Le richieste sono giunte nel corso del seminario “L’uguaglianza non ha genere”, svoltosi a Roma nella sede dello stesso Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, alla presenza di esperti, accademici e sindacalisti, tra cui Susanna Camusso, ex segretaria generale della Cgil e i rappresentanti sindacali di molte confederazioni rappresentative nel pubblico impiego, come la Confedir. Durante il convegno è stato evidenziato come l’assottigliamento del gap rispetto agli uomini passi per il superamento dell’inadeguatezza del welfare aziendale, della difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, del basso tasso di occupazione e imprenditoria femminile. Fondamentale, poi, dotarsi di strumenti di rilevazione di dati di genere, modificare gli stereotipi culturali, promuovendo campagne di sensibilizzazione, percorsi formativi e scolastici, forme di sgravio fiscale e incentivi, un sistema moderno di servizi per la famiglia, adeguate risorse finanziarie. Ma anche reintrodurre il fondo d’indennizzo previsto dal D.Lgs. 80/2015 a copertura del congedo per le donne vittime di violenza di genere. Marcello Pacifico (Anief-Udir): “La nostra delegata presente per Confedir ha ribadito la necessità di specifiche tutele e garanzie per le donne vittime di violenza, ma anche più formazione obbligatoria e un’efficace attuazione della legislazione vigente in materia”
In Italia la condizione della donna nel mercato del lavoro continua a non soddisfare i requisiti delle pari opportunità: secondo gli ultimi dati Istat, le lavoratrici italiane guadagnano in media il 71,7% del salario degli uomini; il trend di contrazione del divario stipendiale previsto è così lento che la prospettiva di assorbimento del differenziale richiede diversi decenni. A meno che non si approvino decisi interventi normativi per accelerare l’andamento di equiparazione, in termini salariali ma anche di progressione di carriera, di presenza di servizi complementari al lavoro, di organizzazione dei tempi lavorativi. I dati sono stati commentati lo scorso 6 marzo dal Cnel, nel corso del seminario “L’uguaglianza non ha genere”, svolto nella sede di via Davide Lubin a Roma dello stesso Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, alla presenza di esperti, accademici e sindacalisti, tra cui Susanna Camusso, ex segretaria generale della Cgil.
NON SOLO DISPARITÀ RETRIBUTIVA
Ma il Cnel, attraverso un dettagliato documento, ha anche sottolineato che “la disparità retributiva è solo uno degli elementi di sperequazione di genere. Perché “la condizione della donna lavoratrice è” pure “penalizzata dalla rigidità dell’organizzazione del lavoro e dalla inadeguatezza del welfare aziendale: dati Ocse 2016 imputano l’adozione di adeguati livelli di flessibilità e di servizi di welfare (asili nido aziendali e servizi sociali di assistenza, ricreativi e di sostegno) solo al 66% dei datori di lavoro italiani, posizionando l’Italia di 2 punti percentuali al di sotto della media mondiale, con oltre 15 punti di scarto rispetto ai paesi scandinavi”.
È soprattutto la difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro a portare al 48,5% la quota dell’occupazione femminile italiana (tra i 15 e i 64 anni), ben al di sotto della media UE del 60,4%: una sperequazione che risulta ancor più evidente se si considera che sono le lavoratrici-madri a caratterizzare per il 54,3% la disoccupazione femminile e che la quota di donne madri indotte ad abbandonato il lavoro per prendersi cura dei figli è pari al 27%, di gran lunga superiore alla quota degli uomini nella stessa condizione, pari allo 0,5%.
L’ALTA “MORTALITÀ” DELLE MICRO IMPRESE FEMMINILI
Al ridotto tasso di occupazione femminile, ha continuato il Cnel, si aggiunge il dato della minore durata media della vita lavorativa delle donne (24,5 anni contro i 39,6 degli uomini, con uno scarto del 38%, tra i più alti in Europa), con conseguenti distorsioni di genere, ad esempio nel differenziale medio fra le pensioni percepite dalle donne rispetto a quelle degli uomini (pari al 33%), nelle prestazioni assicurative di natura sostitutiva della retribuzione (ad esempio INAIL in caso di malattia), nella disciplina del riscatto dei periodi contributivi facenti riferimento alla durata della vita media, superiore nella donna.
Alla valutazione di iniquità della disparità di genere del mercato del lavoro, il Cnel ricorda che vanno accompagnate considerazioni sul “valore economico delle donne”: nel periodo 2010-2015 l’imprenditoria femminile è cresciuta nel nostro paese di 35mila unità, rappresentando ben il 65% dell’incremento complessivo del tessuto imprenditoriale nazionale: ad oggi conta 1 milione e 312 mila imprese femminili. E si tratta, in genere, di realtà lavorative più dinamiche, digitali, giovani, multiculturali, che danno lavoro a circa 3 milioni di persone. Tuttavia questi dati costituiscono appena il 27% del totale. Con un’alta “mortalità” delle micro imprese femminili registrata in concomitanza della nascita di figli e in ragione di necessità di accudimento di anziani.
LE PROPOSTE DEL CNEL
Non corso del seminario, i consiglieri del Cnel hanno presentato alcune proposte per superare questa tendenza, così da muovere azioni di contrasto ai divari di genere nelle imprese e nel lavoro. La prima azione è l’avvio di una politica concreta di pari opportunità atta a conseguire un benessere sociale più equo e sostenibile e a recuperare l’apporto del “valore economico delle donne” alla crescita del paese: questo presuppone l’adozione di un Piano d’azione di contrasto al Gender Gap, globale e integrato, dotato di adeguate risorse finalizzato all’inclusione e alla creazione di lavoro attraverso investimenti pubblici. Ne consegue la necessità che il governo italiano si doti di strumenti di rilevazione di dati di genere diffusi sul territorio e di valutazione d’impatto delle azioni politiche.
In tal senso, il disegno di legge Cnel “Disposizioni in materia di statistiche e politiche di genere” dell’ottobre 2013 individuava, esattamente nella rilevazione delle statistiche di genere, uno strumento fondamentale per la necessaria valutazione d’impatto delle normative sulle politiche di pari opportunità.
Perché l’azione di contrasto alla disparità di genere abbia carattere strutturale, il Cnel è dell’avviso che occorra anche muovere azioni capaci di modificare gli stereotipi culturali che relegano la donna alla cura familiare, sia promuovendo campagne e iniziative di sensibilizzazione sull’importanza dell’apporto di lavoro delle donne alla crescita del paese sia dando impulso, per quanto riguarda i percorsi formativi e scolastici, a politiche di orientamento diffuse che mirino a superare scelte formative “segreganti”.
Servirebbe poi ripristinare, continua il Cnel, forme di sgravio fiscale e incentivi di carattere strutturale a sostegno dell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, ma anche ridisegnare con approccio nuovo un sistema moderno di servizi per la famiglia, proposto non più in risposta alle esigenze delle donne lavoratrici bensì quale elemento cardine del nostro modello di benessere sociale e di crescita economica. Infine, occorrono “adeguate risorse finanziarie atte a garantire le necessarie agevolazioni ai servizi di cura e di assistenza e con estensione delle stesse al settore privato, affinché i costi di un nuovo welfare familiare non siano posti solo a carico delle imprese.
Il Cnel, riguardo al fenomeno della violenza di genere e all’obiettivo della salvaguardia delle condizioni delle lavoratrici che ne sono vittime, ritiene grave il “vuoto” registrato dalla legge di bilancio 2019 e chiede venga reintrodotto il fondo d’indennizzo previsto dal D.Lgs. 80/2015 a copertura del congedo per le donne vittime di violenza di genere e che questo sia riconosciuto anche alle imprenditrici. Tra le proposte, c’è anche quella di ampliare da 3 a 6 mesi il periodo di congedo per le vittime di violenza, confermare gli incentivi per le cooperative sociali che assumono donne vittime di violenza estendendo detto incentivi anche alle altre aziende che intendono assumere donne vittime di violenza; ripristinare i fondi per le vittime di femminicidio.
LA PROPOSTA CONFEDIR
La Confedir ha espresso soddisfazione per il documento predisposto dal Cnel, soprattutto per la richiesta di incentivare l’azione di contrasto della violenza di genere, che mira alla salvaguardia delle condizioni delle lavoratrici che ne sono vittime: “Le previsioni contenute nel D.Lgs. n. 80/2015 – ha detto Chiara Cozzetto, delegata Confedir per Udir - erano attese da tempo e coprono un vulnus normativo introducendo, finalmente, specifiche tutele e garanzie per le donne vittime di violenza”.
Nel fare riferimento alla “Risoluzione del Parlamento europeo dell'11 settembre 2018 sulle misure per prevenire e contrastare il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nei luoghi pubblici e nella vita politica nell'UE”, la Confedir ribadisce la necessità di “programmare quanto l'UE raccomanda: bisogna garantire - ha detto Cozzetto - che le società e le organizzazioni, pubbliche e private, predispongano una formazione obbligatoria su molestie sessuali e bullismo, ovviamente inteso come mobbing, per tutti i dipendenti e coloro che ricoprono ruoli dirigenziali. Inoltre, una formazione efficace deve essere interattiva, continua, adeguata allo specifico ambiente di lavoro”.
“Sono un'insegnante – ha continuato Cozzetto - e rappresento una categoria di lavoratrici che se da un lato sono tutelate per quanto riguarda i diritti alla maternità e all'accesso lavorativo in situazione di parità, non sono meno a rischio di disuguaglianze di genere, mobbing e molestie sul luogo di lavoro. Tuttavia, rappresento non solo la Confedir, ma anche quel mondo dell'Istruzione che più volte oggi è stato chiamato in causa per evidenziare la circostanza che vede le donne con una maggiore istruzione con una possibilità maggiore di accesso a un lavoro qualificato e soddisfacente e anche quel mondo che ha il compito di preparare i “cittadini di domani” a un rispetto dell'altro a 360°, perché formare le generazioni future è un passo fondamentale per il superamento di qualsiasi forma di discriminazione”.
È indispensabile, ha detto ancora la sindacalista, “creare ambienti più favorevoli al rispetto delle differenze di genere e questo può avvenire solo in un ambiente di lavoro sano e sicuro per i lavoratori, anche e soprattutto per quanto riguarda la prevenzione e il contrasto della violenza e della discriminazione di genere. Per realizzare ciò, è necessario combinare tutti gli strumenti disponibili, compresa un’efficace attuazione della legislazione vigente in materia, prevedendo l’attiva partecipazione delle parti sociali, del mondo sindacale intero, non solo di Cgil, Cisl e Uil, e delle istituzioni, nello studio e nella realizzazione di precisi interventi che siano effettivamente in grado di arginare ogni forma di discriminazione”.
“Gli strumenti giuridici, oggi a disposizione, sicuramente sono più incisivi, ma risulta essere ancora lungo il percorso sul piano culturale e politico per assicurare pari opportunità tra uomini e donne – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e Udir – la nostra delegata presente per Confedir ha ribadito la necessità di prendere coscienza che l’integrità psicofisica, il rispetto della dignità e dell’autodeterminazione sono valori inviolabili, diritti fondamentali e universali da cui non si può e non si deve prescindere. La nostra azione sindacale è sempre volta a rendere concrete e attuali le previsioni eurounitarie, come le raccomandazioni del Parlamento Europeo per prevenire e contrastare il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nei luoghi pubblici e nella vita politica nell'UE e l'impegno è quello di perseverare per far sì che i principi della nostra Carta Costituzionale, in questo caso l'art. 37 in particolare, non restino mai lettera morta”.
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