Pacifico (Anief): perché allora il Ministro non sperimenta l’obbligo di frequentare l’università?
Sulla riduzione di un anno della scuola superiore, in particolare sulla sperimentazione introdotta in alcuni licei, il Ministro dell’Istruzione non demorde. Tanto è vero che nelle ultime ore ha parlato di “tabù” creati in Italia appositamente “per non cambiare niente”. E che quindi il percorso avviato non si ferma: “sperimentiamo, poi decideremo”, ha concluso Carrozza.
L’Anief, che si è detto sempre contro questa sperimentazione, ribadisce che dietro a tale volontà unilaterale del Miur non vi è alcun presupposto pedagogico. Ma si nasconde solo il preciso scopo di creare dei precedenti, sui quali nella prossima estate non potranno che essere tessute le lodi. E poi puntare dritto alla soppressione di tutte le classi quinte della scuola superiore italiana, con la conseguente soppressione di 40mila cattedre e il risparmio di 1.380 milioni di euro.
“Se il Ministro vuole proprio sperimentare un nuovo modello formativo – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – perché allora non decide di introdurre l’obbligo scolastico fino al quinto superiore. E poi anche per tutta l’Università? A tal proposito, va ricordato a Carrozza che l’Italia detiene il più basso numero di laureati e un altissima percentuale di abbandoni dei corsi accademici. Mentre tutte le più recenti ricerche internazionali hanno dimostrato che per aumentare il numero di giovani ‘appetibili’ dal mondo del lavoro occorre necessariamente elevare il loro livello di istruzione”.
“È giunto il momento di farla finita – continua Pacifico – con le politiche formative al ribasso. Anticipare l’uscita dalla scuola di un anno, per la maggior parte dei diplomati, quindi per milioni di giovani, equivarrebbe a uscire dal mondo dell’istruzione con ancora meno competenze. Mantenere più tempo i nostri giovani nel percorso formativo permetterebbe loro, invece, di continuare ad arricchirsi culturalmente. Ma anche potenziare tutte quelle attività di stage e di alternanza scuola-lavoro che in altri paesi, come la Germania, hanno permesso di contenere il problema della disoccupazione”.