Il gap tra i due modelli di revisione del sistema scolastico italiano non è da poco: se fosse riuscito a portarlo a termine, l’ultimo Governo Berlusconi avrebbe fatto accedere al merito 70mila docenti in più rispetto a quanto si vorrebbe fare oggi. La responsabilità è anche dei sindacati che nel 2011 si piegarono alla riforma in cambio della proroga della rappresentatività sindacale e del rinvio delle elezioni RSU.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è una cifra considerevole, soprattutto in regime di lungo blocco contrattuale come quello che stiamo vivendo e che potrebbe durare fino al 2017, come si legge nell’ultima Finanziaria, se è vero che i valori dell’indennità di vacanza contrattuale saranno ancorati fino a quella data ai valori del 2009 senza possibilità di recupero. Il sindacato non è di fondo contrario alla ‘carriera’ dei docenti, ma deve essere determinata attraverso criteri obiettivi e trasparenti con adeguate risorse nelle leggi di stabilità senza ricorrere a nuovi tagli e risparmi, e con aumenti minimi per tutti legati all’aumento del costo della vita. È impensabile che siano i soli dirigenti scolastici a stabilire chi e perché debba avere accesso a questi incentivi, in assenza di una riforma che si occupi anche della valutazione del loro operato.
La riforma della Scuola che vorrebbe attuare il Governo Renzi è più selettiva di quella prospettata nel 2011 dall’allora ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, il quale prevedeva l’accesso agli aumenti stipendiali per merito al 75% dei dipendenti pubblici. Dallelinee guida presentate in questi giorni dall’Esecutivo in carica, denominate “La Buona Scuola”, si legge (a pagina 53) che invece “periodicamente, ogni tre anni, due terzi (66%) di tutti i docenti di ogni scuola (o rete di scuole) avranno diritto ad uno scatto di retribuzione. Si tratterà del 66% di quei docenti della singola scuola (o reti di scuole) che avranno maturato più crediti nel triennio precedente”.
Una differenza non da poco: “con appena due docenti su tre da premiare – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - l’attuale Governo si dimostra più duro di quello dell’ex ministro Brunetta, che, con la sua riforma, avviata con l’atto di indirizzo sottoscritto all’Aran il 18 febbraio 2011, prevedeva premi di merito da assegnare al 75% di lavoratori prescelti, quindi a tre docenti su quattro ma a condizioni di ulteriori tagli e risparmi nel settore. Quasi il 10% in più di quelli indicati oggi. Significa che a fronte di oltre 700mila docenti di ruolo, tanti dovrebbero diventare tra un anno quando saranno assunti i 150mila precari previsti nelle stesse linee guida di Renzi per non essere condannati dall’Europa, saranno quasi 70mila i docenti a cui lo stipendio non “scatterà”: una cifra importante. Soprattutto perché nella scuola gli scatti sono l’unica forma di carriera. E perché lo stipendio è fermo ai valori del 2009, 4 punti sotto l’inflazione. Con la prospettiva che possa rimanere ‘congelato’ anche sino alla fine del 2017”.
“In pratica – continua il sindacalista Anief-Confedir –, se fosse stata approvata fino in fondo la riforma Brunetta, questa avrebbe previsto molti docenti in più da premiare rispetto all’attuale Governo. Una differenza importante, che sino ad oggi nessun sindacato ha denunciato. A tal proposito, va ricordato che la riforma Brunetta non sarebbe mai stata approvata senza il consenso di quei sindacati Confederali che oggi, ipocritamente, puntano i piedi contro Renzi”. Gli stessi sindacati che nell’applicarla hanno garantito il pagamento degli scatti nel triennio 2010-2012, riducendo il MOF di due terzi e consentendo la cancellazione di 50mila posti di lavoro, sempre però 4 punti percentuali sotto l’inflazione.
Ma ci sono anche altri punti che l’attuale staff del premier dovrebbe perlomeno approfondire. Ad iniziare dal fatto che, sempre nel decreto di riforma Brunetta del febbraio 2011, era previsto che gli insegnanti per arrivare ai premi (riferiti a tutto l'anno scolastico), avrebbero dovuto raggiungere, c’era scritto nel decreto, “dei risultati di apprendimento declinati nelle indicazioni nazionali per il primo e il secondo ciclo, del contesto di riferimento socio-culturale nel quale l'istituzione scolastica opera e del piano dell'offerta formativa”. Anief ha sempre reputato questi aspetti, ad iniziare dal contesto socio economico di collocazione della scuola, determinanti nel valutare l’operato di chi siede dietro la cattedra, a tal punto da nutrire seri dubbi sull’utilizzo dell’Invalsi per la valutazione dei docenti. E la riforma in atto dovrà necessariamente tenerli in debita considerazione.
Sull’assegnazione o meno del merito, c’è poi da comprendere chi sarà deputato ad individuare quali docenti dovranno accedervi. “Premesso che il sindacato non è di fondo contrario alla ‘carriera’ dei docenti – spiega Pacifico – va comunque garantito che si venga a determinare attraverso dei criteri obiettivi e trasparenti. Ed in ogni caso, non si può pensare che siano i dirigenti scolastici a stabilire chi e perché debba avere accesso agli incentivi. Non dimentichiamoci che si tratta di quegli stessi dirigenti che a tutt’oggi non è possibile rimuovere dall’incarico, pure in caso di grave inadempienza o di mancato raggiungimento dei risultati previsti”.
Per approfondimenti:
Teleborsa - Marcello Pacifico commenta la riforma della scuola di Renzi