Il Governo ha messo 4,3 miliardi per gli aumenti dello stipendio di 3 milioni di dipendenti e dirigenti pubblici, ma per colpa della mancata firma da parte delle confederazioni sindacali dell'accordo sul rinnovo della rappresentatività non possono essere assegnati, nemmeno i cento euro mensili aggiuntivi promessi nell'accordo di Palazzo Chigi al personale della scuola. Domani, in ARAN potrebbe sbloccarsi tutto se il suo presidente metterà ai voti l'ipotesi di CCNQ.
Da una parte alcune confederazioni della dirigenza rifiutano di accettare il passaggio dall'area della dirigenza delle funzioni locali a quella medica dei dirigenti amministrativi della sanità, dall'altra altre confederazioni che hanno perso deleghe e voti alle ultime elezioni RSU con parecchie richieste di modifica si rifiutano di firmare gli accordi proposti dall'ARAN, peraltro uguali a quelli precedenti nel merito. Risultato? Il CCNQ non si firma e all'ARAN si dovrà andare alla conta per attribuire agli statali le risorse finanziate dalla legge di stabilità, prima che il MEF le congeli per evitare la procedura d'infrazione. Il 26 giugno potrebbe essere il giorno del voto.
LA STORIA
Dopo un decennio di Governi allineati a stanziare cifre vicine allo zero per l’istruzione e tutto il comparto pubblico, ha dell’incredibile la freddezza con cui certi sindacalisti trattano i finanziamenti già approvati con l’ultima Legge di Stabilità a favore degli statali: le somme rappresentano una buona base, perché pari a 1,1 miliardi di euro per l’anno solare in corso, che salgono a 1,4 miliardi nel prossimo, per poi arrivare a circa 1,8 miliardi a regime. Per arrivare al rinnovo contrattuale, però, è indispensabile sottoscrivere il CCNQ su aree, comparti e rappresentanza: solo che l’Aran convoca e alcune rappresentanze sindacali prendono solo tempo. Siamo già al quarto incontro in un mese.
Marcello Pacifico (Anief): “Proprio domani, mercoledì 26 giugno, le Confederazioni sindacali con il voto sull'ipotesi di CCMQ hanno la possibilità concreta di certificare all’Aran la nuova rappresentatività, aprendo così le porte alla sottoscrizione del contratto collettivo nazionale di categoria, e mettendo così la parola fine ad un atteggiamento ostruzionistico che non conduce da nessuna parte. Se non lo faranno, dovranno assumersi la responsabilità di spiegare il motivo a più di tre milioni di dipendenti e dirigenti pubblici, ad iniziare da quelli della scuola che percepiscono stipendi ben al di sotto dell’inflazione e della media Ocse, praticamente dimezzati rispetto a diversi paesi dell’Unione europea, pur arrivando a lavorare più ore settimanali”.
Gli attuali rapporti Governo-sindacati sembrano avere ribaltato i ruoli tradizionali, con una parte dei rappresentanti dei lavoratori che anziché adoperarsi per difendere gli interessi degli iscritti pensano soltanto ai privilegi della propria organizzazione sindacale rifugiandosi in un insolito atteggiamento attendista o persino di ostruzionismo, certamente pretestuoso. Nell’anno in cui il Parlamento italiano approva una legge di stabilità con oltre 4 miliardi di euro per adeguare gli stipendi dei dipendenti pubblici, i sindacati maggiori, attraverso le Confederazioni, sembrano disinteressati al rinnovo del contratto e mantengono una linea conservatrice per raggiungere non si comprende quale obiettivo se non quello dei privilegi esistenti nonostante il risultato elettorale e la volontà del legislatore.
IL COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF
“In pratica – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, presente a tutte le convocazioni dell'ARAN, in qualità di segretario organizzativo della Confedir e confederale della Cisal – il Governo al primo anno in carica riesce a trovare nella Legge di Stabilità un’importante tranche di soldi per attuare gli aumenti stipendiali, ma alcune Confederazioni si oppongono allo stanziamento effettivo, assumendo un atteggiamento oppositivo alla definizione del contratto quadro sulla rappresentatività. È la prima volta che accade che si trovino i finanziamenti a ridosso della scadenza di un contratto collettivo nazionale del comparto Scuola, avvenuta lo scorso 31 dicembre, ma i sindacati non fanno tesoro di questa possibilità”.
A questo proposito, lo stesso ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, nel giorno dell'accordo di Palazzo Chigi del 24 aprile scorso, forte anche degli stanziamenti pubblici già approvati, si era impegnato ad incrementare la retribuzione di un milione di insegnanti ed Ata attraverso “aumenti stipendiali a tre cifre impegnandosi a stanziare risorse per il triennio 2019-21 per recuperare la perdita del potere d’acquisto degli stipendi dell’intero comparto”, sottolineando che “entro il triennio di vigenza contrattuale saranno reperite ulteriori risorse destinate al personale della scuola per allineare gradualmente gli stipendi alla media di quelli degli altri Paesi europei”.
È partendo da questi presupposti che da alcune settimane si stanno svolgendo all’Aran degli incontri tra parte pubblica e sindacale per sottoscrive il CCNQ su aree, comparti e rappresentanza. Un passaggio obbligatorio, da espletare, per giungere alle nuove quote di rappresentatività, che nella scuola dipendono dagli assetti derivanti dal rinnovo delle Rsu dell'aprile 2018 e dal resoconto annuale sulle iscrizioni sindacali realizzato a fine anno.
A 14 mesi da quel voto, sei mesi dopo la certificazione del risultato ottenuto (6.16%) e riconosciuto dall'Aran stesso in via provvisoria, che gli consentirebbe per legge di avere le prerogative sindacali nel comparto scuola, l’Anief continua a non poter indire assemblee, a non essere convocata dal Miur e a non poter usufruire delle ore di permesso e di distacchi sindacali, che tra l’altro bisognerà chiedere entro fine giugno. Tutto quello che, invece, continua paradossalmente ad essere assegnato ad una parte sindacale che ha perso consenso nell'ultima tornata elettorale.
“Abbiamo messo a conoscenza di quanto sta avvenendo la Presidenza del Consiglio, il Presidente della Repubblica, il ministro della Funzione Pubblica e del Lavoro. E qualora domani non arrivi la sottoscrizione del contratto sulla rappresentanza, siamo pronti a portare tutti in tribunale. Non è possibile che la Costituzione continui ad essere aggirata come se vivessimo in un Paese d’altri tempi”, conclude Marcello Pacifico.
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