° Franca Falcucci: un ministro dell’Istruzione con esperienza di insegnamento
E’ morta lo scorso 4 settembre. L’Ufficio Stampa MIUR riporta il cordoglio del ministro Giannini
La stampa ne rievoca l’attività di ministro prevalentemente con riferimento alla legge 118/71 (art. 24) e agli artt. 2 e 7 della legge 517/77; in effetti, alla Falcucci si devono norme di assoluto valore in ordine all’abolizione delle classi differenziali, all’accesso degli allievi in situazione di handicap nelle scuole di ogni grado, agli strumenti necessari per adempiere all'integrazione (insegnanti di sostegno specializzati, numero di alunni per classe, interventi dello Stato e degli Enti locali). Desideriamo aggiungere che negli anni Ottanta la Falcucci ha contribuito alla rinascita, in Italia, della istruzione di base e ad aggirare l’impasse sulla riforma scolastica (decine di disegni di legge finiti nel silenzio, e con contraccolpi politici, fino alla caduta di governi, come accadde a Moro), con il gran buon senso che aveva la prima donna ministro dell’Istruzione: semplicemente accantonò le mega riforme e autorizzò, dal Dicastero di Viale Lungotevere, decine e decine tra maxi e mini sperimentazioni (ex artt.2 e 3 del decreto Misasi sulla Sperimentazione ordinamentale e didattica). La donna giusta al ministero giusto rispose alla fiducia di Fanfani (nella DC l’aveva nominata anche vicesegretario nazionale) come ministro nei governi V e VI, e a quella di Craxi (governo I e II).
° Commento alla Premessa del documento “All'Italia serve una buona scuola”.
Prendiamo in esame le dichiarazioni di principio con le quali la Premessa inizia. Le successive parti della Premessa sono dedicate, ciascuna a uno dei capitoli del documento; nelle prossime schede produrremo, in questa rubrica, pareri sugli argomenti di ciascun capitolo.
1- Dichiarata la finalità del documento (“… ridefinire il modo in cui pensiamo, formiamo e gestiamo la missione educativa della scuola”), la Premessa accenna a ciò che la scuola deve fare per lo sviluppo intellettuale e sociale degli alunni, e per la collettività nazionale (che necessita delle competenze espresse dai mutamenti economici e sociali”). Una buona Scuola è fonte permanente di innovazione e sviluppo, ed è presidio di Democrazia; la spesa per l’istruzione e la formazione è un investimento di tutto il Paese su se stesso, la leva più efficace per tornare a crescere. Su queste affermazioni di principio, pochi dissentore; non l’ANIEF che le ha spesso enunciato, e di recente ancora il 28 agosto con queste parole: “Gli Stati in grado di istituire efficienti sistemi scolastici e universitari ne hanno, a parte il ritorno produttivo dell’investimento in capitale umano, uno in termini di vitalità della democrazia, poggiando questa nella coscienza socio-culturale dei cittadini; non a caso, fu la Convenzione nazionale a sancire per la prima volta il diritto dei cittadini all’istruzione (nella Costituzione francese dell’Anno primo)”. Il concetto di investimento sociale in capitale umano è noto dalla fine degli anni ’50: gli economisti della Scuola di Chicago inclusero, tra i fattori produttivi che devono essere considerati nella valutazione della ricchezza di un Paese. In particolare, per evidenziare il legame tra benessere economico ed istruzione, il professore dell'Università di Chicago Gary Becker (premio Nobel per l’Economia nel 1992) ha formulato la “teoria del capitale umano”. Secondo questa teoria, ogni persona acquisisce, durante il suo ciclo di istruzione, lo stock di competenze, conoscenze e attributi di personalità con cui generare performance per produrre beni e servizi a profitto della comunità. Da ciò, la convenienza che i Paesi ad avanzato livello di industrializzazione hanno nel massimizzare la formazione e l’istruzione dei cittadini e nel dare alle giovani generazioni un elevato livello di istruzione e di formazione. Alla fine degli anni Novanta, alcune incisive direttive U.E. si sono uniformate a questa concezione, com’è il caso delle indicazioni che il Consiglio Europeo ha emanato nelle conferenze di Lussemburgo e Vienna e nel Consiglio europeo straordinario di Lisbona (2000).
Accogliamo, invece, con perplessità il richiamo che il documento fa alla democrazia, perché non ci sembra che la “visione” renziana del sistema scuola possa mettere rimedio a quelle disuguaglianze, nello sviluppo delle competenze cognitive tra classi sociali e ambiti territoriali, che si sono via via prodotte per l’insipienza dei più recenti decisori politici, e che “costituiscono una denuncia drammatica del fallimento dello Stato nel far fronte alla responsabilità proprio nei confronti dei suoi cittadini più svantaggiati”; lo ha scritto, di recente, su la Repubblica, Chiara Saraceno. Analogamente, Mila Spicola ha scritto: “Oggi la scuola è inserita, come noi, come i nostri allievi, in un mondo non più locale e nemmeno nazionale, ma globale…, E in una sfida globale quale può essere l’obiettivo della scuola oggi se non quello di colmare e combattere le diseguaglianze…. La missione che deve darsi la scuola, comunità educante primaria, che forma cittadini e individui di una collettività, più di ieri, è quella di ottenere il successo formativo di tutti gli studenti, non solo la buona alfabetizzazione, ma il successo formativo, attraverso metodi “inclusivi” non “selettivi” (l’Unità – 16 luglio 2014). Se paragoniamo l’assento della governance scolastica qual è delineato da Renzi, e qual era nei decreti Misasi, dobbiamo concludere che in questi v’era maggiore democrazia. Nelle dinamiche dei sistemi scolastici, ha spiegato Illich, la democrazia non è un optional; la discrezionalità dei “capi” lasciamola alle caserme, dov’è una necessità. A questo argomento della governance, dedicheremo una successiva scheda; qui vogliamo segnalare una contraddizione interna all’impianto della proposta renziana: esalta la democrazia ma delinea un assetto non democratico della Scuola. Come spiega Luciano Muhlbauer, la scuola di Renzi non è uguale per tutti; riportiamo: “Le parole d’ordine sono differenziazione e premialità, e questo vale sia per il personale della scuola (docenti, amministrativi, dirigenti) che per gli istituti scolastici. Lo stipendio degli insegnanti, tra i più bassi d’Europa, verrà ristrutturato e reso meno certo nel suo valore… Gli istituti scolastici saranno sottoposti a valutazione e quest’ultima influirà sulla quantità di risorse pubbliche che la singola scuola potrà ottenere… Sarà la singola scuola, in autonomia, a decidere le assunzioni, attingendo a un apposito registro nazionale docenti contenente il “portfolio ragionato” di ogni singolo insegnante e amministrativo… E pazienza, se la lotteria della vita ha deciso di farti nascere in una famiglia con pochi mezzi economici e in un quartiere sfigato”. (http://milanoinmovimento.com/news-stream/dallarete -5 settembre 2014).