A Palermo un altro caso di “mala scuola”: i fondi da impiegare nell’acquisto di materiale scolastico, forniti dal Comune, sono sempre più assottigliati, tanto da risultare spesso insufficienti. Così i genitori devono sobbarcarsi le spese. La triste situazione affligge anche diversi istituti del Centro e Nord Italia. Sul fronte dei fondi statali non va meglio, se si considera, rispetto ad un quinquennio fa, il forte ridimensionamento del Miglioramento dell’offerta formativa, con cui il Miur finanzia le ore prestate di pomeriggio per i progetti e le altre figure essenziali al funzionamento scolastico, anche per il recupero degli alunni a rischio abbandono scolastico. Dati negativi pure a livello di macro-investimenti per l’Istruzione rispetto al Pil: secondo i dati dell’Istituto statistico della Commissione europea, l’Italia si trova all’ultimo posto tra i paesi dell’UE.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): un Paese civile non può fare mancare quei servizi elementari che permettono a ogni studente la corretta partecipazione alle lezioni scolastiche; ci troviamo davanti all’illogicità in cui sono le famiglie a rifornire le scuole dei bisogni essenziali. È un diritto dei nostri figli trovare nel luogo pubblico in cui trascorrono gran parte dello loro giornate, la scuola, ciò di cui hanno bisogno. Soprattutto in questi tempi, in cui molte famiglie devono fare i conti con le ristrettezze economiche, i genitori non possono e non devono occuparsi di questo. È lo Stato che deve far fronte alle esigenze dei suoi cittadini”.
I tagli agli enti locali, a iniziare dai Comuni, si riflettono sulla qualità dei servizi ospedalieri, sui trasporti cittadini e pure sulla scuola. Che non arriva a non avere più le risorse per comprare i beni di prima necessità. L’ultimo caso di “mala scuola” giunge da Palermo, dove la mamma di un alunno del plesso Mendelsshon, dell’istituto comprensivo Cruillas, ha raccolto il malcontento di tanti genitori, dando voce ai loro disagi. Preoccupata, la donna lamenta come, ad anno scolastico appena iniziato, arrivasse la richiesta di “cinquanta centesimi per comprare i pennarelli da utilizzare per la lavagna. Mi sembra assurdo – dice al Giornale di Sicilia - che una scuola non ne disponga. Inoltre in bagno mancano sempre la carta igienica e il sapone. I bambini non sanno dove asciugarsi le mani. Stessa cosa per i detersivi per pulire le aule e la struttura”. L’infelice situazione riguarda molte scuole del palermitano e sappiamo affliggere tantissimi istituti, anche del Centro e Nord Italia. Il problema dunque è nazionale.
In queste scuole, i fondi da impiegare nell’acquisto di materiale scolastico risultano spesso insufficienti e i genitori sono costretti a sobbarcarsi tali spese; il comune ha impiegato un milione di euro per manutenzione e acquisto di beni di prima necessità, ma evidentemente non bastano. La situazione si ripete da tempo, ha detto Barbara Evola: “ormai da molti anni il contributo volontario sopperisce ai numerosi e progressivi tagli ai fondi destinati alle scuole per il funzionamento, dalla carta igienica ai colori, dai detersivi al materiale di segreteria. Il diritto allo studio e al corretto funzionamento delle istituzioni scolastiche hanno dei costi che devono essere garantiti dallo Stato e non possono gravare sulle famiglie”.
Alla base, ci sono i tagli degli ultimi governi agli enti locali che si rifanno sulla sanità, sui trasporti, sui vari servizi di cui ogni cittadino dovrebbe usufruire. Anche, quindi, sulla scuola. Nello stesso periodo, nell’ultimo quinquennio, abbiamo anche assistito al forte ridimensionamento del Mof, il Miglioramento dell’offerta formativa, con cui il Miur finanzia le ore prestate per i progetti e le altre figure essenziali al funzionamento scolastico, anche per il recupero degli alunni a rischio abbandono. A tutto ciò si somma poi il basso investimento sull’istruzione rispetto al Pil che in Italia rimane tra i più bassi dei paesi moderni da troppi anni ormai. Secondo i dati Eurostat, Istituto statistico della Commissione europea, l’Italia si trova all’ultimo posto per la spesa pubblica destinata alla formazione tra i paesi dell’Unione Europea (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio dell’Unione Europea); la nostra Penisola, si trova inoltre al penultimo posto per gli investimenti destinati alla cultura, con l’1,4% a fronte del 2,1% medio Ue). Seguendo la percentuale sul Pil, la spesa dell’Italia investita nel settore dell’educazione è pari al 4,1% a dispetto del 4,9% medio dell’Unione Europea.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, “un Paese civile non può fare mancare quei servizi elementari che permettono a ogni studente la corretta partecipazione alle lezioni scolastiche: ci troviamo davanti all’illogicità in cui sono i genitori a rifornire le scuole di ciò che manca. È un diritto dei nostri figli trovare nel luogo pubblico di loro formazione, dove trascorrono gran parte dello loro giornate, la scuola, ciò di cui hanno bisogno. C’è una concezione, basata sulla divisione tra ciò che è pubblico e ciò che è privato: la scuola è il primo esempio lampante per i più piccoli di ciò che è pubblico e riguarda il fabbisogno generale, della collettività degli alunni. Tantomeno in questi tempi, in cui molte famiglie devono fare i conti con le ristrettezze economiche, i genitori non possono e non devono occuparsi di questo. È lo Stato – conclude il sindacalista Anief-Cisal - che deve far fronte alle esigenze dei suoi cittadini”.
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