Ad ogni comune verrebbero affidati in media 5 istituti superiori. Ma i vincoli di gestione sarebbero troppi e i costi destinati a crescere in modo esponenziale. Pacifico (Anief-Confedir): oltre alla fondatezza dei risparmi supposti, occorrono garanzie per mantenere in essere l’assistenza specialistica per gli alunni disabili. Quanto è accaduto negli ultimi anni nella scuola primaria dovrebbe far riflettere.
Il progetto di abolizione delle province italiane continua a far discutere. Con l’alternarsi di studi favorevoli e contrari. Stavolta è il Censis ad esprimere tutti i suoi dubbi, attraverso una ricerca che coinvolge da vicino la scuola: al termine dello studio empirico 'Rileggere i territori per dare identità e governo all'area vasta', l'Istituto di ricerca nazionale ha dedotto che trasferire le competenze ai comuni si tradurrebbe in una sicura moltiplicazione dei soggetti di gestione. Con inevitabili conseguenze sui costi, che con il passaggio di consegne sarebbero destinati ad aumentare. E anche in modo considerevole.
Da 7.036 scuole superiori (65 per provincia), sostiene il Censis, si passerebbe a 1.484 comuni che interverebbero nella gestione di 4,7 scuole in media ciascuno. Ma per procedere alle opere di gestione e manutenzione "ogni comune sede di edifici scolastici superiori dovrebbe realizzare accordi gestionali con tutti i comuni (in media circa dieci) per l'accesso dei propri studenti alla scuola superiore".
Le perplessità espresse dal Censis confermano quelle manifestate solo pochi giorni addietro dall’UPI, sempre sul fronte dell’edilizia scolastica, e riportate dall’Anief. Proprio l’UPI nella sua denuncia aveva infatti rilevato: “da 107 province si dovrebbe passare a 700 unioni di Comuni per coprire tutto il territorio nazionale e a 10 città metropolitane con diseconomie e inefficienze”.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo della Confedir, si tratta di numeri importanti. E non di opinioni. “Quindi, il Parlamento italiano – dichiara il sindacalista - farebbe bene a verificare i vantaggi derivanti da un’eventuale riforma delle istituzioni locali e dei conseguenti passaggi di responsabilità e oneri finanziari”.
“Per quanto riguarda la scuola – continua Pacifico –, l’eventuale trasferimento delle competenze degli edifici scolastici dalle province agli enti locali rimanenti potrebbe compromettere la continuità del servizio di assistenza specialistica. Più di qualcuno paventa, a tal proposito, la possibile interruzione del servizio a supporto degli alunni più bisognosi: non bisogna dimenticare che negli ultimi anni le difficoltà di bilancio riscontrate dai Comuni hanno determinato pesanti tagli e disservizi all’assistenza specialistica degli alunni con disabilità iscritti al primo ciclo d’istruzione”.