° Personale scolastico titolare di benefici lavorativi di cui alla legge 104/1992
Il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca pubblica (13/02/2015) nel sito istituzionale le tabelle con la distribuzione, per regione e provincia, dei docenti e del personale ATA che fruiscono dei permessi mensili e delle aspettative retribuite (all'80 per cento), di cui alla legge 104 del 1992, che riguarda i lavoratori colpiti da malattie gravi e quelli che accudiscono parenti affetti da gravi patologie. I dati suggeriscono interpretazioni sotto molteplici profili; noi ci limitiamo a riportare le percentuali riferite alle regioni che si collocano agli estremi rispetto ai valori medi nazionali. Personale Docente di ruolo titolare di permessi: la percentuale nazionale è del 13,37%. Sotto il 10% si collocano solamente Piemonte, Veneto, Toscana; all’estremo opposto, la Sardegna (18,2%). Personale Docente non di ruolo titolare di permessi: la percentuale nazionale è del 4,86. Intorno a 3% si collocano Friuli, Toscana, Veneto e Lombardia; all’estremo opposto, la Sicilia (8,4%). Personale ATA di ruolo titolare di permessi: la percentuale nazionale è del 16,78% (oltre 3 punti superiore al dato relativo al docenti di ruolo). Sotto il 12% si colloca solamente il Piemonte; sono all’estremo opposto, le percentuali di Umbria (26,27%), Lazio (24,78%) e Sardegna (23,35%). Personale ATA non di ruolo titolare di permessi: la percentuale nazionale è dell’11,78% (5 punti superiore al dato relativo agli ATA di ruolo). A un estremo si collocano Piemonte (6,75%), Marche, Emilia Romagna, Lombardia; all’estremo opposto, la Sardegna e la Calabria sono sopra il 20%.
° Semplice – mente. Alunni nel Comitato di valutazione del servizio dei docenti
Stima e fiducia degli alunni sono correlati al prestigio della professione docente. Per il buon esito del rapporto educativo, è essenziale, la motivazione degli alunni ad apprendere e questa è connessa all’autorevolezza e l’alta professionalità dei docenti. Parafrasando una celebre frase di C.Péguy, possiamo affermare che l’educatore o è autorevole o non è educatore. La Scuola è il luogo deputato a comporre l’asimmetria di chi impara e di chi insegna: L’alunno vi entra per apprendere; il dovere degli insegnanti è di lavorare perché l’asimmetria in ingresso si attenui, nei diversi gradi di istruzione, progressivamente. Si tratta, per essere chiari, non soltanto di colmare l’asimmetria delle conoscenze (la Scuola è depositaria solo di piccola parte di esse) ma, anche: di aiutare l’alunno a conoscere proprie caratteristiche, di favorirne l’empowerment, di farne crescere i talenti, di suscitare la resilienza necessaria ad accettare che nessuna conoscenza è mai certa e conclusiva, di guidarlo nell’esplorazione di elementi culturali non preordinati, di incoraggiarlo ad esprimere il proprio pensiero e a interessarsi a quello degli altri, di incoraggiarlo all’autonomia e alla assunzione di responsabilità nei rapporti sociali, di attrezzarlo a confrontarsi con la realtà, gradevole o no che sia.
Sono compiti che richiedono alta professionalità. Ci confortano le parole (“Voglio esprimere il mio omaggio ai docenti” sulle cui spalle grava il peso del patto educativo alunni-docenti-famiglie che si è rotto e non può essere rabberciato) rivolte daPapa Francesco, lo scorso 5 febbraio, ai responsabili di un progetto educativo; tra i gesuiti, non è rara la capacità di cogliere il centro delle questioni. E ci conforta il constatare di essere in sintonia con le preoccupazioni espresse (“Charlie Chapline il cattivo infinito”, http://www.tuttoscuola.com - 27 gennaio 2015) dal prof. Benedetto Vertecchi circa il fatto che, non riconoscendo all’insegnamento un elevato livello di autonomia e di progettualità, i decisori della politica scolastica lo imbrigliano in un modello di Scuola ispirato a sintagmi economicistici… con conseguenti svalorizzazioni e valorizzazioni estrinseche.Tutto, nella Scuola, dovrebbe essere funzionale alla mission educativa: il lavoro del dirigente scolastico e del personale ATA, quello degli uffici centrali del MIUR e degli uffici territoriali, quello di Invalsi e Indire, quello delle associazioni professionali e delle organizzazioni sindacali; tutti servono a propiziare che la funzione educativa sia esercitata nelle migliori condizioni possibili; le strutture e le risorse materiali tutte sono funzionali a questa finalità, e a chi impara e a chi insegna dovrebbero essere messe a disposizione le aule più confortevoli, le maggiori risorse e le attrezzature più efficienti. Andrebbero messe a disposizione dei protagonisti del rapporto educativo: alunni (e loro famiglie) e docenti (nella collegialità di Consiglio di classe e di Consiglio di istituto), perché sono i soli che determinano la riuscita o il fallimento di un delicato (e mirabile) cammino educativo da condurre secondo la soggettività dei protagonisti, giorno dopo giorno, attraverso scelte che, se etero dirette o se condizionate dall’esterno, non possono dare buon esito. Nel celebre Freedom to learn (1969), C. R. Rogers sostiene che il buon esito del processo educativo “…si basa su certe qualità attitudinali che si manifestano nel rapporto interpersonale tra il facilitatore e il discente". Insomma, il buon esito deriva dalla reciprocità empatica dei protagonisti: che, per l’insegnante è la genuinità nel rapportarsi al discente e nell’interessarsi alle sue opinioni, per l’alunno è l’accettazione del rapporto educativo, connessa alla stima e alla fiducia nell’insegnante, sicché, scrive Rogers, l’alunno può pensare: "Qualcuno sa quello che provo; sembra un altro me stesso e non mi giudica… posso crescere e imparare". Non mi giudica ! E’ proprio ciò dovrebbero capire i responsabili politici che, forse per scarsa esperienza che hanno di insegnamento, vagheggiano di conferire ad alunni una funzione giudicante nei confronti degli insegnanti. In sostanza, porrebbero una seconda spranga nel delicato ingranaggio del rapporto educativo; la prima è il fatto che, in sede di scrutini, l’insegnante ha il dovere di tradurre in valutazione “sommativa” l’attività (imprescindibile nell’orientare gli studenti all’apprendimento) della valutazione “formativa-longitdinale”. Si può ragionevolmente ritenere che questa pensata dei politici possa contribuire all’efficacia del servizio scolastico ? Possa contribuire a stabilire un clima psicologico di distensione e correlata riduzione dei meccanismi difensivi ? Possa suscitare negli insegnanti la volontà di rinnovarsi mutando, se il caso, i metodi d’insegnamento e gli atteggiamenti, nel senso del rapporto empatico ? La mia impressione è che, perseverando nell’ignorare l’essenza del rapporto educativo, i decisori politici rischiano, con questa idea di inserire studenti nei comitati di valutazione dei docenti, di complicarlo. (Leonardo Maiorca)