Gli attuali 4 settori, che meno di cinque anni fa erano 12, verrebbero appiattiti in un unico “calderone”. L’ipotesi sta prendendo piede in Parlamento, dove oggi il ddl 1577 si discute in Commissione Affari costituzionali del Senato, ma sembra caldeggiata anche dal Governo, oltre che da uno dei sindacati più rappresentativi del pubblico impiego. Nelle intenzioni del legislatore, l’operazione servirebbe ad agevolare la mobilità dei dipendenti pubblici e a semplificare le specificità contrattuali.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): non sempre semplificare significa migliorare. Collocare tre milioni di dipendenti in un unico ambito farebbe ben presto venire meno le specificità di ogni categoria: non è possibile pensare di unificare le regole e le prerogative dei dipendenti della scuola con quelle specifiche di chi opera nei comparti impiegatizi o in quelli dei medici, che non a caso sono definite a monte da contratti ben diversi. A pagarne le conseguenze sarebbero anche i cittadini, sui cui si riverserebbero i sicuri disservizi.
Presto la Pubblica Amministrazione potrebbe essere rappresentata da un unico comparto: tra le ipotesi contenute nel nuovo disegno di legge n. 1577, composto da sedici articoli, di cui dieci deleghe, da oggi in Commissione Affari costituzionali del Senato e che il Governo spera di approvare entro la fine di febbraio, sta prendendo largo la volontà, caldeggiata anche da uno dei sindacati più rappresentativi del pubblico impiego, di rimettere ulteriore mano alla riduzione voluta nell’aprile del 2010 dall’ex ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, attraverso cui i comparti statali erano stati già ridotti da 12 a 4: autonomie locali e camere di commercio, regioni e sanità, scuola, tutto il resto della pubblica amministrazione.
Di fronte a questa prospettiva, Anief-Confedir si dichiara anticipatamente contraria: nel comparto unico del pubblico impiego confluirebbero, infatti, insegnanti, medici, dipendenti degli enti locali e tutti gli altri lavoratori statali, facendo venire meno le peculiarità professionali, con i derivanti diritti, dalle varie categorie impropriamente fuse.
“Collocare tre milioni di dipendenti in un unico calderone farebbe ben presto venire meno le specificità di ogni distinta categoria: non è possibile pensare di unificare le regole e le prerogative dei dipendenti della scuola con quelle specifiche di chi opera nei comparti impiegatizi o in quelli dei medici, che non a caso sono definite a monte da contratti ben diversi”, spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir.
Nelle intenzioni del legislatore, l’operazione del comparto unico servirebbe ad agevolare la mobilità dei dipendenti pubblici e a semplificare le specificità contrattuali. “Ma non sempre semplificare significa migliorare”, incalza Pacifico. “Come sindacato reputiamo invece decisamente più proficuo realizzare un contratto collettivo nazionale quadro che discipline le regole di vari settori pubblici coinvolti”.
“In caso contrario – conclude il sindacalista – si andrebbe verso il caos lavorativo, derivante da una indeterminatezza delle funzioni, come dei diritto e dei doveri, in cui verrebbero sicuramente collocati i nostri dipendenti pubblici e tutti i cittadini, sui cui peraltro si riverserebbero i disservizi”.
Per approfondimenti:
Il disegno di legge di riforma della PA in discussione in questi giorni al Senato