La richiesta espressa in queste ore dal governatore è già scritta nel testo di progetto di legge che in Veneto hanno approvato e presentato al ministro per le Regioni Erika Stefani: il fine è decidere in modo autonomo il trasferimento su base volontaria del personale della scuola, maestre, prof e bidelli, il tutto incentivato da stipendi possibilmente più alti. Secondo Marcello Pacifico, presidente del giovane sindacato, l’dea di fondo del governatore Luca Zaia non è sbagliata: pagare di più gli insegnanti della propria regione rispetto ai livelli mortificanti stabiliti dall’ultimo contratto collettivo nazionale, che non ha garantito nemmeno il recupero dell’inflazione, è un intervento doveroso. Detto questo, attenzione a non imporre norme incostituzionali che al di fuori delle prerogative dello statuto speciale andrebbero a differenziare il personale originariamente assunto dalla Stato in base al luogo di residenza: senza il rispetto del nostro dettato costituzionale, si rischia poi di cadere nella perdita dei diritti.
Sta entrando nel vivo l’iniziativa di alcune regioni a statuto ordinario di acquisire maggiori spazi di autonomia decisionale, finanziaria e legislativa su lavoro, istruzione, salute, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e di governo del territorio. Nel campo scolastico, il progetto è già avanzato. Soprattutto in Veneto, dove il governatore Luca Zaia ha prima firmato, la settimana scorsa, un accordo con il Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti per l’insegnamento della storia veneta in tutte le scuole della regione, ed ora punta dritto alla gestione di docenti, Ata e dirigenti scolastici: l’obiettivo, scrive il Corriere della Sera, è decidere in modo autonomo il trasferimento su base volontaria del personale della scuola, maestre, prof e bidelli, alla Regione Veneto, il tutto incentivato da stipendi possibilmente più alti.
Il concetto è ripreso da Elena Donazzan, l’assessore regionale all’Istruzione e al Lavoro della Regione Veneto, che in un’intervista rilasciata oggi ad Orizzonte Scuola si lamenta “per lo stipendio netto di un insegnante pari a 1.200-1.300 euro al mese” e dice che il passaggio sotto l’egida della regione li porterà ad avere maggiori compensi. La richiesta di Zaia è chiara ed è già scritta nel testo di progetto di legge che in Veneto hanno approvato e presentato al ministro per le Regioni Erika Stefani. Difficile dire se resisterà ai rilievi dei tecnici del Miur che già lo scorso anno - ma allora al ministero c’era la pd Valeria Fedeli - avevano accantonato la questione. Il ministro Bussetti, sempre nel suo incontro con Zaia la settimana scorsa, era stato molto cauto: sul tema bisogna coinvolgere gli addetti ai lavori, leggi i sindacati”.
Secondo l’Anief, tirato in causa dal Ministro, l’dea di fondo del governatore Luca Zaia non è sbagliata: “pagare di più gli insegnanti della propria regione rispetto ai livelli mortificanti stabiliti dall’ultimo contratto collettivo nazionale, che non ha garantito nemmeno il recupero dell’inflazione, confermandoli in fondo alla classifica dei paesi europei dopo quelli dell’Est, è un intervento doveroso. Vivere con stipendi ridotti al minimo, senza scatti durante il precariato, e fermi per otto anni anche dopo essere entrati di ruolo, rappresenta un trattamento non certo da Paese all’avanguardia”.
Il progetto, tuttavia, non riguarda solo il Veneto, perché all’interno del Documento di Economia e Finanza, preludio della manovra economica 2019, è presente, nero su bianco, la volontà di introdurre la cosiddetta “Autonomia differenziata”, attraverso l’attuazione mai riuscita sino ad oggi dell'articolo 117 della Costituzione. Inoltre, al Senato sta andando avanti il disegno di legge leghista che introduce il domicilio professionale come elemento imprescindibile per accedere ai nuovi concorso pubblici, anche questi trasformati in una procedura regionale.
“Anche laddove le premesse sono positive, secondo noi – continua Pacifico - sarebbe incostituzionale qualsiasi norma che al di fuori delle prerogative dello statuto speciale andrebbe a differenziare il personale originariamente assunto dalla Stato in base al luogo di residenza. Anche perché si tratterebbe di dare il via ad un processo che sfocerebbe pure su altri ambiti, come le modalità di reclutamento e i concorsi, pure questi da regionalizzare. Secondo noi, quindi, può essere condivisibile senz’altro l’intento del presidente della regione veneta di incentivare i compensi del personale scolastico, ma si tratta comunque di un impegno che lo Stato centrale delegherebbe ad una sua istituzione regionale, peraltro a statuto ordinario: una devolution stipendiale che qualcuno potrebbe anche intendere al contrario. Ecco perché rimaniamo convinti – conclude il leader dell’Anief – che, senza il rispetto del nostro dettato costituzionale, si rischia poi di cadere nella perdita dei diritti”.
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