Riparte il 16 giugno il tavolo all’Aran per la revisione delle norme per l’attuazione del diritto allo sciopero nel comparto istruzione. Dopo la fumata nera al termine dei primi incontri negli scorsi mesi, dovuta all’irricevibilità della proposta di inserire anche il personale docente nel contingente minimo, la delegazione ANIEF chiederà un svolta sulle trattative
I segretari generali Stefano Cavallini e Marco Giordano, che comporranno la delegazione ANIEF all’incontro in videoconferenza previsto per martedì prossimo, chiederanno che le trattive sul rinnovo delle norme attuative della legge 146/90 sullo sciopero nei servizi essenziali si focalizzino esclusivamente sulla necessità di armonizzare le regole in tutti i settori confluiti nel nuovo comparto unico istruzione e ricerca (Scuola, Università, Afam, Ricerca), sgombrando il tavolo da ogni tentazione di fughe in avanti sul settore scolastico.
Negli scorsi mesi, infatti, le trattative si sono arenate di fronte alla proposta della parte pubblica di imporre l’inserimento dei docenti nel contingente minimo da predisporre in occasione di ogni azione di sciopero. Ricordiamo che oggi il contingente riguarda esclusivamente il personale Ata ed è limitato a poche ed essenziali funzioni indifferibili (vigilanza mensa, pagamento stipendi, etc.). Adesso, invece, la parte datoriale vorrebbe estendere ai docenti l’obbligo di garantire la presenza a scuola, esclusivamente per finalità di vigilanza. Non è, infatti, possibile utilizzare per la didattica personale non in sciopero o inserito nel contingente minimo, in sostituzione di docenti che hanno deciso di astenersi dal lavoro.
“Obbligare uno o più docenti alla presenza a scuola durante uno sciopero – commenta Marcello Pacifico – non rappresenta soltanto una compressione dei diritti dei lavoratori, ma tradisce una concezione della scuola come parcheggio, un luogo in cui non importa se si faccia o meno didattica purché sia possibile lasciare bambini e ragazzi per limitare i disagi alle famiglie”.
Ebbene, quei disagi sono esattamente quello che uno sciopero si propone di creare, seppur temporaneamente e nel rispetto della normativa vigente, per dare voce alle rivendicazioni di chi sciopera. Che peraltro, è bene ricordarlo, quel giorno non riceverà alcun pagamento per la prestazione lavorativa non effettuata. L’idea che i disagi per l’utenza debbano essere azzerati, di contro, mina alla radice il concetto stesso di sciopero. E l’idea che il docente debba essere in servizio solo per fare il vigilante, senza alcuna ragione didattica a giustificarne la presenza, svilisce e umilia la figura stessa dell’insegnante.
Altra criticità nella bozza inviata alle organizzazioni sindacali riguarda le comunicazioni di rito che il dirigente scolastico deve inviare alle famiglie, che registra una superfetazione di dati inutili se non addirittura fuorvianti quali la percentuale di voti ottenuta alle elezioni RSU dal sindacato proclamante e quella di adesione ad altri scioperi proclamati dalla sigla nell’anno in corso e in quello precedente. Elementi che rischiano di indurre l’utenza, a seconda dei casi, a sovrastimare o sottostimare l’effettiva adesione allo sciopero basandosi su dati storici riferiti a un arco temporale minimo che in realtà non possiedono alcuna valenza previsionale. Le uniche informazioni utili, pertanto, sono quelle relative alle modalità di funzionamento possibili in base ai dati conosciuti dal dirigente scolastico, che potrà anche disporre l’eventuale sospensione del servizio.
“Il senso di queste trattative – conclude Pacifico – deve essere solo quello di armonizzare le regole sugli scioperi in tutti i settori che sono confluiti nel nuovo comparto istruzione e ricerca. Qualsiasi ipotesi peggiorativa del diritto alla sciopero per i lavoratori della conoscenza rischia solo di far saltare il tavolo. Aggiornare regole vecchie di 20 anni è giusto, ma non renderle peggiorative basandoci su dei dati che l’Aran e il Ministero dell’Istruzione non ci hanno mai dato”.