°La scuola italiana partecipa a EXPO Milano 2015
La manifestazione mondiale aprirà i battenti in maggio e fino a ottobre ospiterà milioni di visitatori. Per gli studenti, è occasione per partecipare a concorsi, progetti didattici, gemellaggi organizzati dal MIUR (con l’impegno di ben 2 milioni di euro); d’altra parte, sono soprattutto i giovani gli interlocutori privilegiati del messaggio connotante questa edizione 2015: Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. Segnaliamo “TOGETHER IN EXPO 2015” : invita le scuole italiane ed estere a partecipare (previa registrazione a www.togetherinexpo2015.it) a “missioni” interattive, a gemellarsi, e a realizzare elaborati multimediali sui temi dell’alimentazione sostenibile, solidale ed equa, in vista del concorso internazionale associato al progetto: “TIE2015” (scadenza il 30 marzo 2015). Possono partecipare tutti i team che già fanno parte della COMMUNITY, ma anche le scuole che vogliano iscriversi (direttamente online) adesso. Segnaliamo che, sul sitoProgetto Scuola EXPO Milano 2015,i docenti possono acquistare i biglietti (a prezzo scontato) per gli studenti ed organizzare la propria visita a EXPO Milano 2015.
° Muta l’orientamento delle famiglie in ordine alle scelte scolastiche in prospettiva del lavoro
Un’indagine dell'Osservatorio Nazionale sulla salute dell'infanzia e dell'adolescenza documenta la tendenza crescente nelle famiglie italiane che, sotto l’urgenza della ricerca del lavoro, accetterebbero che i figli quindicenni accettassero già di lavorare anche a costo di abbandonare la scuola. Riportiamo da www.Alessandro Giuliani, 25 Gennaio 2015: “… La metà delle famiglie non si opporrebbe se uno dei propri figli con meno di 16 decidesse di lasciare la scuola per iniziare precocemente a lavorare: lo si evince da un'indagine dell'Osservatorio Nazionale Paidòss, condotta da Datanalysis che ha intervistato mille genitori. … Il dato che più fa pensare è che davanti ad un eventuale collocazione lavorativa precoce, mamma e papà non ostacolino tale scelta: quasi un genitore su due (46,6%), infatti, non si opporrebbe completamente alla decisione del proprio figlio under-16 se questi volesse lasciare la scuola per andare a lavorare: se il 25,7% cercherebbe di far capire che è un errore ma se lui fosse deciso accetterebbe, il 20,9% rispetterebbe la scelta. Mentre il 54% pensa che la crisi giustifichi in parte”. Commentando il dato, Giuseppe Mele, presidente Paidòss, parla di una preoccupante indulgenza dei genitori italiani nei confronti del lavoro minorile: un dato “sconfortante”. Per parte nostra, non sottovalutiamo il significato di questo dato e, però, lo attribuiamo non a un arretramento delle famiglie in ordine alle prospettive culturali dei figli quanto, piuttosto, al fallimento del modello dell’istruzione, in Italia: ancora non si capisce quale sia la valenza culturale del lavoro. Con ciò, non intendiamo giustificare l’abbandono precoce dalla scuola, ma intendiamo dire che se i percorsi di apprendistato fornissero – con l’opera educativa e sotto il controllo della Scuola pubblica – livelli culturali adeguati, non inferiori a quelli che gli studenti conseguono nei percorsi dell’istruzione generalisti, avremmo quadrato il cerchio. A carico degli imprenditori ? Che la garanzia possa venire dagli imprenditori è utopia ma senza garanzia resta lo scenario – questo, sì, “sconfortante” – di un Paese che, nel terzo millennio, non è ancora in grado di comporre istruzione generalista e orientamento al lavoro. Riconosciamo che in “La Buona scuola”, questo tema è ben presente: “Sono previsti quattro tipi di intervento a seconda delle esigenze dei ragazzi e del tipo di aziende e istituzioni in cui si effettuerà il percorso: (a) l’obbligo di alternanza scuola-lavoro negli ultimi tre anni degli Istituti tecnici e in un anno degli Istituti professionali; (b) la possibilità che istituti tecnici superiori (Its) e istituti e enti di formazione professionale (IeFP) costituiscano imprese commerciali per la vendita di beni e servizi, utilizzandone i ricavi a fini didattici; (c) l’inserimento degli studenti in imprese artigiane; (d) l’estensione del programma sperimentale, previsto dalla l.128/13 (conversione del d.l. Carrozza), per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni di tutti gli indirizzi della scuola secondaria di II grado, che contempla la possibilità di stipulare contratti di apprendistato in deroga ai limiti di età previsti”. Generalmente, e anche nell’ottica del Documento La buona scuola, ciò che muove queste proposte è l’intento di creare una più stretta corrispondenza tra ciò che, in termini di competenze, il mercato del lavoro chiede e ciò che la Scuola fornisce. Ed è ragionevole. Il sottosegretario Gabriele Toccafondi, facendone una questione di contrasto alla disoccupazione, ha confermato l’intenzione del Governo di attivare il percorso dell’alternanza scuola-lavoro, con 600 ore nell’ultimo triennio che gli studenti dovranno trascorrere nelle aziende: «Bisogna lavorare sulle competenze specifiche; solo così si può combattere la disoccupazione giovanile». Occorre, tuttavia, a nostro parere, considerare anche il piano ideologico della questione, perché è lì l’arroccamento che ci tiene lontani dai Paesi nei quali v’è consapevolezza che l’apprendimento delle competenze lavorative complesse tecnicamente non può prescindere dal sapere critico e, dunque, da un’alta formazione culturale. Nei lycées professionnels, i più frequentati in Francia, si effettuano studi tecnico-professionali in curricoli collegati al lavoro; in Germania, nel sistema secondariosuperiore duale, un canale professionalizzante (di competenza federale ! Il che comporta la fruibilità, su tutto il territorio nazionale, delle qualifiche lavorative) offre agli alunni che abbiano compiuto l’obbligo scolastico, studi professionalizzanti e apprendistato in alternanza scuola/azienda. In questi giorni, numerosi esperti hanno scritto che il modello tedesco non sarebbe applicabile a noi; non siamo in grado di valutare se le diversità siano davvero irrimediabili ma le intuiamo come un’altra forma di spread, questo, però, determinato non dai mercati ma dalla responsabilità dei decisori politici che accettano di perpetuare l’anacronistica distinzione classista tra lavoro manuale e intellettuale. Sarebbe necessario il riconoscimento ideologico della pari dignità (e della complementarietà) tra gli studi liceali e quelli tecnici e professionali, poiché anche questi costituiscono, per i ragazzi, un’opportunità specialissima: di educazione all’impegno volitivo autonomo, di empowerment della personalità, di responsabilizzazione in ordine agli effetti sociali del comportamento, di sinergia organizzativa e condivisione nella ideazione e nella pratica produttiva. Si tratta di modelli di valore che – sempre più desueti nell’Italia dei N.E.E.T., nativi e immigrati, privi di prospettive – vanno “presentati” con urgenza sul piano educativo prima che sul piano economico. Leonardo Maiorca