Maria Luisa Gnecchi, capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Lavoro, parlando del decreto approvato alla Camera per la riforma delle pensioni, ha chiesto ai colleghi parlamentari di lavorare tutti insieme - Camera, Senato e Governo - per correggere le attuali distorsioni del sistema.
Come se non bastasse l’accesso ritardato alla pensione, i nuovi sistemi di calcolo – l’entrata a regime del ‘contributivo’ al posto del più favorevole ‘retributivo’ - porteranno assegni di quiescenza sempre più bassi. In certi casi ridicoli, perché davvero vicino alla pensione sociale. Si tratta di una vera ingiustizia, perché ai contributi versati non corrisponderà il relativo assegno di pensione. E per sanarla si sta facendo largo l’ipotesi di introdurre un’altra ingiustizia: la decurtazione della pensione, anche con penalizzazioni a due cifre.
Marcello Pacifico (presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal): la situazione diventa insostenibile in certi comparti di lavoro, particolarmente stressanti, dove seppure imperversino le patologie da burnout, come nella scuola, dove è a rischio la salute di mezzo milione di donne, nel volgere di qualche lustro ci ritroveremo un corpo insegnanti con percentuali altissime di ultra-sessantenni. Siamo addirittura arrivati a penalizzare gli assegni di pensione in essere, cui è stato negato l’adeguamento all’inflazione. Una vicenda che ha prodotto la nota sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015, solo parzialmente recepita dal Governo. Anche in questo caso, la strada del ricorso è l’unica percorribile.
È giunto sui banchi del Parlamento il malcontento per l’eccessiva elevazione dei requisiti per andare in pensione. A chiedere un intervento legislativo celere, per riparare i danni prodotti dalla riforma Monti-Fornero, è stata in queste ultime ore l’on. Maria Luisa Gnecchi, capogruppo del Pd nella Commissione Lavoro, che parlando del decreto approvato alla Camera per la riforma delle pensioni, ha chiesto ai colleghi parlamentari di lavorare “tutti insieme Camera, Senato e Governo” per “correggere le attuali distorsioni del sistema che, senza nessun intervento, permetterebbe a quasi tutte le donne di andare in pensione solo a 70 anni”.
Uno dei comparti lavoratovi particolarmente penalizzato dall’eccessiva richiesta di anni di copertura previdenziale e innalzamento dell’età anagrafica è proprio la scuola. Dove oltre l’80 per cento di dipendenti sono donne. Le stesse donne che sino agli anni Novanta potevano lasciare il lavoro con 35 anni di contributi e 57 di età (raggiungendo l’allora ‘Quota 92’), senza particolari decurtazioni, sono destinate a rimanere al lavoro sino alle soglie dei 70: per accedere alla pensione di vecchiaia, già quest’anno occorreranno 66 anni e 3 mesi; il prossimo anno e sino a tutto il 2018, nel pubblico impiego il limite imposto diventerà di 66 anni e 7 mesi; nel 2019 si passerà a 66 anni e 11 mesi. La “stretta” non ha risparmiato la pensione anticipata: oggi, sempre per le donne, bisogna aver accumulato qualcosa come 41 anni e 6 mesi di anzianità contributiva. E anche questo tetto “minimo” di requisiti è destinato a crescere, assieme all’aspettativa di vita.
Come se non bastasse l’accesso ritardato alla pensione, i nuovi sistemi di calcolo – l’entrata a regime del ‘contributivo’ al posto del più favorevole ‘retributivo’ - porteranno assegni di quiescenza sempre più bassi. In certi casi ridicoli, perché davvero vicino alla pensione sociale. Si tratta di una vera ingiustizia, perché ai contributi versati non corrisponderà il corrispondente assegno di pensione. E per sanarla si sta facendo largo l’ipotesi di introdurre un’altra ingiustizia: la decurtazione della pensione, anche con penalizzazioni a due cifre.
Il sindacato ritiene che non si può stare più a guardare di fronte a questa escalation di norme a peggiorare. “Tutto nasce – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal – dal mancato rispetto dell’uniformità retributiva, poiché la pensione non è altro che una retribuzione differita. Ricordiamo che nel pubblico impiego sino a qualche anno fa la somma tra età anagrafica e contributi versati e utili era di 96 anni; fra qualche anno sarà 120, forse anche più. Con casi estremi di 50 anni di contributi e ben oltre i 70 anni di età, considerato che si accede ormai alla professione solo da trentenni. È un’assurdità, contro cui non possiamo rimanere inermi”.
“La situazione diventa insostenibile in certi comparti di lavoro, particolarmente stressanti, dove seppure imperversino le patologie da burnout, comenella scuola, dove è rischio la salute di mezzo milione di donne, nel volgere di qualche lustro ci ritroveremo un corpo insegnanti con percentuali altissime di ultra-sessantenni. I governi che si susseguono continuano a giustificare questo stato di cose con la crisi economica da record e perdurante. Ma la crisi, ribattiamo noi, c’è per tutti i Paesi: allora – conclude Pacifico -, perché in Germania gli insegnanti hanno ancora diritto all’assegno di quiescenza con soli 27 anni di contributi e senza alcuna decurtazione sull’assegno?”.
In Italia, siamo addirittura arrivati a penalizzare gli assegni di pensione in essere, cui è stato negato l’adeguamento all’inflazione. Una vicenda che ha prodotto la nota sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015, solo parzialmente recepita dal Governo. Anche in questo caso, la strada del ricorso è l’unica percorribile, per recuperare il 100 per cento della perequazione per assegni superiori a 1.500 euro. Perché il Governo restituisce come una tantum, per il solo 2012/2013, dal 40 per cento al 10 per cento degli aumenti bloccati indicizzati all’inflazione, dimenticando pure gli assegni superiori a 3.000 euro e gli anni a seguire. Dal 2016, invece, si avranno sull’assegno di quiescenza appena 15 euro mensili e solo per la fascia più bassa rispetto ai 98 dovuti. La verità è che la rivalutazione delle pensioni doveva essere reale e retroattiva, come ha indicato la Corte Costituzionale, che ha di fatto annullato integralmente il blocco sulle indicizzazioni senza fare alcuna distinzione tra i diversi redditi.
Il danno economico dei pensionati coinvolti è alto: dai calcoli del sindacato risulta che gli arretrati spettanti ai pensionati arrivano a superare i 5mila euro. E la perdita annuale, a regime, i 2mila euro. Anche coloro che percepiscono una fascia di reddito di 1.700 euro, ad esempio, si ritroveranno, anche dopo l’una tantum percepita, a perdere 2.959. E oltre 1.000 come differenza annuale a regime. Per questi motivi, Anief con Cisal, Confedir e Radamante, hanno deciso di impugnare il decreto legge del Governo davanti alla Consulta: il contenzioso punta a sbloccare il recupero delle somme spettanti.
Adesioni entro il 15 Settembre 2015 al seguente link
Scarica il modello di diffida.
Per informazioni, scrivici oppure contatta il sindacato/la confederazione di appartenenza: i rimborsi partono da 3.000 euro di arretrati e 1.000 euro annui ulteriori a regime per assegni di 1.700 euro.
La tabella elaborata dall’Ufficio Studi Anief sul danno economico prodotto ai pensionati a seguito della decisione presa dal CdM il 18 maggio di attuare solo lo spirito della sentenza della Consulta 70/2015.
Esempio di fascia |
Assegno percepito * |
Assegno spettante * |
Arretrati spettanti * 2012/14 |
Una Tantum Decreto |
Differenza a credito |
Anno 2015 |
Totali arretrati spettanti |
Aumento spettante anno 2016 |
Aumento concesso anno 2016 |
Differenza spettante mensile |
Differenza annuale a regime |
1 |
1.700 |
1.821 |
2.439 |
754 |
1.685 |
1.274 |
2.959 |
98 |
15 |
83 |
1.079 |
2 |
2.200 |
2.347 |
2.584 |
464 |
2.120 |
1.612 |
3.732 |
124 |
8 |
116 |
1.508 |
3 |
2.700 |
2.865 |
3.068 |
278 |
2.790 |
1.898 |
4.688 |
146 |
5 |
141 |
1.833 |
4 |
3.000 |
3.176 |
3.333 |
0 |
3.333 |
2.054 |
5.387 |
158 |
0 |
158 |
2.054 |
Per approfondimenti:
Trattamenti pensionistici e beneficiari: un'analisi di genere - ISTAT
Pensioni, potere d'acquisto in caduta libera (‘Corriere della Sera’ del 16 febbraio 2013)
Istat, al 41% dei pensionati meno di mille euro al mese (‘La Repubblica’ del 5 dicembre 2014)
Pensioni, ecco che cosa cambierà (‘Corriere della Sera’ del 7 dicembre 2014)
Pensioni: il Governo promette soluzioni per Quota 96, ma nell’attesa siamo arrivati a Quota 103
Riforma pensioni: pensionamento a 62 anni con 35 anni di contributi (‘Orizzonte Scuola’ del 19 marzo 2015)
Riforma Pensioni, Poletti svela le due proposte allo studio del Governo (‘Pensioni Oggi’ del 15 maggio 2015)
Pensioni – Il decreto del CdM sulle pensioni è illegittimo: l’unica strada è il ricorso
Riforma pensioni: donne in pensione a 70 anni senza interventi (‘Orizzonte Scuola’ del 2 luglio 2015)
Scheda di approfondimento ANIEF (a cura della segreteria nazionale).
Pensioni: cosa cambia.
Nuove regole per l’accesso alla pensione previste dalla Legge 214/2011.
I nuovi requisiti per conseguire la pensione di anzianità e la pensione anticipata, dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015 sono i seguenti:
Pensione di vecchiaia per uomini e donne con almeno 20 anni di contributi
66 anni e 3 mesi entro il 31 dicembre 2015
Pensione anticipata:
per le donne, 41 anni e 6 mesi di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2015;
per gli uomini, 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2015.
Il Decreto Ministeriale 886 del 1 dicembre 2014 ha determinato al 17 Gennaio 2015 il termine ultimo per la presentazione delle domande di dimissioni volontarie dal servizio ai fini del pensionamento per il personale della scuola (docenti/educatori e ATA). Per i dirigenti scolastici il termine per la presentazione delle istanze è il prossimo 28 febbraio.
Con la Legge 23.12.2014 n. 190, G.U. 29.12.2014, vengono cancellate le penalizzazioni per chi va in pensione anticipata entro il 2017 con meno di 62 anni di età.
Attraverso l’emendamento alla Legge di Stabilità 2015, le penalizzazioni non vengono applicate sui trattamenti pensionistici di coloro i quali maturano i requisiti contributivi per la pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017. Di conseguenza, anche nel caso in cui non si raggiunga il requisito anagrafico precedentemente fissato i 62 anni di età, si potrà accedere, fino al 31 dicembre 2017 alla pensione anticipata senza alcuna decurtazione e penalizzazione.
E’ di fondamentale importanza precisare che l’esclusione della penalizzazione può ritenersi valida esclusivamente nel caso in cui i 42 anni e 6 mesi di contributi versati derivino da peridi di contribuzioni riconducibili a prestazioni effettive di lavoro, ritenendo utili all’elaborazione del calcolo i periodi di astensione dal lavoro quali maternità, obblighi di leva.
I periodi di astensione dal lavoro che non sono computabili ai fini del calcolo della penalizzazione sono riconducibili a contribuzione relativa aCGI ordinaria, congedi parentali, congedi per donazione di sangue ed emocomponenti, malattia, maternità obbligatoria, servizio militare, contributi versati nella gestione separata, contributi versati come artigiani, commercianti e coltivatori diretti, contributi versati come lavoratori dipendenti, ferie, riscatto di periodi di lavoro all’estero.
Le astensioni dal lavoro che invece prevedono la penalità sono quelle che riguardano la CGI straordinaria, la mobilità, periodi in cui si percepisce assegno di invalidità, contribuzione figurativa per persecuzione politica o razziale, Tbc, vittime del terrorismo, riposi giornalieri per allattamento, congedi matrimoniali, riscatto contratti part time, riscatto laurea, periodi di inattività o di lavoro discontinuo, riscatto di periodi senza obbligo contributivo, riscatto di periodi di studio per inserimento lavoro, contributi volontari nella gestione separata, congedo biennale retribuito per assistere portatori di handicap grave per disabilità e tutti gli altri periodi di contribuzione figurativa.
Questi i requisiti necessari per il diritto al pensionamento dal 1° settembre 2015.
Requisiti posseduti al 31 dicembre 2011 ante Legge 214/11 (Fornero)
Vecchiaia
65 anni di età anagrafica – requisito per uomini e donne
61 anni di età anagrafica – requisito di vecchiaia facoltativo esclusivamente per le donne
Anzianità
40 anni di contribuzione – requisito della massima anzianità contributiva
Quota
60 anni di età e 36 anni di contribuzione – quota 96
61 anni di età e 35 anni di contribuzione – quota 96
Per raggiungere la “quota 96” si possono sommare ulteriori frazioni di età e contribuzione (esempio: 60 anni e 4 mesi di età anagrafica con 35 anni e 8 mesi di contribuzione).
Opzione lavoratici dipendenti
Con la nuova normativa previdenziale rimane in vigore l’art. 1 comma 9 della L. n. 243/2004 che, in via sperimentale fino al 31.12.2015, dà la possibilità di conseguire il diritto a pensione di anzianità alle lavoratrici dipendenti con 35 anni di contribuzione e 57 anni di età, solo a seguito di opzione per la liquidazione del trattamento pensionistico mediante il sistema di calcolo contributivo a condizione che la decorrenza del trattamento pensionistico si collochi entro il 31.12.2015. Nei confronti di queste lavoratrici, continua a trovare applicazione la disciplina delle decorrenze (c.d. finestre) e trovano applicazione le disposizioni in materia di adeguamento alla speranza di vita.
Pertanto, il requisito anagrafico (57 anni) dal 1° gennaio 2013 sarà incrementato di tre mesi, 57 anni + 3 mesi (circolare INPS, Direzione Generale – n. 37 del 14.03.2012).
Inoltre, il comma 7 dell’art. 24 della legge n. 214/2011 fa salva la facoltà dei lavoratori che possono far valere al 31.12.1995 un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni, di optare per la liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le regole del sistema di calcolo contributivo, a condizione che, al momento dell’opzione, abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 15 anni di cui almeno 5 nel sistema medesimo. Nel contempo, però, stabilisce che i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata non sono quelli previsti nel regime contributivo, bensì quelli introdotti dal medesimo art. 24 e previsti per i lavoratori con anzianità contributiva al 31.12.1995, precedentemente illustrati.
Al momento la decorrenza del trattamento pensionistico aveva come data ultima per poter accedere all’opzione donna, quella del 31 dicembre 2015. Con le novità introdotte dall’ultima legge di stabilità si dovrebbe fare in modo che la data del 31 dicembre 2015 sia fissata per il raggiungimento dei requisiti e non per la decorrenza del trattamento. “Una interpretazione restrittiva dell’INPS fissava al 31 dicembre 2015 la decorrenza del trattamento pensionistico invece della maturazione del requisito. E’ da tempo che stiamo aspettando questa correzione che dovrebbe essere pacifica e condivisa”.