Legge di Stabilità: le 24 ore bocciate anche dalla Commissione Cultura della Camera sono un buon segnale. Come l’emendamento bipartisan che vorrebbe stralciare l’iniqua misura. Ma la ‘guardia’ rimane alta. Anche perché nel nostro Paese i docenti lavorano già più ore rispetto alla media Ocde.
La notizia ufficiale del parere negativo espresso dalla Commissione Cultura della Camera su una serie di misure contenute nel Ddl Stabilità non può che essere accolta con soddisfazione. Soprattutto perché tra le indicazioni bocciate figura il discusso comma 42 dell'articolo 3 del disegno di legge: un vero e proprio blitz normativo, attraverso cui il Governo vorrebbe ampliare da 18 a 24 le ore di insegnamento settimanale di ogni docente delle scuole medie e superiori. Risparmiando in tal modo oltre 700 milioni di euro, ma dimenticando gli effetti nefasti che ne deriverebbero per gli studenti e i loro docenti.
“Quanto sta avvenendo – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief – dimostra che il Parlamento anche stavolta ha dato ascolto ai ripetuti appelli del nostro sindacato. Certo, è solo un segnale. La ‘guardia’ infatti rimane alta. Perché la partita vera sul mantenimento, la modifica o la cancellazione dell’iniqua misura delle 24 ore settimanali si giocherà nelle prossime settimane in aula. Quando bisognerà trovare misure alternative che garantiscano i cosiddetti ‘saldi invariati’. Le premesse però sono buone, a partire dall’emendamento bipartisan (Pd, Pdl e Udc) che alla Camera - conclude Pacifico - ha buone possibilità di essere approvato”.
Anief, quindi, vigilerà e farà tutto quello che è nelle sue possibilità perché i docenti della scuola media e superiore continuino ad insegnare 18 ore a settimana. Soprattutto perché alle lezioni in aula bisogna sempre aggiungere la miriade di impegni che devono affrontare giornalmente. A tal proposito vale la pena ricordare che nell’ultima indagine Ocse “Education at a Glance” è stato rilevato che tra il 2000 e il 2010, fatto 100 lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 Paesi economicamente più progrediti, la busta paga dei docenti italiani è cresciuta ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l’incremento è stato del 15-22%. Con il risultato che nel 2010 il reddito medio degli insegnanti italiani si collocava attorno ai 32.000 euro lordi, mentre in Inghilterra superava i 49.000 euro.
E che dire della differenza tra stipendio iniziale e di fine rapporto, a testimonianza di una carriera dei docenti che in Italia non c’è? In effetti nel momento dell’accesso alla professione, i nostri docenti si ritrovano in busta paga una somma quasi in linea con i colleghi europei (28.000 euro); ma nel corso dell’ultimo anno di servizio, quello precedente alla pensione, si forma un gap che si può quantificare tra i 7mila e gli 8mila euro. Ciò malgrado in questi ultimi dieci anni i nostri docenti si siano visti aumentare le ore di insegnamento e lavorino in media 39 settimane rispetto alle 38 Ocde. Capito Ministro Profumo?