Continua l’operazione ‘risparmio’ ai danni dei dipendenti pubblici, con un incremento minimo rispetto agli aumenti stanziati giusto un anno fa. Eppure, sul rapporto stipendi-inflazione vi è la sentenza della Consulta (sulle pensioni quali retribuzioni differite), di un anno e mezzo fa che ne impone, per analogia, la perequazione automatica al di là della firma del contratto e, pure, della Corte dei Conti secondo cui le buste paga vanno adeguate al costo della vita. Occorrono, pertanto, prima di tutto 6 miliardi per compensare gli arretrati e altrettanti per gli aumenti. I dipendenti della scuola rimangono, comunque, i più penalizzati unitamente agli alunni che, proprio in questi giorni, pagano sulla propria pelle la mancanza di investimenti per l’istruzione pubblica.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): per un adeguamento vero, servono in media 1.800 euro a lavoratore pubblico da applicare, tra l’altro, per legge da un anno. Stanziare 800 milioni di euro è quasi una provocazione: non servono neppure a coprire il salario minimo per adeguare le buste paga all’inflazione, come certificato nelle scorse settimane dalla Corte dei Conti. Per questo motivo abbiamo deciso di ribellarci, ricorrendo al giudice del lavoro e delle leggi. In sei anni, la spesa per gli stipendi nel comparto scuola è sprofondata del 16%, si è cancellato un istituto su tre e, inoltre, quasi 200mila posti di lavoro: un docente neo-assunto, senza servizi pregressi, percepisce per 10 anni 1.280 euro al mese. Proprio oggi, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è rivolto agli insegnanti specializzati per la preziosa opera di insegnamento agli allievi stranieri e disabili. Sarebbe bene che fossero messi nelle condizioni per farlo, altrimenti si rimane fermi agli auspici e le famiglie dei ragazzi più svantaggiati e meno fortunati si sentiranno sempre più sole.