Parecchi sono i temi sui quali, per la rilevanza e complessità che hanno, Renzi farebbe bene a discutere con i sindacati; tra questi, v’è il tema, avanzato dalla Rete degli Studenti Medi, della partecipazione paritaria con le altre componenti delle comunità scolastiche.
° I decreti attuativi della legge-delega, l’occasione seria che, fin qui, il Governo non ha dato, a docenti e studenti, di un confronto sulla Buona scuola.
Parecchi sono i temi sui quali, per la complessità e rilevanza che hanno, Renzi farebbe bene a discutere con i sindacati; tra questi, v’è il tema della partecipazione paritaria degli studenti con le altre componenti delle comunità scolastiche. Un supplemento di riflessione occorre su molti temi, di intrinseca complessità, sui quali l’ANIEF intende disporsi al dialogo, se avremo modo di dare un contributo nelle sedi istituzionali. SpeedyRenzi e gli altri decisori politici avranno tutto il tempo di aprire il dialogo, nel periodo (9 mesi ?) in cui dovranno redigere i decreti delegati, a meno che non vogliano mettere i lavoratori della Scuola davanti al fatto compiuto. Un tema rilevante e complesso è quello della maggiore partecipazione degli alunni, nelle scuole di istruzione secondaria di secondo grado, alle dinamiche decisionali. La Rete degli Studenti Medi ha avanzato la richiesta di “nuovi diritti” agli studenti e delle connesse responsabilità: “Vogliamo una scuola democratica, in cui noi studenti siamo protagonisti non a parole ma nei fatti: vogliamo potere decisionale e di conseguenza responsabilità. È l'idea di un'educazione non più passiva, che però si realizza solo se le scelte non possono essere prese senza di noi. Per ottenerlo serve una riforma della democrazia scolastica: più potere agli organi rispetto al Dirigente Scolastico, la pariteticità con docenti e genitori nei Consigli d’Istituto, partecipazione nei nuovi organi su valutazione e didattica, un POF scritto anche da noi studenti, il diritto di referendum”. Questa richiesta di partecipazione paritaria in seno alle comunità scolastiche riguarda, in primo luogo, la didattica; gli studenti chiedono di sapere, all'inizio dell'anno, quali programmi affronteranno, quali conoscenze e competenze dovranno maturare, chiedono di stabilire insieme agli insegnanti una parte della modalità di svolgimento delle lezioni, e le modalità, le tempistiche e la quantità delle verifiche (potendo rifiutare i voti assegnati dagli insegnanti, per migliorarli in successive verifiche). Ritiene, il Ministro, che su temi tanto controversi sia superfluo interloquire cone le rappresentanze dei docenti che ne evidenzino le ricadute educative e quelle connesse alla libertà di insegnamento ? Consideriamo, a titolo di esempio, la richiesta degli studenti che può sembrare più banale, quella sulla tempistica delle verifiche: il suo accoglimento, quali effetti produrrebbe sulla motivazione degli studenti, e quali sulle responsabilità che gli insegnanti portano in ordine al successo didattico ? Chi ha esperienza di insegnamento sa che la frequenza delle verifiche minimizza l’incidenza dell’alea sui risultati, e ottimizza la funzione “formativa” delle verifiche stesse, quella funzione che la Rete degli Studenti Medi mostra, nel citato documento, di apprezzare (“Vogliamo una scuola che non marchi le differenze ma che sappia colmarle, quindi una valutazione che non serva a far competere e selezionare, ma a mettere tutti nelle condizioni di ottenere il successo formativo. Per questo vogliamo l’abolizione delle bocciature, inutili se non ad aumentare l’abbandono dei nostri coetanei…”. Sono, questi, temi che i decisori politici possano affrontare "d'emblée" (= con il pepe al culo), senza consultare i rappresentanti degli insegnanti ? Andiamo per ordine. Quella dei “periodi educativi” è una strategia presente nei Paesi scandinavi e in Islanda, dove il ciclo primario e secondario sono unificati nei nove anni della scuola gratuita eobbligatoria, e per anni non si procede a bocciature né a valutazioni annuali; la prima valutazione “sommativa” che abbia effetto selettivo si ha al penultimo anno. In Italia ? C’erano una volta i “periodi didattici” (sulla carta !) negli anni in cui la Riforma Moratti spazzava via il lavoro fatto con la riforma Berlinguer, e in cui l’avvento del II Governo Prodi azzerava la riforma Moratti. La Legge 30/2000 (Berlinguer) prevedeva i periodi didattici denominandoli “cicli biennali”, e la Legge 53/2003 (Moratti) prevedeva: due “periodi didattici biennali” dopo il primo anno della Scuola primaria; un periodo biennale nella secondaria di primo grado: due periodi biennali nella secondaria di secondo grado. La scansione in “periodi biennali” comportava una nuova prassi nella valutazione scolastica. Il D.lgs n.59/2004, Capo III art.8, disponeva che i docenti responsabili delle attività educative e didattiche previste dai piani di studiopersonalizzati (cioè, sia le attività obbligatorie che le opzionali) esprimessero per ciascun allievo, al termine di ogni periodo didattico, una valutazione positiva o negativa circa l’accesso al periodo successivo. Solo in casi eccezionali, comprovati da specifica motivazione, essi avrebbero potuto decidere, all’unanimità, di non ammettere l’alunno alla classe seconda del periodo biennale. Analogamente, per la Scuola secondaria, il d.lgs 17 ottobre 2005 n.226 stabiliva che il passaggio dello studente dalla I alla II classe di ogni biennio non fosse precluso dalla presenza di carenze nel profitto (“Ai fini del passaggio al periodo successivo, lo studente è promosso o respinto ogni 2 anni; si dispone la ripetenza del II anno del biennio didattico quando l’allievo mantenga 2 debiti formativi in 2 o più discipline, o nel comportamento”). Insomma, non si può non discutere questa richiesta della Rete che, ci sembra, possa andare di pari passo – perché entrambe ampliano gli spazi di autonomia degli studenti – con la proposta di personalizzare il percorso degli studi. “Adeguandolo alle attitudini e agli interessi degli allievi, così da potenziare l'elemento orientativo dell'istruzione", è scritto nella Risoluzione Atto 386 della VII Commissione (14 gennaio 2015) di Palazzo Madama, che raccomanda al Governo di: “…prevedere la possibilità, nel rispetto della tipologia e delle finalità dei singoli corsi di studio, soprattutto nelle classi terminali del secondo ciclo di istruzione, di un curriculum dello studente, formato da una parte obbligatoria per tutti e una parte opzionale, a scelta dello studente, oltre che da discipline facoltative di arricchimento”. Questa proposta, di Francesca Puglisi, parlamentare PD che ricopre ruoli di responsabilità nella politica scolastica, è in linea con la normativa risalente alla gestione Berlinguer. Nel DPR 275/1999, l’art. 8 ha stabilito tre “quote” del curricolo scolastico: - la quota “obbligatoria” per tutte le scuole di un determinato ordine e grado, definita a livello nazionale in riferimento agli obiettivi delle discipline e attività, al monte-ore annuale, alle competenze “in uscita”, e agli standard valutativi; - la quota “integrativa”, affidata alla competenza delle scuole che, con limiti, possono operare modifiche dei piani dì studio, secondo la domanda territoriale; - la quota opzionale, costituita dal “curricolo aggiuntivo” delle singole scuole. Anche la “Riforma Moratti” ha previsto curricoli di 3 tipi: quelli obbligatori per tutti, quelli facoltativi ispirati a scelte delle famiglie e studenti, e quelli basati sul contributo educativo, culturale, professionale dell’extrascuola. Accanto al “nucleo fondamentale omogeneo su tutto il territorio nazionale”, costituito dai “piani di studio personalizzati”, la Moratti ha previsto una quota autonoma del curricolo, programmata dalle singole scuole. In sostanza, la Riforma Moratti disponeva, per il primo ciclo (ai sensi del D.Lgs n.59/04) e per il secondo ciclo (ai sensi del Lgs. 17 ottobre 2005 n.226), che ogni scuola dovesse coinvolgere, nella definizione dei piani di studio, le famiglie e gli studenti perché scegliessero, secondo le proprie esigenze e aspettative, tra le materie opzionali attivate obbligatoriamente dalle singole istituzioni scolastiche. L’esercizio di questa facoltà avrebbe comportato, per gli alunni e per le loro famiglie, l’assunzione di doveri, legati alla frequenza e legati al profitto. L’ANIEF può dare un apporto anche sulla proposta Puglisi. Leggendo l’elenco delle prerogative da riconoscersi agli studenti e ai loro genitori, elencate tra le richieste della Rete degli studenti, non c’è esplicita richiesta di valutare i professori ma a ciò hanno rimediato alcuni responsabili della politica scolastica. Potranno legiferare senza confrontarsi con i rappresentanti dei docenti, o non è più ragionevole ritenere che su ciò i rappresentanti degli insegnanti abbiano maggiore consapevolezza rispetto a decisori politici che ignorano le dinamiche del rapporto educativo? La Scuola è il luogo deputato a comporre l’asimmetria (non solo, né principalmente, conoscitiva) tra chi impara e chi insegna: L’alunno vi entra per apprendere; il dovere degli insegnanti è di lavorare perché l’asimmetria in ingresso si attenui, nei diversi gradi di istruzione, progressivamente. La rappresentanza degli studenti nei comitati di valutazione dei docenti favorirebbe o complicherebbe il delicato rapporto educativo? Occorre discuterne con cognizione di causa. A margine, segnaliamo la nostra sintonia con la proposta avanzata dagli studenti sulla riforma del sistema scolastico: “Insistiamo sulla riforma dei cicli, sull’introduzione di un biennio unitario e su un triennio specializzante… Insistiamo anche sull’aumento dell’obbligo scolastico a diciotto anni”. La nostra proposta è: il pubblico servizio di istruzione e formazione resti, com’è in atto, di 13 anni ma siano interamente gratuiti dai 5 ai 18 anni, come diritto-dovere così articolato: - Primo ciclo, dai 5 anni ai 13 anni; - Biennio comune, dai 13 ai 15 anni; - Anno di “orientamento”, dai 15 ai 16 anni; - Biennio terminale istruzione/lavoro, in partership con la formazione regionale. (Leonardo MAIORCA)