprattutto l’attivazione di luoghi dell'apprendimento culturale collettivo all’interno delle scuole ("Fabbriche della Cultura" sul modello “olivettiano”) aperti anche il pomeriggio e il sabato per favorire nuove iniziative di learning by doing, accogliere corsi e seminari di aggiornamento, agevolare l'accesso alle biblioteche scolastiche, introducendo anche una piattaforma di networking.

L’obiettivo primario di questo progetto sarebbe stato quello di far conseguire dei titoli di studio di primo e di secondo livello, attraverso dei patti formativi individuali, in grado di valorizzare le competenze già acquisite e di conciliare i tempi del lavoro e della famiglia. Con i centri per adulti che sarebbero dovuti diventare una risposta concreta per centinaia di migliaia di Neet. Ma anche per la riqualificazione professionale di chi ha perso lavoro, un luogo in cui favorire l'alfabetizzazione linguistica per gli stranieri e la formazione nelle carceri, rispondendo ad un bisogno diffuso di coesione sociale.

A distanza di oltre un anno dall’approvazione del regolamento che ha disciplinato l’educazione degli adulti, però, dei decreti attuativi del regolamento non vi è traccia. Tanto è vero che la stampa specializzata ha ravvisato che in Italia il numero di adulti che si formano “è molto debole, coinvolgendo solo il 6,6% del potenziale pubblico”: appena 144 centri per adulti, seppure 45 in più di due anni prima, appaiono davvero pochi. Ed è ancora più grave che risultino ancora tutti privi di dirigenza scolastica. Il messaggio è chiaro: ancora una volta l’educazione per gli adulti deve attendere tempi migliori.

Per approfondimenti:

ISTAT - Giovani che non lavorano e non studiano (2013)

Il Regolamento sui Centri di formazione per gli adulti: D.P.R. 263/12

 

A distanza di tre anni, il dimensionamento approvato dall’ultimo governo Berlusconi si frantuma sentenza dopo sentenza: dopo quelle fondamentali della Consulta e del Consiglio di Stato è la volta del Tar della Sardegna. Il Molise sulla stessa strada. I tribunali hanno accertato il danno professionale e di vita prodotto ai docenti perdenti posto, che ora dovranno tornare nelle loro vecchie scuole.

Marcello Pacifico (Anief-Confedir): siccome non c’è stato alcun accordo in Conferenza Stato-Regioni, da 1° settembre anche 300 istituti superiori dovranno essere riaperti. E il personale titolare riassegnato. Il nostro sindacato continua a difendere i diritti di chi non farà ritorno al suo posto.

Mancano tre mesi alla fine dell’anno scolastico, ma per il dimensionamento voluto degli ex ministri dell’ultimo governo Berlusconi, Maria Stella Gelmini e Giulio Tremonti, la bocciatura sembra inevitabile: dalle aule dei tribunali continuano infatti ad arrivare espressioni negative contro la “madre” di tutte le cancellazioni e gli accorpamenti degli istituti, il decreto legge 98 del 2011, poi Legge 111/2011, nella parte che ha fissato l'obbligo di fusione degli istituti comprensivi delle scuole dell'infanzia, elementari e medie con meno di “1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche”.

Contro quel provvedimento, che ha causato la cancellazione di oltre 1.700 scuole, già reputato "costituzionalmente illegittimo" dalla Consulta con la sentenza 147 del 2012, continuano ad arrivare sentenze negative: prima, nel 2013, il Consiglio di Stato ha cancellato l'accorpamento di tre istituti comprensivi calabresi, poi il Tar Sardegna, all’inizio di quest’anno, ha annullato il dimensionamento di dieci scuole dell’Isola e gli atti conseguenti (decreti di assegnazione dei dirigenti e Dsga, assegnazione personale docente e Ata con decreti di personale sovrannumerario, nonché i codici meccanografici). A fine marzo ci sono tutti i presupposti che anche il Tar Molise segua la stessa strada.

Esemplare è quanto accaduto in Sardegna meno di due mesi fa, con l’Ufficio scolastico regionale che ha disposto quanto stabilito con le sentenze del Tar numero 593, 594, 598, 970 e 971, tutte del 2013, e già ribadito con il decreto del 2 gennaio 2014 n. 42 dello stesso Usr, con il quale è stata annullata “in corso d’anno, con effetto immediato”, la mobilità coatta del personale perdente posto a seguito del dimensionamento attuato nel 2012/13: il personale docente e Ata che ha perso la titolarità ha potuto quindi riacquisirla.

Grazie, di fatto, alla riapertura degli istituti dove svolgevano servizio, illecitamente soppressi o fusi proprio attraverso l’adozione della Legge 111 del 2011. I giudici che operano nell’Isola, inoltre, hanno disposto delle pene pecuniarie, anche consistenti, a danno dell’amministrazione, da assegnare quotidianamente sino a quando non verrà sanata la situazione.

Si tratta di indicazioni rilevanti. Perché potrebbero presto sovvertire quanto disposto negli ultimi sei anni, nel corso dei quali è stata cancellata una scuola su tre: da oltre 12mila sono passate alle attuali 8.400. Con conseguente riduzione dell’organico di dirigenti e Dsga di 4mila unità per profilo. Con il risultato finale che oggi un dirigente scolastico gestisce il proprio istituto, più, in media, altri 4. Senza peraltro avere più la possibilità di retribuire le reggenze affidate ai vicari (L. 135/12).

“In linea con quanto denunciato dall'Anief sin dall’approvazione di quella Legge votata durante l’ultimo Governo Berlusconi – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – sono sempre più le sentenze del Tar o del Consiglio di Stato che dichiarano illegittimi gli accorpamenti di plessi, l'assegnazione di dirigenti e Dsga, i decreti che individuano sovrannumerari a seguito dei processi di fusione. I giudici, del resto, non possono fare altro che sottoscrivere l’evidenza della violazione dei criteri di legge: senza un nuovo accordo in Conferenza Stato-Regioni, ai sensi della normativa vigente dopo la sentenza della Consulta, non possono infatti essere attuati nuovi accorpamenti o soppressioni”.

“E questo vale anche – prosegue Pacifico – per le scuole superiori, ma in questo caso dal prossimo anno scolastico: ai sensi della recente Legge 128/13, in mancanza di un accordo con le Regioni, che non c’è stato, l’attuale norma sugli accorpamenti, introdotta con il c. 5 della Legge 111/11 attraverso cui è stato di fatto soppressa l'assegnazione dei dirigenti in 300 scuole superiori, rimane in vigore solo fino al prossimo 31 agosto”.

Il presidente Anief e segretario organizzativo Confedir lo aveva denunciato già nel gennaio 2013 con una lettera aperta ai Governatori delle Regioni, invitandoli a ripristinare il numero di scuole autonome esistenti prima della cancellazione da parte della Corte Costituzionale con la sentenza n. 147/2012 dell'art. 19, c. 4 della legge 111/11 ai sensi della quale tutti gli atti emanati in nome di una norma di legge dichiarata incostituzionale perdono la loro validità ed efficacia dopo la pubblicazione della sentenza. Mentre tutti gli interessati (studenti, personale dirigente e dipendente) possono rivendicare la difesa dei propri diritti soggettivi lesa dall’adozione di norme cancellate dal nostro ordinamento.

Va sottolineato, inoltre, che la sentenza della Consulta n. 147 del 7 giugno 2012 ha comportato, tra l’altro, il ripristino dei criteri che garantiscono l'efficace esercizio dell'autonomia amministrativa e didattica previsti dal D.P.R. 233 del 18 giugno 1998, la cui applicazione garantisce comunque la collocazione di questo personale in uno stato di titolarità. E non di certo il loro posizionamento in esubero. Con tutte le conseguenze, professionali e personali, che ne derivano.

A tal proposito, vale la pena ricordare che in tutto negli ultimi sei anni sono stati circa 200mila i posti, tra docenti e personale Ata, ad essere cancellati per effetto dei piani di razionalizzazione (L. 244/2007, L. 133/2008, L. 111/11, L. 135/12). A proposito del personale non docente, l'Anief ha di recente calcolato che solo nell'ultimo triennio sono stati cancellati 44.500 Ata. Cui vanno aggiunti 2.395 direttori dei servizi generali e amministrativi. In tutto 47mila posti in meno, che corrispondono ad un quinto del totale degli Ata.

Tra i limiti all’esame dei giudici, infine, c’è il mancato rispetto da parte delle Regioni dei pareri delle Consulte provinciali: dei pareri necessari, secondo giurisprudenza costituzionale per il marcato interesse che gli enti locali hanno sul territorio ai fini dell'erogazione del servizio. In gioco c’è anche il valore dei titoli di studio rilasciati dagli istituti scolastici, oltre che le posizioni dei lavoratori coinvolti. Ed ecco perché sono sempre più le famiglie degli alunni che impugnano certe norme astruse assieme al personale della scuola.

Chi è interessato a ricorrere contro il dimensionamento illegittimo, può scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per far rivivere la propria scuola. È possibile aderire al ricorso, anche se a seguito della mobilità si viene dichiarati sovrannumerari su scuola che non dovrebbe essere dimensionata. In questo caso bisogna scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Per approfondimenti:

La Corte Costituzionale boccia il dimensionamento scolastico

Il Consiglio di Stato ci dà ragione: basta tagli di organici immotivati al Sud

Dimensionamento 2013-14: Miur e Regioni disapplicano la legge, Anief pronta a difendere studenti, famiglie e personale scolastico

Scuole tagliate: illegittimo per Tar e CdS il dimensionamento operato dalle Regioni negli ultimi due anni

 

Queste le motivazioni dei giudici che bocciano i tagli attuati per il 66,5% al Sud e nelle Isole, dove è più alto il tasso di dispersione scolastica (solo nel 2012 cancellate in maniera illegittima 1.567 sedi autonome): attuazione di una norma incostituzionale (Legge 111/2011) e contro il parere contrario delle consulte provinciali. Dovevano invece essere rispettati i criteri del D.P.R. 233/98. Annullati anche a fine primo quadrimestre i decreti d’individuazione dei dirigenti scolastici-dsga e del personale sovrannumerario, nonché l’assegnazione dei codici meccanografici.

Marcello Pacifico (presidente Anief e segretario organizzativo Confedir) lo aveva denunciato nel settembre 2012 e nel gennaio 2013, scrivendo anche di suo pugno ai Governatori. Ma invano. Poi, nell’ottobre 2013 aveva chiesto modifiche al decreto legge sulla scuola. Ora l’ultima parola passa sempre più ai tribunali.

I tagli alle scuole avviati a partire dal 2000 e culminati con la Legge Tremonti-Gelmini 111/2011 hanno ridotto drasticamente la qualità dell’offerta formativa italiana, penalizzando in particolare le sedi del Sud e delle Isole dove il fenomeno della dispersione scolastica rimane a livello di emergenza massima. Secondo uno studio dell’Anief, in tredici anni si è passati dal rapporto 1 a 5 al rapporto 1 a 7 tra sedi direzionali e plessi decentrati o istituti accorpati. Con il 66,5% dei tagli delle scuole autonome che è avvenuto al Sud-Isole, dove è proprio più alto il tasso di abbandono dei banchi.

La ‘mazzata’ finale al progetto di cancellazione di plessi e scuole autonome è arrivata nell’ultimo biennio. Solo nel 2012 sono stati cancellati in maniera illegittima 1.567 sedi amministrative (scuole autonome) di circoli didattici, istituti comprensivi e medie, mentre per l’ultimo anno dovrebbero rimanere scoperte 595 scuole, specie tra le superiori, affidate in reggenza (legge 128/13). Scomparso un posto su quattro tra dirigenti scolastici e dsga. E ora i tribunali cominciano a dare regione sempre più ai ricorrenti, famiglie e personale docente e Ata, in assenza di risposte coerenti e legittime dei Governatori. Sono già diverse le sentenze del Tar Sardegna, del Consiglio di Stato, del Tar Lazio e ora potrebbe arrivare anche quella del Tar Molise.

Nell’a.s. 2013/2014 con il D.M. 573/2013 sono stati assegnati 8.047 dirigenti e Dsga per dirigere e amministrare 57.216 plessi scolastici, ma la rete delle scuole autonome è stata decisa ancora una volta dalle Regioni sulla base di una legge (111/11) che è stata dichiarata in parte incostituzionale nel dimensionamento delle scuole elementari e medie (art. 19, c.4) e in parte rimane valida soltanto per l’a.s. corrente per le reggenze delle scuole superiori (art. 19, c. 5).

Per sapere a quante scuole è stata tolta l’autonomia (ma non alle RSU che sono rimaste in deroga nei luoghi di lavoro) basta confrontare i dati del D.M. 51/2011 quando furono assegnati 10.211 dirigenti e Dsga, nonostante la riduzione di 610 unità rispetto alla quota assegnata con il D.M. 285/2000. Così si è elevato il numero delle scuole da gestire da parte dei dirigenti, con evidenti ricadute sulla gestione del personale e dell’utenza. E l’area che ha pagato più di tutti nel Paese, è stata ancora una volta quella del Sud e delle due Isole maggiori, Sicilia e Sardegna, dove si sono tagliate due scuole autonome su tre nonostante gli alti e allarmanti numeri sulla dispersione scolastica.

Secondo il Servizio Statistico del Miur, che nel 2013 ha attuato un focus sulla dispersione, “dal punto di vista geografico (Graf.6), il “rischio di abbandono” è prevalentemente diffuso nelle aree del Mezzogiorno, in cui sono maggiormente diffuse situazioni di disagio economico e sociale. La distribuzione regionale individua, per la scuola secondaria di I grado, nella Sicilia (con lo 0,47% degli iscritti), nella Sardegna (con lo 0,41%) e nella Campania (con lo 0,36%) le regioni dove il fenomeno dell’abbandono scolastico è più evidente, seguite dalla Puglia (0,29%) e dalla Calabria (0,19%). Analogamente nella scuola secondaria di II grado elevate percentuali di alunni “a rischio di abbandono” sono presenti nelle regioni meridionali, prime fra tutte la Sardegna (con il 2,64% degli iscritti a inizio anno), seguita dalla Sicilia (con l’1,6%) e dalla Campania (con l’1,36%).”

Per l’Anief, a questo punto è doveroso ricorrere qualora si ritengano violati i criteri per l’assegnazione dell’autonomia disposti dal D.P.R. 233/98 (scuole da 500 a 900 alunni, con deroghe a 400 su territorio per un terzo montano, 300 per territorio montano e piccole isole). Per info, scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. È possibile aderire al ricorso, anche se a seguito della mobilità si viene dichiarati sovrannumerari su scuola che non dovrebbe essere dimensionata. In questo caso bisogna scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Per approfondimenti:

Servizio statistico MIUR: Focus sulla dispersione scolastica (2013)

Scarica la tabella sulle scuole tagliate negli ultimi due anni