Pensare di salvaguardare i bisogni formativi dell’allievo, confermando lo stesso insegnante di sostegno per un alto numero di anni è un’illusione. Tale docente è, infatti, inserito all’interno dell’organico scolastico: all’inizio di ogni nuovo anno, sempre che abbia mantenuto la stessa sede di servizio, nulla vieta che possa cambiare allievo. Inoltre, la programmazione educativa individualizzata non è frutto del singolo docente, ma sempre e solo del Consiglio di Classe: è in quella sede che si determina la linea formativa dell’alunno. E quell’organismo ogni anno cambia volto e strategie.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): la continuità didattica è un falso mito, perché nell’ipotesi di contratto sulla mobilità è abolito il vincolo triennale di permanenza e almeno un insegnante per Consiglio di Classe avrà la possibilità di spostarsi per avvicinarsi, giustamente, vicino casa. Mentre i docenti di sostegno, ai sensi dell’art. 12 della legge delega, dovranno permanere nel loro ruolo per dieci anni; inoltre, nello stesso organo collegiale, uno o due docenti sono quasi sempre precari, costretti ogni anno a cambiare sede. Vi sono, poi, i trasferimenti volontari e d’ufficio e i pensionamenti. In questo quadro, con la programmazione periodicamente rivista e corretta, come si può pensare di garantire la continuità formativa pensando di costringere il docente di sostegno a rimanere sull’alunno? Ma ammesso che sia così, perché il Miur continua, pure dopo la riforma, ad assegnare una cattedra di insegnante specializzato su tre ai precari?
Sulla riforma del sostegno agli alunni disabili si continua a dire tutto e il contrario di tutto. Sinora, però, nessuno si è soffermato su un dato inequivocabile: l’alunno e il docente di sostegno operano, rispettivamente, all’interno di un gruppo-classe e di un Consiglio di Classe. Pertanto, qualsiasi modifica normativa deve tenere conto di questi aspetti che, purtroppo, non sono stati considerati nel decreto legislativo della Legge 107/15 sulle norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità. L’estensore dell’Atto 378, in questi giorni oggetto di audizioni delle parti interessate presso le commissioni parlamentari e da approvare in via definitiva entro un mese e mezzo, ha infatti confuso la necessità della continuità didattica con quella di raddoppiare da 5 a 10 anni il periodo di permanenza minima dei docenti specializzati sul sostegno, prima che possano chiedere l’eventuale passaggio su disciplina.
Tuttavia, pensare di garantire lo stesso docente all’alunno per periodo prolungato si potrebbe rivelare un errore strategico: ogni insegnante di sostegno è, infatti, inserito all’interno dell’organico dell’istituto scolastico e, successivamente, nel Consiglio di Classe. Quindi, all’inizio del nuovo anno scolastico, sempre che abbia mantenuto la stessa sede di servizio, nulla vieta che possa cambiare allievo; ammesso pure che il docente mantenga l’affiancamento al medesimo alunno, c’è da ricordare che la programmazione educativa individualizzata, che ne definisce le modalità formative, dipende dalle indicazioni super partes provenienti dell’équipe medica e psico-pedagogica: il Pei non è frutto del singolo docente, ma sempre e solo del Consiglio di Classe che periodicamente cambia volto e strategie.
“Questo significa – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – che, paradossalmente, costringere il docente di sostegno a seguire lo stesso alunno con programma differenziato, non comporta alcuna garanzia di continuità per la formazione dell’alunno: nell’ipotesi di contratto sulla mobilità, sottoscritta a fine gennaio, è infatti abolito il vincolo triennale di permanenza, mentre i docenti di sostegno, ai sensi dell’art. 12 della legge delega, dovranno permanere nel loro ruolo per dieci anni. Ciò, in nome di una continuità didattica che si rivela ancora una volta un falso mito: l’insegnante di sostegno è, infatti, titolare della scuola e non dell’alunno e anche tutto il Consiglio di Classe potrebbe avere nuovi insegnanti grazie ai trasferimenti”.
“Senza dimenticare – continua il sindacalista Anief-Cisal - che all’interno di un Consiglio di Classe composto, supponiamo, da dieci docenti, uno o due sono quasi sempre precari e quindi al 99 per cento ogni anno sono costretti a cambiare sede di servizio. Inoltre, facendo cadere il vincolo triennale previsto dalla Legge 107/2015, almeno un altro insegnante di quell’organismo collegiale avrà la possibilità di spostarsi per avvicinarsi, giustamente, vicino casa. Poi, ci sono i trasferimenti volontari e d’ufficio, oltre che i pensionamenti. In questo quadro, con la programmazione destinata ogni volta a settembre a mutare, con oltre la metà dei componenti cambiati, è chiaro che non si possa pensare di garantire la continuità didattica solo costringendo il docente di sostegno a rimanere sull’alunno”.
“Ammesso, però, che sia così e che sia fondamentale mantenere l’insegnante specializzato sull’alunno, il Miur dovrebbe spiegarci il motivo per cui, pure dopo la riforma sul sostegno e la bozza di delega annessa, una cattedra di insegnanti di sostegno su tre continua a essere affidata ai precari: perché, su 140mila posti, circa 45mila continuano ad andare in deroga fino al 30 giugno, a causa di una legge, la 128/2013, che non si riesce a superare. In questo panorama, l’unica cosa certa è che anche il prossimo anno assisteremo ad organici e assegnazioni centrifugate illudendoci che tutto si risolverà legando il prof di sostegno al banco dell’alunno disabile. Solo che il tempo delle teorizzazioni è finito: è giunta l’ora di passare ai fatti. E noi, attraverso un preciso piano di modifica alla legge delega sul sostegno, abbiamo indicato la direzione da intraprendere”, conclude Pacifico.
Per approfondimenti:
Scuola, insediato Osservatorio per integrazione dei disabili. Faraone: "Luogo importante di raccolta proposte e confronto" (Miur del 22 dicembre 2015)
Milano, Brescia, Bergamo e Treviso. Scuole del Nord a caccia di supplenti (Corriere della Sera del 3 febbraio 2016)
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