Questo si evince dal rapporto “Education and Training Monitor 2019”, per le competenze di insegnamento in un ambiente multiculturale o multilingue, nell’insegnamento a studenti che appartengono a realtà svantaggiate dal punto di vista socio-economico e con esigenze particolari. Tra le cause figura anche il progressivo invecchiamento della popolazione del corpo insegnante. Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “la ricerca conferma la necessità di intervenire con urgenza nel sistema di formazione iniziale in servizio degli insegnanti, ma anche nel reclutamento e nella valorizzazione delle competenze nei diversi contesti educativi con organici legati al territorio”.
Anief aggiunge al quadro delineato i numeri: quasi 300 mila studenti hanno un handicap certificato, 500 mila presentano bisogni educativi speciali, 800 mila sono alloglotti, in migliaia si ritrovano a studiare in zone economicamente depresse, ad alto rischio sociale o tasso di dispersione. A questi dati bisogna dare una risposta che passa da una maggiore specializzazione degli insegnanti in base alle esigenze degli alunni per garantire una società più giusta, equa e solidale e il diritto costituzionale all’istruzione. Bisogna intervenire per cambiare o attuare la normativa vigente, cambiarla quando definisce lo stesso rapporto tra studenti e insegnanti in tutte le parti del Paese ignorando il tessuto sociale in cui è inserita la scuola, applicarla quando prevede una specifica formazione per affrontare i BES, innovarla quando si ha davanti una prima classe con 25 alunni su 30 di lingua non italiana.
Sul sostegno poi, bisogna trasformare i posti in deroga in organico di diritto e ampliare la formazione specialistica visto che otto supplenti su dieci non hanno una formazione specifica nella didattica speciale. Piuttosto che concorsi-lumaca, si dia il via all’utilizzo delle professionalità esistente con corsi di specializzazioni ordinari e reclutamento immediato grazie alle nuove graduatorie del salva-precari e di merito.
IL PARADOSSO DELLA SCUOLA ITALIANA: MIGLIAIA DI INSEGNANTI MA POCHI SPECIALIZZATI
I paradossi della scuola italiana non finiscono mai: c’è una massiccia domanda di aspiranti all’insegnamento, dentro e fuori le graduatorie, ma le ricerche ci dicono che mancano all’appello tanti docenti qualificati per gli alunni con bisogni speciali.
Complessivamente, dice il rapporto UE “Education and Training Monitor 2019”, in diversi paesi dell’UE (Italia, Regno Unito-Inghilterra, Francia, Belgio, Romania e Portogallo), si riscontra una carenza di insegnanti qualificati che possono ostacolare la qualità dell’istruzione nelle loro scuole. Ma lo studio prende in considerazione anche le carenze in competenze specifiche come, ad esempio, quella di insegnare a studenti con bisogni speciali: preoccupa, su questo versante, che circa la metà dei presidi a capo degli istituti di Belgio (Comunità francese), Estonia, Portogallo e Romania, ma anche l’Italia, riferisca una carenza di insegnanti con competenza per insegnare agli studenti con esigenze particolari.
TRA LE CAUSE, L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE DEGLI INSEGNANTI
Tra i motivi che stanno alla base della mancanza di docenti, non solo di sostegno, secondo gli estensori del rapporto UE “Education and Training MONITOR 2019”, risulta senz’altro la causa dell’invecchiamento della popolazione degli insegnanti, in termini demografici, oltre che la difficoltà di attrarre alla formazione degli insegnanti. Due variabili che, secondo l’Anief, sembrano fatte apposta per mettere in luce il quadro italiano, dove insegnano i docenti più vecchi d’Europa e dove la mancanza di valorizzazione degli insegnanti ha raggiunto livelli sempre più evidenti, a iniziare dalla modestia degli stipendi.
La condizione anagrafica decisamente avanzata dei nostri insegnanti è stata rilevata anche dall’ultimo rapporto realizzato pochi giorni fa dalla Commissione europea, da cui risulta che i nostri prof sono i più vecchi d'Europa: ben il 58% dei docenti italiani, tra elementari e superiori, ha più di 50 anni, contro una media Ocse del 34%. Ciò significa che nel resto d’Europa si procede a un ingresso anticipato alla pensione, proprio perché i governi collocano giustamente l’insegnamento tra le professioni logoranti e ad alto rischio burnout.
“L’età media troppo alta, con due docenti su tre sopra i 50 anni di età e non rari casi di assunzioni di insegnanti over 60enni – commenta ancora Marcello Pacifico –, è una condizione che, associata alla modestia degli stipendi, gioca fortemente contro la valorizzazione del nostro corpo docente. Per voltare pagina, servirebbe includere l’insegnamento tra le professioni logoranti, quindi meritevoli di rientrare nell’Ape Social. Invece, ci ritroviamo con il 17% dei docenti che supera i 60 anni, contro il 9% nell'Unione europea: una tendenza che non farà che aggravare la già alta incidenza di malattie psichiatriche ed oncologiche”.
IL PARERE DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANIEF
“Per motivi di bilancio, negli ultimi dieci anni, piuttosto che investire sugli organici e sulla specializzazione degli insegnanti si è preferito tagliare e risparmiare con parametri numerici che non tengono conto del contesto classe e scuola-territorio. Il Parlamento ha approvato delle norme sui BES e sul Sostegno, ma le buone intenzioni si sono sempre scontrate contro i vincoli della legge di stabilità. È arrivato il momento di invertire la rotta, una volta per tutte. Si guardi cosa succede per gli insegnanti di sostegno dove ci sono oltre 60 mila posti vacanti e il 90% delle nomine in ruolo vanno deserte per mancanza di candidati. Gli ultimi corsi universitari di specializzazione, come se non bastasse, sono stati anche contrassegnati da una errata distribuzione regionale. E nel frattempo, decine di migliaia di alunni si ritrovano con il sostegno negato, senza docente o con meno ore di quelle previste dal Pei”.
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