° Scuola nelle aree a rischio. Ipotesi di CCNI sottoscritta il 16 settembre scorso
Il Miur ha trasmesso (7 ottobre 2014) agli UUSS.RR la Nota concernente i criteri e i parametri di attribuzione per l'anno scolastico 2014/2015 delle risorse (pari a €18.458.933,00) che le scuole potranno usare per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e per contrastare la dispersione scolastica e l'emarginazione sociale, di cui all'art.9 del vigente CCNL 2006/2009. La tabella di ripartizione regionale si legge nel sito www.istruzione.it,.
° Rinnovo contrattuale? Sarà un muro contro muro
I sindacati rappresentativi sul piano nazionale affronteranno una contrattazione arrugginita, dopo questi anni di fermo, e i cui termini i decisori politici hanno spostato progressivamente portando sul piano legislativo tematiche squisitamente contrattuali. Nella tornata che il ministro Giannini annunzia imminente, il riferimento sarà il documento “La buona Scuola”, sul quale è perplesso perfino Tutto scuola: “Si preannuncia battaglia, dato che i sindacati hanno (tutti) mostrato poca simpatia per un sistema, quello della riforma, che non stanzia una lira in più e cancella gli scatti stipendiali per un sistema "meritocratico" basato sui crediti e che crea docenti immeritevoli per decreto. Anzi, un sistema che a regime permette allo Stato di risparmiare, facendo la cresta, sugli stipendi dei docenti…”. Temiamo che i limiti entro i quali i sindacati “rappresentativi” sul piano nazionale potranno contrattare saranno in ciò che è scritto o non è scritto in “La buona scuola”.
1- La questione dell’autonomia didattica del Collegio docenti, rispetto al d.s.. Molto ci allarmano, del documento, frasi inaccettabili (normativamente prive di fondamento) quali: “… Assicurando che il dirigente scolastico, a fronte di un suo docente assente per dieci giorni, ad es. potrà organizzare differentemente le lezioni con il personale che ha a disposizione, prevedere un potenziamento di ore in altre discipline, ovvero fare attività di laboratorio o altre attività extra-curricolari, nonché organizzare l’orario scolastico in modo flessibile”. E’ noto che, a normativa vigente, non è data al d.s. la facoltà di interferire sulla didattica a prescindere dalla programmazione degli obiettivi educativi e didattici deliberati dal Collegio (dove le scelte del d.s. valgono un voto). Ugualmente inaccettabile è, nel terzo capitolo del Documento renziano la frase seguente: “ dd.ss. saranno messi in condizione di determinare efficacemente le dinamiche interne alla scuola incluse le scelte educative. Potranno scegliere tra i docenti coloro che coordinano le attività di innovazione didattica, la valutazione o l’orientamento e premiarne economicamente l’impegno”. Dobbiamo capire se gli estensori del documento siano consapevoli del fatto che la locuzione “determinare… le scelte educative” è in contrasto col principio della libertà di insegnamento sancita all’art. 33 comma 1 Cost., e se hanno considerato che la proposta assimila i docenti ai dipendenti esecutivi dello Stato. Nelle dinamiche educative e culturali, la dimensione collegiale non è optional. Nelle università, la funzione docente comporta il riconoscimento di prerogative quali l’elettorato attivo e passivo della dirigenza culturale, compresi presidi e rettori; i nostri decisori politici assegnano queste prerogative all’autonomia degli atenei riconoscendole connesse alla responsabilità dei docenti, e invece nel configurare la governance delle scuole negano al personale docente quote crescenti di autonomia conferendole ai dd.ss. A parere nostro, piuttosto che dal potenziamento della funzione dirigenziale, la Scuola, in quanto comunità educante; trarrebbe vantaggio dalla organizzazione di un team dirigenziale, un modello di leadership distribuita, con ampio conferimento di deleghe al personale e abbattimento del controllo gerarchico. Solo così le distanze tra i sottosistemi organizzativi si accorcerebbero e si responsabilizzerebbe il personale: E’ l’appello all’assunzione di responsabilità che dovrebbe suggerire agli estensori del Documento la inversione a 180 gradi della loro proposta. Nella logica evolutiva della normativa sulla governance, la proposta Renzi segna una cesura, e per contrasto esalta l’efficacia del Middle management istituito con la Riforma Misasi, che conferiva al Collegio docenti, organo di democrazia diretta, l’elettorato attivo e passivo in ordine alla nomina del vicepreside e del Consiglio di presidenza, oltre che del Comitato di valutazione dei servizi.
2- La questione del riconoscimento economico della funzione docente. Occorrerebbe: - allineare la retribuzione degli insegnanti a quella degli altri pubblici dipendenti che espletano funzioni per le quali è richiesta la laurea e l’abilitazione; - ridurre il gap retributivo tra i docenti universitari e quelli delle scuole; - allineare la retribuzione dei nostri insegnanti a quella media dei colleghi Ocde. Rifiutiamo la logica economica di questa frase del Documento renziano: “Le risorse utilizzate per gli scatti di competenza saranno complessivamente le stesse disponibili per gli scatti di anzianità, distribuite in modo differente secondo un sistema che premia l’impegno e le competenze dei docenti. Ciò consente all’operazione di non determinare oneri aggiuntivi a carico dello Stato”. Secondo questa impostazione delle nozze con i fichi secchi, qualunque aumento a un insegnante comporterebbe il decremento stipendiale a un collega, e si dovrebbe necessariamente individuare chi penalizzare attribuendogi un demerito (i penalizzati dovrebbero, per decreto, essere il 33% dei totale, esista o non esista, in quella scuola, tale percentuale di docenti non meritevoli). Idea folle !
3- La questione del criterio di riconoscimento dei “Crediti”. A parere nostro, i crediti professionali e quelli formativi sono accertabili e formalmente documentabili, eil Nucleo di Valutazione potrebbe quantificarli in modo obiettivo e trasparente applicando una tabella nazionale. Nel novero dei crediti professionali andrebbero anche considerate 2 fattispecie: quella delle nomine su più sedi scolastiche distanti tra loro (occorrerebbe riconoscere un credito al personale, anche a quello dell’organico di rete, nominato in servizio su sedi distanti tra loro), e l’onere che alcuni insegnanti hanno della doppia valutazione, dello scritto e dell’orale (a questi docenti andrebbe riconosciuto un credito).Ci opponiamo fermamente, invece, alla proposta di valutare i “Crediti didattici”, in quanto non è possibile accertare obiettivamente la correlazione tra “qualità dell’insegnamento in classe” e “miglioramento del livello di apprendimento degli studenti”. Nel documento renziano è scritto che i Crediti didattici saranno attribuiti ai docenti in grado di dimostrare la loro «capacità di migliorare il livello di apprendimento degli studenti». E però la valutazione dei docenti non può riguardare risultati che non discendano dalla loro diretta responsabilità e/o che solo parzialmente dipendano dall’efficacia della loro attività professionale. Occorre tenere presente che la responsabilità della didattica non è individuale: operando in seno al Consiglio di classe, l’insegnante produce risultati in concorso con altri della comunità scolastica, e la dimensione collegiale dell’attività nelle scuole è stata rafforzata con l’Autonomia scolastica. Ci sono, quindi, da considerare variabili interne ai processi educativi e formativi: caratteristiche del corpo docenti, risorse della scuola, tassi di frequenza e di abbandono; efficienza organizzativa e qualità delle strutture della scuola, a cominciare dalla disponibilità del corredo didattico strumentale. Se i livelli di apprendimento degli studenti saranno considerarti tra i parametri per valutare la competenza didattica dei docenti, si rischierà di penalizzare ottimi professionisti che insegnano in scuole difficili, e di premiare pessimi docenti che lavorano con alunni avvantaggiati dall’ambiente familiaree dall’ambiente sociale. Proponiamo di ribaltare la logica di questa proposta del Governo: agli insegnanti che prestano servizio in scuole di frontiera vanno attribuiti crediti, a prescindere dall’esito delle performance scolastiche degli alunni. Per queste e per altre ragioni di natura docimologica (le prove sono disancorate dagli obiettivi programmati dalle scuole) escludiamo che i punteggi che gli alunni conseguono nei test Invalsi siano connessi all’efficacia professionale degli insegnanti: occorrerebbe estrapolare, nella valutazione dei livelli di apprendimento degli studenti, cofattori ambientali connessi al livello culturale e allo status economico delle loro famiglie, e cofattori individuali connessi alle caratteristiche cognitive e motivazionali, e al bagaglio culturale pregresso (l’azione didattica del singolo insegnante si stratifica, nel cursus scolastico degli allievi, sui risultati conseguiti negli anni precedenti sotto la guida di altri insegnanti). Leonardo Maiorca