Il sistema di calcolo, atteso da 20 anni e che nel 2016 sarà accessibile a 23 milioni e mezzo di dipendenti, permetterà al lavoratore di individuare il proprio conto contributivo. Il problema è che la “stretta” su requisiti di accesso e assegno di quiescenza produrrà effetti devastanti: anche chi lascerà con 40 anni di lavoro, nella maggioranza dei casi andrà in pensione con la metà e anche meno dell’ultimo stipendio. La beffa è dovuta al fatto che il sistema contributivo attuale prevede un’incidenza sull’accontamento previdenziale decisamente più sfavorevole al lavoratore rispetto ai modelli pensionistici precedenti. Negli altri Paesi, però, si continuano a percepire pensioni dignitose.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): non dimentichiamo che circa quasi tre milioni di dipendenti statali si ritrovano con gli stipendi bloccati da sei anni e così sarà fino al 2019. E che quelli della scuola, dopo un fermo di stipendio decennale, riceveranno appena 5 euro come indennità. Intanto, i ‘Quota 96’ rimangono bloccati in servizio: ora serve anche un censimento. Ci rendiamo conto che il rispetto per il lavoratore e per la sua dignità umana è ormai sceso sotto il livello di guardia?
Il ddl Damiano, al vaglio in questi giorni della Commissione Lavoro alla Camera, prevede flessibilità in uscita permettendo il pensionamento già a 62 anni con 35 anni di contributi e penalizzazioni dell’8% (una sorta di quota 97) sull’assegno pensionistico, già ridotto all’osso: per più di quattro pensionati su dieci l'assegno non arriva neppure a mille euro al mese. Nel comparto istruzione la situazione è da allarme rosso: turn over ridotto ai minimi termini, pur con l’età media dei docenti ormai più alta di tutti.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): da quota 96 si sta andando verso quota 120 e forse più. È inammissibile, ancora oggi in Germania si ha diritto all’assegno di quiescenza con soli 27 anni di contributi e senza riduzioni. E non dimentichiamo che in Italia si continua a violare il principio della parità retributiva, anche perché lo Stato paga soltanto contributi figurativi, mentre trattiene una quota nelle buste paga per corrispondere le pensioni. Noi, però, non ci stiamo.
Per sanare il problema non bastano le rassicurazioni fornite nelle ultime ore dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, secondo cui l'operazione di confluenza dell'Inpdap nell'Inps sta avvenendo senza problemi perché “la previdenza legata ai dipendenti pubblici è a carico dello Stato”. Lo stesso neo presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha ammesso che appena il suo ruolo diventerà operativo si metterà alla ricerca di fondi per salvare esodati e Quota 96 della scuola.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): non si può pensare di mandare in pensione i giovani con meno del 50 per cento dell’ultimo stipendio: una busta paga, tra l’altro, già penalizzata, nel caso degli statali, da lunghi blocchi contrattuali. Lo Stato si deve mettere in testa di finanziare l’ente previdenziale con soldi veri, non più figurativi. Non si può pensare di fare cassa con chi ha lavorato tutta una vita.
Imminente il decreto Mef-Ministero del Lavoro che dal primo gennaio 2016 posticiperà ulteriormente l’età pensionabile: colpa di una norma approvata dall’ultimo Governo Berlusconi che prevedeva il ritocco di età e requisiti con cadenza triennale, sulla base delle nuove speranze di vita rilevate dall’Istat. Nel 2013 il salto in avanti fu di tre mesi, ora se ne farà uno ancora più lungo. Nel comparto istruzione, intanto, potrebbero lasciare il servizio oltre 30mila docenti e Ata, più del doppio della scorsa estate: ma molti decideranno solo all’ultimo momento, c’è tempo fino al 15 gennaio, per via della decurtazione tutta italiana dell’assegno anche del 25-30%.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): in Italia la normativa sulle pensioni sta diventando insostenibile, nell’ultimo quinquennio, le riforme sulla quiescenza hanno allungato di dieci anni l'età pensionabile. Così, dal 2050, i neo-assunti potranno andare in pensione dopo 70 anni o 46 anni e mezzo di contributi. Ci mancava questa delega, strappata dall'ex ministro Tremonti, che autorizza la presidenza del Consiglio dei Ministri ad agire autonomamente. Come sindacato non staremo comunque a guardare.
Non si tratta di una concessione, perché la scuola costituisce per legge un’eccezione nel panorama del comparto pubblico, spostando al 31 agosto dell’anno successivo le scadenze che per gli altri settori statali sono fissate al 31 dicembre. Tra l’altro i soldi verrebbero in larga parte recuperati dall’assunzione di giovani dipendenti che percepiscono in media il 30% in meno dei 4mila da mandare in pensione. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): non ci sono ragioni che possano giustificare il no della Ragioneria dello Stato. I 400 milioni di euro necessari vanno trovati. Altrimenti spetterà alle Corte dei Conti ricondurre le cose sul binario giusto, con lo Stato condannato anche a risarcire i dipendenti vessati.
All’indomani dell’ennesima opposizione da parte della Ragioneria Generale dello Stato ad individuare le coperture finanziarie per permettere a 4mila lavoratori della scuola, i cosiddetti "Quota 96", di liberarsi dalla trappola della riforma Fornero, Anief torna a chiedere pubblicamente al Governo di applicare per loro la clausola sulla riforma delle pensioni. Non si tratta di una concessione: la scuola, infatti, ha da sempre costituito un’eccezione nel panorama del comparto pubblico, spostando al 31 agosto dell’anno successivo le scadenze che per gli altri settori statali sono fissate al 31 dicembre. E queste unità di personale hanno iniziato l’anno scolastico 2011/12 presentando regolare domanda di pensionamento, salvo rimare “incastrati” a seguito dell’approvazione dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214.
“Sulla ‘dimenticanza’ del legislatore si sono detti tutti d’accordo, anche i parlamentari delle commissioni Cultura di entrambi i rami del Parlamento – ricorda Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – ma poi alla resa dei conti le norme speciali, come quella che esiste per i lavoratori della scuola, vengono sistematicamente schiacciate dalle esigenze ragionieristiche dello Stato”.
Tra l’altro, c’è da ricordare alla stessa Ragioneria statale che nella scuola il personale a fine della carriera viene sostituito da neo-assunti la cui retribuzione è decisamente inferiore. Pertanto, sarebbero proprio gli stipendi inferiori, in media del 30%, a coprire in larga misura i maggiori esborsi dovuti al pagamento delle pensioni del personale collocato in pensione con i requisiti pre-Fornero.
Deve essere chiaro, inoltre, che la deroga da adottare per coloro che raggiungono la fatidica quota 96 (sommando età anagrafica e anni di contributi previdenziali) al 31 dicembre 2012, permetterebbe ai circa 4mila dipendenti coinvolti di poter semplicemente esercitare un loro diritto. Solo nella scuola, dove anche un bambino capirebbe i motivi per cui i conteggi vanno fatti per anno scolastico e non solare, è accaduto che il personale abbia iniziato a lavorare a settembre sicuro di andare in pensione per poi apprendere che le norme erano cambiate in itinere. Cambiate, però, violando diversi articoli costituzionali, nonché l’art. 6 della Cedu.
“In questo contesto – continua Pacifico – non ci sono ragioni, nemmeno finanziarie, che possano giustificare il no della Ragioneria dello Stato. I 400 milioni di euro necessari vanno trovati. Altrimenti, saranno ancora una volta gli eventi giudiziari a condurre le cose sul binario giusto. Con le Corti dei Conti, cui il sindacato ha presentato i contenziosi dei ricorrenti della scuola, che libereranno i ‘Quota96’ e condanneranno lo Stato a pagamenti cospicui dovuti anche al danno esistenziale procurato a 4mila suoi dipendenti”.