Marcello Pacifico (Anief-Confedir): sono problemi seri, di cui il Governo vuole farsi carico solo in minima parte. Perché l’investimento nazionale rispetto al Pil dei prossimi anni è destinato a ridursi.
“Gli studenti hanno tutte le ragioni di protestare: fanno meno ore di scuola rispetto agli allievi dell’area Ocse, spesso sono ammassati in classi pollaio, svolgono stage formativi di basso livello, le borse di studio si sono sempre più assottigliate e studiano in scuole quasi sempre fatiscenti, con laboratori inadeguati e senza risorse minime per la loro manutenzione. Si tratta di problemi seri, di cui il Governo vuole farsi carico solo in minima parte. Per questo le contestazioni studentesche di piazza sono destinate a continuare”. Così Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, commenta, a freddo, le proteste studentesche contro la #Buonascuola, la riforma proposta dal governo Renzi, e per dire no al Jobs Act.
Il tempo scuola degli allievi italiani, in particolare, si è ridotto al punto di farci ritrovare in fondo alla classifica Ocse: con la Legge 133/08, infatti, un sesto dell’orario scolastico è stato soppresso. Con il risultato che oggi l’Italia detiene il primato negativo di 4.455 ore studio complessive nell’istruzione primaria, rispetto alla media di 4.717 dell’area Ocse. E di 2.970 ore, contro le 3.034 dei Paesi dell’area a livello di scuola superiore di primo grado.
Le ragioni degli studenti sono confermate dallaproiezione realizzata in questi giorni dal Ministero dell’Economia e delle Finanzesulla spesa in rapporto al PIL che lo Stato Italiano sosterrà per l’Istruzione pubblica: fino al 2035 il finanziamento pubblico a favore dell’istruzione delle nuove generazioni si ridurrà progressivamente di quasi un punto percentuale (dal 4% al 3,2%). Per poi risalire e attestarsi attorno al 3,4% fino al 2060. Le ragioni degli scarsi investimenti sono legati alla necessità di proseguire la linea dei tagli agli organici, avviata nel 2008 dall’ultimo Governo Berlusconi, che ha portato alla sparizione di 200mila posti tra docenti e Ata. Tra quattro anni, invece, la riduzione di risorse a favore dell’istruzione sarebbe giustificata dal calo demografico.
“Il paradosso è che queste manovre al ribasso – dice ancora Pacifico – si sono sommate ad altre di non minore gravità. Come il dato sull’Italia unico Paese dell’area Ocse che dal 1995 ad oggi non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria, a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri Paesi: rimaniamo dunque molto al di sotto della media UE. Peggio di noi fa solo la Romania. E anche nell’Università il tema dominante rimane quello: basta dire nell’ultimo anno sono aumentate dal 25% al 100% le tasse richieste dalle Università agli studenti accademici fuori corso”.
Quel che bisognerebbe fare è scritto nel primo rapporto internazionale sull'Efficienza della spesa per l'educazione, condotto da Peter Dolton, esperto mondiale di economia dell'educazione della London School of Economics: tra i motivi della inefficienza della scuola italiana, si legge nel rapporto, ci sarebbe l’elevato numero di alunni per classe e il pessimo trattamento economico dei docenti. Il risultato di questa politica miope è la collocazione della nostra scuola al 23esimo posto della classifica di 30 paesi Ocse.
Dal rapporto però emerge che si potrebbero ottenere dei risultati Pisa ai livelli ragguardevoli della Finlandia,se solo si riducesse il rapporto insegnante-allievoda 10,8 a 8,2 (-24,4%). Ma anchese si aumentasse la busta paga dei docentidalla media attuale di 31.460 a 34.760 dollari annuali. E l’esiguità delle buste paga, è inutile nasconderlo, incide pure sulle motivazioni degli insegnanti. Come è assurdo che ancora oggi i nostri allievi debbano avere un docente su sei precario.
“Ma la vera riforma – sostiene ancora il presidente Anief – è quella che passa per il ripristino del modello orario settimanale adottato prima della riforma Tremonti-Gelmini: per tornare a quel modello servono risorse ‘fresche’, almeno3 miliardi di euro, da inserire nella stessa Legge di Stabilità. Sul fronte dell’alternanza scuola-lavoro, fortunatamente, i fondi sono stati già stati stanziati. Si spendano però con intelligenza: una parte, ad esempio, si potrebbe utilizzare per retribuire le attività di stage. È una scelta che responsabilizzerebbe e stimolerebbe gli stessi studenti, i quali si sentirebbero finalmente calati nel ruolo di studenti in formazione aziendale”.
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