“Se entro il 31 luglio il Governo non sdoppia le classi il sindacato avvierà la più grande Class Action della storia della Repubblica Italiana, al fine di garantire la sicurezza di studenti e lavoratori”: lo dichiara Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief in vista dell’incontro che si svolgerà oggi con il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi che riferirà gli esiti del colloquio tenuto ieri a Palazzo Chigi con il premier Mario Draghi.
Il leader dell’Anief è determinato, consapevole che la vaccinazione è fondamentale ma non sufficiente per vincere Covid19. “È dal 1975 che ogni studente avrebbe diritto ad almeno 1,80 metri quadrati di spazio per la propria sicurezza, spazio ancora più prezioso in tempo di pandemia dal momento che rimane la vera e unica arma per evitare il contagio del virus. Eppure abbiamo classi in media da 25 alunni in 30 metri quadrati. Oggi lo Stato ha i soldi del Pnrr dall’Europa, ma continua a non volerli spendere per mettere in sicurezza le aule. Invece, si sta andando verso un obbligo che è incoerente e non risolutivo, in assenza della vaccinazione obbligatoria per tutto la popolazione studentesca e del distanziamento dentro le classi e nei trasporti. Peraltro l’obbligo è stato definito illegittimo e discriminatorio in una precisa raccomandazione dalla Assemblea del Consiglio d’Europa nel gennaio scorso, nel silenzio del Parlamento che da marzo avrebbe dovuto esprimere un parere sull’argomento.
In vista della definizione delle modalità da adottare per la prevenzione del Covid, il sindacato è stato oggi convocato dal ministro dell’Istruzione. Anief lo dice subito: qualora si intenda proseguire con la politica della vaccinazione coatta del personale scolastico senza affrontare prima il tema del dimensionamento, il giovane sindacato rappresentativo avvierà una Class Action. Si tratta di una modalità per far valere, in via giudiziaria, la tutela di uno o più specifici diritti del cittadino: sarà attuata da tutte le famiglie degli alunni e dai dipendenti che intendono chiedere il rispetto delle norme nazionali sulla sicurezza nei luoghi di lavoro per gli studenti e per tutto il personale scolastico, la cui inosservanza diventa particolarmente grave in questo periodo di contagio da Covid19.
I PARAMETRI MINIMI DI DISTANZA
Il riferimento del sindacato è alla mancata applicazione dei decreti ministeriali del 18 dicembre 1975 e 22 agosto 1992, oltre che dalla legge n. 23 del 1996, attraverso cui si stabiliva che il rapporto alunni-superficie scolastica non avrebbe dovuto superare 1,80 metri quadrati ad alunno nella scuola dell’infanzia e primaria, e 1,96 nella scuola secondaria. Con l’adozione del decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 20 marzo 2009, introdotto dall’ultimo Governo Berlusconi, si è quindi stabilito che in casi eccezionali si possono formare classi rispettivamente fino a un massimo di 26-28 alunni nella scuola dell’infanzia e primaria, fino a 27-30 alunni in quella secondaria di primo grado e fino a 30-33 alunni nella scuola secondaria di secondo grado. Ma è stato anche approvato che bisognava attuare una fase di riqualificazione dell’edilizia scolastica, condotta dal ministero dell’Istruzione assieme al Mef, per evitare che quell’innalzamento recasse problemi di sicurezza nei luoghi pubblici. Ad oggi quell’adeguamento non c’è mai stato. E si sono sempre più stipati gli alunni nelle aule in modo irriguardoso, sino a formare oltre 20mila classi ‘pollaio’ da 30 e più alunni.
L’ATTENZIONE SPOSTATA SUI VACCINI
“Oggi invece di concentrarci su questa grave mancanza, che lascia accalcati nelle classi decine di alunni, tutta l’attenzione – spiega Marcello Pacifico, leader dell’Anief - è concentrata sull’obbligo vaccinale. Ma c’è una incoerenza interna sulla vaccinazione obbligatoria, perché se è vietata per i bambini fino a 12 anni, anche vaccinando i docenti il rischio contagio sarebbe comunque altissimo, con il virus che si trasmetterebbe per ‘colpa’ degli insegnanti piuttosto che degli alunni. Sempre che si possa parlare di ‘colpa’, in una battaglia che appare orami sempre più ideologica che scientifica, peraltro portata avanti in questo modo dal solo Governo italiano. Lo abbiamo detto e lo ridiremo oggi al ministro: le resistenze di chi non si vaccina devono essere da tutti noi vinte con la forza della persuasione e non con l’obbligo, che non è necessario ed è anche incoerente. Sbaglia chi cerca l’untore piuttosto che dotale le aule di spazi e organici adeguati”.
IL MANCATO ESAME DELLA RISOLUZIONE UE
Il sindacalista autonomo ricorda che “il Senato avrebbe dovuto esaminare una risoluzione del Consiglio d’Europa dallo scorso mese di marzo proprio sull’obbligo vaccinale: invece non l’ha fatto. La risoluzione è bloccata. E questo è indicativo sulla volontà del Parlamento e del Governo di prendere in considerazione le indicazioni che arrivano da Bruxelles”. È un atto di disinteresse particolarmente grave perché la posizione dell’Ue è chiara: ha infatti comunicato formalmente ai Paesi membri che occorre garantire che i cittadini siano informati sul fatto che la vaccinazione non è obbligatoria e che non è possibile politicamente, socialmente o in altro modo mettere sotto pressione i cittadini e i lavoratori per farsi vaccinare, se non desiderano farlo da soli.
Al punto 7.3.2. della risoluzione c’è scritto che è fondamentale che nessun cittadino europeo “subisca discriminazioni per non essere stato vaccinato per possibili rischi per la propria salute o perché non vuole essere vaccinato”. “Anief, pertanto, conferma i propri dubbi sull’imposizione vaccinale, che appare giuridicamente pure sospetta rispetto anche a una precisa risoluzione del parlamento europeo: lo stato di diritto deve essere garantito e non tradito da chi governa”, conclude il presidente Anief Marcello Pacifico.
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