Gli eurogiudici di Lussemburgo confermano quanto sostiene da anni il giovane sindacato: “quando cessa il rapporto di lavoro e dunque la fruizione effettiva delle ferie annuali retribuite non è più possibile”, scatta l’applicazione della direttiva comunitaria 2003/88, secondo cui il lavoratore ha pieno “diritto a un'indennità finanziaria per evitare che, a causa di tale impossibilità, egli non riesca in alcun modo a beneficiare di tale diritto, neppure in forma pecuniaria”. Le legislazioni nazionali che aggirano tale indicazione, come quella austriaca per cui si è esaminato il caso, ma anche quella italiana, non sono ammissibili.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): è dal 2012 che sosteniamo che il godimento delle ferie è un diritto conclamato e riconosciuto da tutti i Paesi moderni: va inteso come momento di 'ricreazione' e per questo motivo non può essere fruito durante la sospensione del servizio. Chi ha creato norme ad arte, come i nostri governi, per aggirare tale principio sacrosanto ora è stato messo con le spalle al muro. L’avvocatura dello Stato ora avrà i suoi problemi a spiegare ai giudici perché si è agito diversamente.
Anief invita gli interessati, docenti e Ata rafforzati da questa sentenza sovranazionale, a cui dal 2012/13 sono stati sottratti indebitamenti giorni di ferie mai goduti, a ricorrere contro questa ennesima vessazione della categoria.
Quattro settimane di ferie annuali retribuite rappresentano “un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione europea”. A sancirlo è stata oggi la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, attraverso una sentenza riguardante un dipendente pubblico della città di Vienna, Hans Maschek, che si era visto rifiutare l'indennizzo per le ferie non godute a causa di una malattia subita nel periodo precedente l’accoglimento della sua domanda di pensionamento.
Secondo gli i giudici di Lussemburgo, va rispettata in pieno la direttiva comunitaria 2003/88, secondo cui il lavoratore ha diritto di "beneficiare di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane" e ribadisce che "il diritto alle ferie annuali retribuite costituisce un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione". Questo "è conferito a ogni lavoratore, indipendentemente dal suo stato di salute. Quando cessa il rapporto di lavoro e dunque la fruizione effettiva delle ferie annuali retribuite non è più possibile, la direttiva prevede che il lavoratore abbia diritto a un'indennità finanziaria per evitare che, a causa di tale impossibilità, egli non riesca in alcun modo a beneficiare di tale diritto, neppure in forma pecuniaria".
La Corte di Lussemburgo ha ribadito, commentaIl Corriere della Sera, “i principi fondamentali del diritto alle ferie retribuite per sospendere il lavoro e beneficiare del necessario periodo di relax e svago”, sentenziando “che tale diritto deve essere rispettato “indipendentemente dallo stato di salute”. Pertanto, non sono ammissibili “legislazioni nazionali, come quella introdotta dalla città di Vienna, che ridimensionano quanto stabilito dalla normativa comunitaria. Secondo gli eurogiudici, è possibile invece stabilire a livello nazionale delle condizioni migliorative per i lavoratori, come aumentare il periodo minimo di ferie retribuite annuali oltre il minimo delle quattro settimane”.
“La sentenza dei giudici di Lussemburgo – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal - pone fine ad una diatriba che ha visto sempre il sindacato accanto ai lavoratori, nel rivendicare il pagamento di tutte le ferie non fruite e l’illegittimità di imporle nei periodi di sospensione dell’attività didattica, come invece hanno fatto diversi dirigenti scolastici italiani. Sono diversi anni, dal 2012, che sosteniamo che il godimento delle ferie è un diritto conclamato e riconosciuto da tutti i Paesi moderni: va inteso come momento di 'ricreazione' e, per questo motivo, non può essere fruito durante la sospensione del servizio. Chi ha creato norme ad arte, come i nostri governi, per aggirare questo principio sacrosanto ora è stato messo con le spalle al muro. L’avvocatura dello Stato ora avrà i suoi problemi a spiegare ai giudici perché si è agito diversamente”.
Il Miur, dinanzi ai tribunali, avrà ora una bella “gatta da pelare”; ad iniziare dalla Scuola dove, anche sul finire di questo anno scolastico, a tanti docenti e Ata con supplenza breve, fino al termine delle attività didattiche o al 30 giugno 2016, non è stato corrisposto in pieno il pagamento delle ferie non godute, pari a circa 2 giorni e mezzo ogni 30 giorni di servizio. Diversi di questi giorni, da monetizzare, sono stati indebitamente sottratti dalle rispettive amministrazioni scolastiche, perché assegnati d’ufficio nel corso delle sospensioni didattiche dell’anno scolastico.
Tale prassi è stata posta in essere malgrado tante sentenze, precedenti a quella odierna di Lussemburgo, avessero stabilito l’illegittimità di tale procedura, ad iniziare da quella emessa dallaCorte d’Appello dell’Aquila, che con la sentenza 142/2016 ha accolto l’appello di una docente precaria che chiedeva al Miur il compenso totale per le ferie maturate e non godute. In tale sentenza è stato bocciato il blocco imposto dalla Legge di Stabilità 2013, superando il comma 56 dell’articolo 1 della Legge n. 228/12. Pertanto, rimane in vigore l’articolo 19 del CCNL Comparto Scuola 2006/2009.
Per questi motivi, Anief ha da tempo avviato i ricorsi al giudice del Lavoro a favore del personale precario che ha prestato servizio in scuola statale negli anni scolastici 2012/13, 2013/14, 2014/15 e/o 2015/16 con contratto a tempo determinato di supplenza breve, fino al termine delle lezioni (anche con eventuale proroga per scrutini e/o esami finali) o fino al termine delle attività didattiche (anche con eventuale proroga per gli Esami di Stato): il giovane sindacato ha sempre sostenuto che questa procedura è incostituzionale, viola la Direttiva Comunitaria n. 2033/88, contraddice i pareri espressi sullo stesso tema dai tribunali e dalla Cassazione. e ora si contrappone anche alla Corte di Giustizia Europea. Anief invita gli interessati a ricorrere contro questa ennesima vessazione della categoria.
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