Il 12 dicembre 2016 si insediava il nuovo Governo Gentiloni: un esecutivo che sembrava voler segnare una certa discontinuità con la politica scolastica precedente del Governo Renzi. Almeno sulla Scuola, uno dei motivi più importanti che portarono all’uscita di scena anticipata da premier dell’ex primo cittadino di Firenze. E con lui, unico ministro del suo Governo, anche la Ministra Stefania Giannini e gli irriducibili sostenitori della contestatissima Legge 107/2015: prima il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone e a seguire pure la responsabile scuola del Pd Francesca Puglisi. Le buone intenzioni, però, si sono perse con il passare dei mesi, peggiorando la cosiddetta Buona Scuola. Dando ragione alle forti proteste che nel maggio del 2015 avevano portato la stragrande maggioranza del personale docente e Ata a scendere in piazza per contestare la riforma su diversi piani: il reclutamento e la stabilizzazione del personale, l’inclusione scolastica, la valutazione, gli ordinamenti, gli insegnamenti all'estero e la revisione degli istituti professionali. Per non parlare delle occasioni mancate sul rilancio del diritto allo studio.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Da una Ministra che si professa vicina ai lavoratori e agli studenti ci saremmo aspettati innanzitutto un intervento sul sostegno ai disabili, per il quale sono state introdotte delle nuove norme di cui non si sentiva alcun bisogno. Come continua ad essere anche preoccupante la formazione FIT che attende i nuovi docenti, che penalizza laureati, abilitati e precari con 36 mesi. Non convince nemmeno la nuova valutazione che svilisce la categoria. Lascia poi molto a desiderare la situazione dei prof all’estero. Desta sconcerto la formazione 0-6 anni: la riforma è stata una delusione su tutti i punti di vista perché sono stati dimenticati i docenti della scuola dell’infanzia nel piano straordinario delle assunzioni ed in quello del potenziamento, perché ancora oggi copre meno del 30 per cento dell’utenza potenziale a livello nazionale, perché permangono pochissime classi ‘primavera’, perché l’anticipo a 5 anni di età della scuola primaria, in un anno di transizione, proposto dall’Anief, non ha avuto mai seguito, perché non sono state mai reintrodotte le ore del modulo e dello specialista inglese, tagliate in modo assurdo dalla riforma Berlusconi-Gelmini.
Esattamente un anno fa, il 12 dicembre 2016, si insediava il nuovo Governo Gentiloni: un esecutivo che, in un primo momento, sembrava voler segnare una certa discontinuità con la politica scolastica precedente del Governo Renzi. Almeno sulla Scuola, uno dei motivi più importanti che portarono all’uscita di scena anticipata da premier dell’ex primo cittadino di Firenze. E con lui, unico ministro del suo Governo, anche la Ministra Stefania Giannini e gli irriducibili sostenitori della contestatissima Legge 107/2015: prima il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone e a seguire pure la responsabile scuola del Pd Francesca Puglisi.
Le buone intenzioni, però, alla resa dei conti, si sono perse con il passare dei mesi: dopo un’apparente apertura all’ascolto delle parti sindacali e sociali, caratterizzata da una lunga serie di audizioni in Parlamento alla presenza delle Commissioni congiunte direttamente interessate, è arrivata l’approvazione di una serie di decreti legislativi in perfetta linea con lo spirito della legge-madre. Di fatto, in questo modo, consacrando, anzi peggiorando la cosiddetta Buona Scuola. Dando anche ragione alle forti proteste che nel maggio del 2015 avevano portato la stragrande maggioranza del personale docente e Ata a scendere in piazza per contestare la riforma su diversi piani: il reclutamento e la stabilizzazione del personale, l’inclusione scolastica, la valutazione, gli ordinamenti, gli insegnamenti all'estero e la revisione degli istituti professionali. Per non parlare delle occasioni mancate sul rilancio del diritto allo studio.
Ma il bilancio di un anno a capo del Miur da parte della senatrice Pd Valeria Fedeli, di cui parla oggi anche la rivista Tuttoscuola, rimane macchiato soprattutto da una serie di mancate prese di posizione su alcuni elementi cruciali del comparto Istruzione: “Da una Ministra che si professa vicina ai lavoratori e agli studenti – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – ci saremmo aspettati un intervento immediato sul sostegno ai disabili, per il quale sono state introdotte delle nuove norme di cui non si sentiva alcun bisogno, mentre quello che occorreva era liberare dagli organici di fatto i 40mila posti ancora oggi ingabbiati in quello di diritto, lasciando un docente specializzato su tre in stato di precarietà e con tutti i problemi che ne conseguono”.
Per il sostegno, ricordiamo che dal 1° gennaio 2019 entreranno in scena nuovi organismi: nello specifico, il Gruppo di lavoro interistituzionale (GLIR), che verrà istituito presso l’Usr, con compiti di supporto ai GIT e alle reti di scuole per la formazione in servizio del personale, ed il Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT), da collocare in ciascun Ambito Territoriale. Quest’ultimo sarà composto da un dirigente tecnico o scolastico, tre ds dell’ambito territoriale, due docenti di scuola dell’infanzia e del primo ciclo, un docente del secondo ciclo. I Compiti del GIT saranno quelli di ricevere dai dirigenti le proposte di quantificazione delle risorse di sostegno didattico, la verifica e la formulazione delle proposte all'USR. Verrà anche introdotto il Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI), istituito presso ciascuna scuola, presieduto dal dirigente scolastico e composto da docenti curricolari, di sostegno ed eventualmente da personale ATA e da specialisti della ASL, con compiti di supporto al collegio dei docenti nella definizione e realizzazione del Piano per l'inclusione, nonché da docenti contitolari e dai consigli di classe nell'attuazione dei Piano educativo individualizzato.
“Decisamente deficitaria – continua Pacifico – è stata anche la formazione che attende i nuovi docenti: i tre anni del cosiddetto FIT non hanno prima di tutto avuto alcun rispetto delle tante sentenze della Cassazione sul precariato. I laureati, infatti, lavoreranno addirittura per 24 mesi a 400 euro al mese. E anche quando entreranno in ruolo dovranno continuare a vedersi corrisposto uno stipendio inferiore rispetto a quello che gli toccherebbe di diritto, perché privo di scatti di anzianità, di ricostruzione di carriera e tante altre voci, per le quali non a caso il sindacato continua a fare ricorsi e a vincerli. Ad essere penalizzati sono poi anche gli abilitati, sia delle GaE che delle graduatorie d’istituto, costretti a svolgere l’ennesimo corso e ad inserirsi nell’ennesima graduatoria, quando sarebbe bastato assumerli subito dalle attuali liste di attesa. Per non parlare di tutti coloro che hanno svolto già 36 mesi di supplenze, attesi da un biennio formativo anch’esso senza alcun senso e con un anno di supplenze da svolgere quasi gratuitamente”.
“Non convince nemmeno la nuova valutazione – dice ancora il sindacalista Anief-Cisal – perché le nuove 'norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato' ha prodotto un buonismo eccessivo che svaluta l’operato degli insegnanti e conduce verso un appiattimento del merito, aprendo probabilmente la strada alla sempre possibile cancellazione del valore legale del titolo di studio. Addirittura, con un escamotage normativo, siamo arrivati al punto che l’accesso alla classe successiva può essere avallato anche qualora vi siano discipline nelle quali l’alunno non ha la sufficienza: un modo, probabilmente, anche per confermare che con il potenziamento si è dato il la a docenti non abilitati nella disciplina ma che annualmente sono costretti ad insegnarla”.
Lascia poi molto a desiderare il taglio delle supplenze nelle scuole all’estero, con la sostituzione degli insegnanti assenti con la ripartizione delle relative ore di insegnamento fra i docenti già in servizio nel medesimo Paese e la riduzione del 38% dell’indennità fissa stipendiale dei docenti che vi operano. È passata anche sotto traccia la supposta armonizzazione del comparto professionali, con gli istituti statali sviliti e ridotti ad una sempre minore valenza formativa, per fare spazio alla formazione regionale la cui incidenza rimane però solo esclusivamente professionale e non a tutto tondo come può fare un istituto superiore dello Stato. Dove, tra l’altro, operano degli Itp che l’amministrazione continua a non volere collocare nelle graduatorie pre-ruolo, malgrado miriadi di sentenze dei tribunali dicano il contrario.
Continua ad essere anche preoccupante la situazione della formazione 0-6 anni: “la riforma è stata una delusione su tutti i punti di vista – ricorda il leader dell’Anief – perché sono stati dimenticati i docenti della scuola dell’infanzia nel piano straordinario delle assunzioni ed in quello del potenziamento, perché ancora oggi copre meno del 30 per cento dell’utenza potenziale a livello nazionale, perché permangono pochissime classi ‘primavera’, perché l’anticipo a 5 anni di età della scuola primaria, in un anno di transizione, proposto dall’Anief, non ha avuto mai seguito, perché non sono state mai reintrodotte le ore del modulo e dello specialista inglese, tagliate in modo assurdo dalla riforma Berlusconi-Gelmini”.
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