Il decreto della Legge 107/15 sull’inclusione scolastica degli studenti con disabilità non salvaguarda i diritti dell’alunno. E nemmeno del docente specializzato. I motivi sono stati spiegati dall’Anief, durante le audizioni tenute al Senato e alla Camera dei deputati, e ribaditi a seguito delle crescenti proteste di questi ultimi giorni: l’insegnamento del sostegno è assegnato alla scuola, quindi alla classe, al pari degli altri componenti. E siccome l’alunno con disabilità è collocato in un gruppo-classe, è chiaro che è il Consiglio ad approvare la programmazione differenziata, come l’ammissione alla classe successiva: pertanto, o si bloccano tutti i membri del Consiglio stesso o si lede la continuità didattica. Essa infatti diventa un obiettivo impossibile da conseguire, perché significa che ogni docente non dovrebbe mai assentarsi per maternità, malattia o altro.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): il vincolo di dieci anni di permanenza dei docenti specializzati dopo l’immissione in ruolo non tiene conto di troppi aspetti. Ecco perché la continuità è un mito da sfatare. Poi c’è almeno un’altra incongruenza: se un docente insegna tre anni alle medie o cinque alla primaria o alle superiori, perché il vincolo sul sostegno è stato portato a dieci anni?
Sulla riforma del sostegno cade il mito della continuità didattica: il decreto legislativo della Legge 107/15 sulle norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità non salvaguarda infatti i diritti dell’alunno. E nemmeno quelli del docente specializzato. Lo ha detto, a chiare lettere, l’associazione sindacale Anief durante le audizioni tenute dinanzi alle commissioni parlamentari congiunte tenute a Palazzo Madama e alla Camera dei deputati.
Il concetto è semplice: l’insegnamento del sostegno è assegnato alla scuola, quindi alla classe, al pari degli altri componenti. E siccome l’alunno con disabilità è collocato in un gruppo-classe, è chiaro che è il Consiglio ad approvare la programmazione differenziata, come l’ammissione alla classe successiva: pertanto, o si bloccano per diversi anni tutti i membri del Consiglio stesso oppure si lede la continuità didattica, che diventa un obiettivo impossibile da conseguire, perché significa che ogni insegnante non dovrebbe mai assentarsi per maternità, malattia o altro. È inutile e demagogico pensare di garantirla legando il docente di sostegno al banco dell’alunno disabile, come vuole fare il Governo.
Perché, alla pari dei docenti su disciplina, all’inizio del nuovo anno scolastico, sempre che abbia mantenuto la stessa sede di servizio, nulla vieta che possa cambiare allievo; ammesso pure che il docente di sostegno mantenga l’affiancamento al medesimo allievo, c’è da ricordare che la programmazione educativa individualizzata, che ne definisce le modalità formative, dipende dalle indicazioni super partes provenienti dell’équipe medica e psico-pedagogica. Il Pei infatti, del resto, non è frutto del singolo docente, ma sempre e solo del Consiglio di Classe che periodicamente cambia volto e strategie da perseguire.
Stamane anche la stampa specializzata, la rivista Tuttoscuola, parla di “continuità didattica travisata” e spiega i motivi della sua “bocciatura totale” al progetto contenuto nell’Atto 378 ora all’esame delle commissioni parlamentari: i motivi del dissenso sono legati al fatto che il testo “pone l’accento, al di là della questione della continuità (che resta, comunque, prioritaria e che peraltro non è legata solo ai vincoli al trasferimento ma anche al tasso di precarietà, che andrebbe risolto riducendo l’esorbitante numero di “posti in deroga”), sulla necessità di un diverso approccio complessivo al problema dell’inclusione degli alunni con disabilità”.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, “il vincolo di dieci anni di permanenza dei docenti specializzati dopo l’immissione in ruolo, previsto dall’articolo 12 della Legge delega sul sostegno, non tiene conto di troppi aspetti. Ecco perché la continuità è un mito da sfatare. Poi c’è almeno un’altra incongruenza: se un docente insegna tre anni alle medie o cinque alla primaria o alle superiori, perché il vincolo sul sostegno è stato portato a dieci anni?”.
Sulla riforma del sostegno agli alunni disabili permangono anche altre riserve: il passaggio da 20 a 22 del numero di alunni per classe in presenza di alunni con disabilità gravi certificato; l’alto rischio che un alunno disabile di terza media possa conseguire, in luogo del titolo di studio, un semplice attestato di frequenza; la mancata presa in carico del dato nazionale sugli oltre 40mila posti, su 140mila, che ogni anno devono andare in deroga fino al 30 giugno, a causa di una legge, la 128/2013, che non si riesce a cancellare. Se si vuole davvero migliorare il comparto del sostegno e fornire maggiori garanzie ai 240mila alunni con disabilità o limiti da apprendimento, non si possono ignorare questi aspetti.
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