Il decreto scuola, tra i vari provvedimenti, ha varato anche l’estensione a tutti gli immessi in ruolo a decorrere dal 2020/2021 del vincolo di permanenza di cinque anni nella scuola di titolarità. Come Anief abbiamo già più volte protestato contro tale decisione. Siamo convinti, infatti, che la continuità didattica sia certamente da garantire, specie nel primo ciclo e sul sostegno, ma è pur vero che non è possibile negare così a lungo ai docenti il diritto alla libera mobilità sul territorio nazionale. Ma c’è un aspetto nell’introduzione su larga scala del suddetto vincolo che troviamo particolarmente odioso: il coinvolgimento anche di coloro che fruiscono, per sé o per un congiunto (coniuge, figli, parte dell’unione civile), dei benefici della legge 104/92, con la sola esenzione di chi ha ottenuto il riconoscimento dopo la presentazione della domanda di partecipazione al concorso o di aggiornamento delle graduatorie a esaurimento
Si tratta di una decisione che lascia allibiti e per la quale non è possibile trovare alcuna plausibile giustificazione. Ricordiamo che la legge 104/92 è nata per tutelare i disabili (nel caso presente i lavoratori disabili) e coloro che si prendono cura di un congiunto entro il secondo grado. Porre un simile limite all’esenzione dai vicoli alla mobilità, per di più comprendendo anche quella annuale (utilizzazioni e assegnazioni provvisorie) e addirittura gli incarichi TD ex art 36 CCNL 2007, vuol dire negare quei diritti alla stragrande maggioranza degli aventi titolo, con gravissime ripercussioni sulle loro vite. È chiaro, infatti, che bloccare per cinque anni un genitore o un coniuge in una sede di servizio posta a centinaia di chilometri di distanza dalla propria residenza significa porre quel lavoratore di fronte alla necessità di dover scegliere tra il proprio lavoro e la propria salute e/o la cura dei propri affetti più cari. Una scelta indegna di uno Stato di diritto e, crediamo, in aperta violazione di quanto indicato dall’art. 3 della Costituzione.
Forse, crediamo, non si è posta sufficiente attenzione al fatto che una siffatta norma finirà per colpire anche coloro che svolgeranno il concorso nella propria regione. Non dimentichiamo, infatti, che le procedure concorsuali della scuola si attuano a livello regionale. Pertanto, se – poniamo – al momento della scelta un docente vincitore di concorso di Cuneo che vive e si prende cura del figlio, disabile da prima che papà partecipasse al concorso, sarà costretto ad accettare il ruolo a Domodossola (distante più di tre ore di automobile) dovrà rimanerci per cinque anni senza alcuna possibilità di rientro anticipato, nemmeno con assegnazione provvisoria. E non si può nemmeno pensare di dire a quel padre che potrà in ogni caso spostare tutta la sua famiglia a Verbania se, poniamo sempre, sua moglie lavora anch’essa a Cuneo, il mutuo lo sta già pagando a Cuneo e il figlio disabile è già inserito in un progetto di vita (scuola, servizi educativi, attività associative) a Cuneo.
Insomma, siamo di fronte ad una norma scritta davvero male. E a renderla se possibile peggiore si aggiunga la previsione del decreto scuola di sottrarre la materia del nuovo vincolo di permanenza quinquennale alla contrattazione con i sindacati. Una tendenza – quella all’esclusione delle parti sociali dalla concertazione sui provvedimenti più importanti – che, con fatica, in questi anni si è riusciti ad arginare ma che a volte, come in questo caso, riaffiora con prepotenza, nell’erronea convinzione che sia bene escludere i sindacati dalla scrittura delle regole del gioco. Come si vede, invece, se solo si ascoltassero di più i rappresentanti dei lavoratori, le norme potrebbero essere più eque ed efficaci.
Come Anief, quindi, chiediamo di riaprire i tavoli sulla mobilità – comunque necessari per integrare il contratto triennale vigente viste le numerose novità – anche su questo punto, di grave e inderogabile urgenza, così come anche sul tema più generale del vincolo quinquennale.