Il sindacato: è troppo alto il prezzo da pagare in cambio dell’immissione in ruolo. Rimarranno con la busta paga congelata a 1.200 euro netti per almeno sei anni consecutivi. E a molti verrà assegnata una sede distante. Si dia loro la possibilità di avvicinarsi non più dopo tre anni, ma al termine del periodo di ‘straordinariato’.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): lo Stato ha il dovere di adottare tutte le misure necessarie al rispetto della vita parentale e alle relazioni tra gli individui appartenenti a una famiglia. Se non cambia la norma sulla mobilità interprovinciale, il sindacato contesterà innanzi alla Consulta questa ingerenza tutta italiana che viola l'articolo 8 della Cedu. E se necessario ricorrerà al giudizio della Corte di Strasburgo.
Nessuno lo dice, ma saranno chiamati a pagare un prezzo salatissimo i 150mila precari della scuola che verranno assunti entro la prossima estate, a seguito dell’approvazione in Parlamento del “piano straordinario di assunzioni di docenti” della scuola contenuto nell’articolo 3 dalla Legge di Stabilità 2015: poiché la immissione in ruolo avverrà in regime di invarianza finanziaria, almeno fino al 2021 non potranno accedere ad alcun aumento stipendiale legato al merito. Ciò significa che per almeno 6 anni consecutivi un docente percepirà una busta paga che non andrà oltre i 1.200 euro netti.
Il rinnovato Contratto collettivo nazionale di categoria, sottoscritto il 4 agosto 2011 da altri sindacati accondiscendenti la linea del Governo, ha infatti permesso l’attuazione delle assunzioni in cambio della cancellazione per diversi anni degli oneri di cui lo Stato dovrebbe farsi carico: l’accordo ha legalizzato, di fatto, un vero e proprio scippo del primo gradone stipendiale dei neo-assunti. Con il sistema in vigore degli scatti stipendiali, questo accordo farebbe rimanere incredibilmente congelato lo stipendio dei neo-assunti per ben nove anni.
Nel testo “La Buona Scuola” presentato dal Governo Renzi, fino al 15 novembre sottoposto alla valutazione generale, si prevede che il primo accesso possibile al loro incremento stipendiale avverrebbe dopo sei anni: ma per accedere all’incremento mensile di 60 euro dovranno concorrere con il personale di ruolo. E trattandosi di incentivi da assegnare in base al merito, legato per forza di cose anche all’esperienza professionale, è probabile che nella maggior parte dei casi la scelta del 66% dei docenti “meritevoli” cada proprio su quelli con maggiore anzianità di servizio. Rimandando, in tal caso, di almeno ulteriori tre anni la possibilità di vedersi incrementare la busta paga degli ultimi assunti.
“Riteniamo questo modo di procedere – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – particolarmente dannoso per coloro che verranno assunti nei ruoli della scuola nei prossimi mesi. Già oggi, infatti, il potere di acquisto dello stipendio dei dipendenti della scuola è di 4-5 punti percentuali sotto il costo della vita. Non osiamo immaginare quanto potrà scendere ancora nei prossimi anni, visto che il contratto rimarrà con ogni probabilità bloccato fino al 2018”.
“Per questi motivi – continua il presidente del giovane sindacato – riteniamo che tutti i neo-assunti abbiano almeno la possibilità di accedere alla mobilità già al termine dell’anno di prova. Anziché permettere loro di presentare domanda di utilizzazione o assegnazione provvisoria solo al termine del terzo anno, l’Anief reputa fondamentale che questa facoltà possa essere concessa al termine dell’anno scolastico durante il quale sono stati immessi in ruolo. Questo comporterebbe un segnale importante, soprattutto nei confronti di chi è collocato in scuole a centinaia di chilometri da casa, con non indifferenti spese di alloggio e trasporti”.
Attualmente, le norme vigenti sulla mobilità dei neo-assunti prevedono che il personale docente ed educativo non può invece presentare domanda di trasferimento dalla decorrenza giuridica dell’assunzione per due anni verso “altri comuni della provincia di titolarità” e per tre anni “per altra provincia”. Tale vincolo riguarda i trasferimenti interprovinciali, poiché nell’anno di immissione in ruolo si può presentare la domanda per ottenere la sede di titolarità in uno dei comuni della provincia (se non si presenta si viene trasferiti d’ufficio); nel corso secondo anno si può fare domanda di trasferimento sempre nell’ambito della provincia di titolarità, anche per altri comuni; al terzo anno si possono chiedere anche sedi di provincia diversa, visto che le operazioni avvengono per l’anno successivo, che è il quarto anno di ruolo. Tutto questo è regolato dalla legge 128/2013, che ha ricondotto il vincolo alla mobilità interprovinciale per i neo assunti a 3 anni, dopo che la Lega Nord aveva addirittura allargato il blocco dei trasferimenti a cinque anni attraverso la superata Legge 106/2011.
“Il provvedimento è stato calmierato, ma non basta, perché – spiega ancora Pacifico –, con la ‘Buona Scuola’ il Governo ha intenzione di procedere alle assunzioni anche in province e regioni diverse da quelle in cui si è collocati nelle GaE: si tratta di una possibilità che scatterebbe in tutti quei casi, non rari, in cui i posti vacanti sono presenti solo in determinati posti. Il docente verrebbe messo così ‘alle strette’: ma di fronte alla possibilità di essere immessi in ruolo, la maggior parte accetterà il compromesso. Ora, però, gli sia dia almeno la possibilità di avvicinarsi a casa dopo l’anno di ‘straordinariato’. Si tratta di un provvedimento importante, a tutela della qualità della vita del lavoratore e dalla sua famiglia”.
Anche perché quella di bloccare la sede di lavoro per così tanto tempo è un'ingerenza tutta italiana, in palese contrasto con l'articolo 8 della Convenzione e la giurisprudenza europea in tema di diritto familiare. Anief annuncia sin d’ora l’intenzione di tutelare i legami familiari delle diverse migliaia di docenti che nei mesi prossimi verranno assunti fuori residenza, rivolgendosi al giudice del lavoro.
“Se non dovesse essere sufficiente – spiega ancora il presidente Pacifico - chiederemo il rinvio della norma alla Consulta, per la violazione dell'articolo 8 della Cedu. E se necessario ricorreremo al giudizio della Corte di Strasburgo. Perché, come ribadito più volte negli ultimi anni dalla giurisprudenza internazionale - conclude il presidente dell'Anief -, lo Stato ha il dovere di adottare tutte le misure necessarie al rispetto della vita parentale e alla relazioni tra gli individui appartenenti a una famiglia”.
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