Sbaglia il Ministro a minimizzare la quantità di lavoratori non di ruolo coinvolti: dal 2001 sono state conferite più di un milione e mezzo di supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche su posti liberi, a fronte di 300mila pensionamenti ma soprattutto di appena 250mila immissioni in ruolo. Per questo motivo, il numero di coloro che hanno lavorato su posti liberi per oltre 36 mesi è molto alto. Ma lo Stato italiano è in grado di dare seguito a quanto deciso in merito nelle aule di tribunale: ha infatti preventivamente previsto 150mila assunzioni da attuare entro i prossimi 10 mesi.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): gli interessati a quanto stabilito il 26 novembre dalla Suprema Corte UE sono coloro che hanno sottoscritto almeno quattro supplenze annuali ed hanno tutte le ragioni per rivolgersi al giudice del lavoro, a cui chiedere anche il risarcimento danni per abuso dei contratti a termine. Il Governo già si aspettava questo esito. Ora è chiamato ad integrare questa “copertura”.
Chi cerca di minimizzare il numero dei precari interessati dalle conseguenze della storica sentenza emessa mercoledì scorso dalla Corte di Giustizia europea commette un’operazione che non porta ad alcun risultato: il numero di lavoratori hanno prestato più di 36 mesi di servizio nella scuola su posti vacanti, senza supplire alla temporanea assenza di un collega di ruolo, non sono di certo le poche migliaia cui si è riferito in questi giorni il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini.
La verità è che la sentenza di Lussemburgo riguarda oltre 250mila precari della Scuola, tra personale docente e Ata. Perché negli ultimi tredici anni le immissioni in ruolo sono state appena 250mila, a fronte di un milione e mezzo di supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche su posti liberi, oltre che di 300mila pensionamenti. Pertanto, le 150mila assunzioni previste dal piano della ‘Buona Scuola’ del Governo, già incluse nell’art. 3 della Legge di Stabilità ora all’esame del Senato, sono insufficienti: rimangono fuori dal programma di assunzioni almeno 60mila docenti abilitati dopo il 2011, a tutti oggi fuori dalle GaE, e 40mila amministrativi, tecnici e ausiliari la cui presenza negli istituti scolastici è determinante ai fini dell’organizzazione, del supporto, della sorveglianza e della pulizia.
“Ad essere interessati alla sentenza sono in realtà tutti coloro che hanno sottoscritto quattro supplenze annuali, almeno fino al 30 giugno dell’anno successivo, l’ultima anche in corso di svolgimento – sottolinea Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir -: possono rivolgersi al giudice del lavoro, a cui chiedere la stabilizzazione e il relativo risarcimento danni per l’abuso dei contratti a termine. Del resto, i giudici della Corte europea sono stati chiarissimi: i supplenti vanno assunti perché fatti operare nello Stato per lunghi periodi a tempo determinato, senza alcuna ragione sostitutiva, perché in servizio su posti vacanti e disponibili”.
“Tale comportamento, che applica la Legge 106/2011, ha detto la suprema Corte, è palesemente in contrasto con la direttiva europea 1999/70/CE. Ora, però, siccome lo Stato italiano sapeva bene i rischi a cui andava incontro a seguito della sentenza – continua il sindacalista Anief-Confedir – ha ben fatto a prevedere, attraverso la Legge di Stabilità, nei prossimi giorni all’esame di Palazzo Madama, un miliardo di euro per l’immissione in ruolo di quasi 150mila docenti da attuare entro l’inizio del prossimo anno scolastico. E altri miliardi per gli anni a seguire. Da finanziare, quindi, rimangono circa 100mila assunzioni: non è poco. Ma, a giochi fatti, oltre la metà del piano di stabilizzazione nella scuola può contare su dei fondi già stanziati. Quindi, sbaglia chi dice che lo Stato italiano non è in grado di dare seguito a quanto deciso nelle aule di tribunale sul fronte delle assunzioni”.
Oltretutto, la sentenza della Corte di Giustizia europea, come già rilevato da esperti e giuristi durante il convegno Anief svolto a Palazzo Marini, va allargata a tutto il pubblico impiego: “perché tra i punti della sentenza UE vi è l’accordo quadro sui lavori a tempo determinato, così come disciplinato dalla direttiva 1999/70/CE, recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 368/2001, che – sottolinea il presidente Pacifico - non prevede alcuna distinzione tra il lavoro pubblico e privato. Né, tantomeno, tra i vari settori della pubblica amministrazione”.
“Solo che lo Stato italiano è intervenuto più volte, ben 34, per derogare a questa norma. Bloccando, di fatto, la sua adozione in tutta la PA: non solo nella scuola, ma anche in altri comparti, come nella Sanità con il decreto Balduzzi, il legislatore ha sempre creato norme ad hoc per eludere le indicazioni europee. Ora, però, è evidente che se i giudici hanno dato torto all’Italia per la scuola, questa decisone avrà un riflesso per tutta la pubblica amministrazione. A cominciare da sanità, regioni ed enti locali”.
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