Negli ultimi quattro anni si sono spostati lungo la penisola 342.374 insegnanti; di questi, 57.580 sono andati in un’altra regione. Vale a dire il 16,8% per cento. Se si eccettua il 2016/17, quando il deflusso è stato maxi per effetto della mobilità obbligatoria prevista per tutti gli assunti della Buona Scuola, ogni volta ha cambiato scuola il 10% del corpo docente. A scriverlo è oggi Il Sole 24 Ore, che ha realizzato anche un approfondimento sull’ultimo biennio: qualche giorno fa, il Miur, con effetto 1° settembre 2019, ha accolto 63.997 domande di docenti sulle 115.534 complessive presentate, pari al 55%; l’anno prima le richieste accolte erano state 58mila su 129mila (il 45%). Inoltre, è un dato oggettivo, riportato anche dall’Invalsi, che i trasferimenti non comportano alcun “impatto negativo sugli apprendimenti degli studenti”.
Marcello Pacifico (Anief): Quindi, considerando che gli spostamenti riguardano appena il 10% del totale degli insegnanti, significa che il 90% dei docenti non si muove, e che il 98% dei docenti non cambia regione. Viene da sé che il tanto decantato spostamento di docenti che andrebbe ad inficiare la continuità didattica non ha alcun fondamento. Ma questo significa anche che non vi è alcun elemento oggettivo per introdurre né i vincoli di permanenza obbligatoria, già approvati dal Governo in carica, né le selezioni locali, con tanto di domicilio professionale obbligatorio per accedere ai nuovi concorsi a cattedra. Il progetto di legge leghista non solo, quindi, poggia su una base discriminante, con buone possibilità di sconfinare nell’incostituzionalità, ma è anche totalmente immotivato. È bene che questi risultati vengano quindi diffusi, anche arrivando sui banchi parlamentari dove si deciderà di approvare il disegno di legge sul nuovo reclutamento, che poi non è altro che ‘costola’ di quello generale sulla regionalizzazione sul quale proprio oggi è stato svolto l’ennesimo confronto in seno al Governo e che ora può contare anche sull’avallo del ministro dell’Istruzione.
Secondo Anief, i dati pubblicati oggi dal primo quotidiano economico nazionale possono essere interpretati in molti modi, ma quello che fa scalpore è senza dubbio quel 16,8% di trasferimenti realizzati fuori regione. “Significa – commenta il suo presidente nazionale, Marcello Pacifico - che solo un docente su sei di quelli che fanno domanda di trasferimento cambia sede di servizio spostandosi di centinaia di chilometri. Se a questo aggiungiamo che il 90% dei docenti non si muove, si scopre che è un falso mito quello che vorrebbe lo spostamento, ogni anno, di tantissimi insegnanti da Nord verso Sud”.
Tra l’altro, sempre Il Sole 24 Ore ha fatto notare che gli spostamenti non comportano alcun “impatto negativo sugli apprendimenti degli studenti”. Secondo Annamaria Ajello, presidente dell’Invalsi, “basta guardare i risultati degli scorsi anni per confermare la tendenza: gli studenti delle regioni del Nord ottengono, mediamente, punteggi più elevati in italiano e matematica, nonostante l’andirivieni citato prima di docenti soprattutto del Sud. «La loro presenza temporanea - commenta Ajello - non determina alcun effetto negativo nel rendimento degli studenti, tanto che gli studenti settentrionali continuano a registrare i migliori risultati alle prove Invalsi. Ciò vuol dire che “il contesto”, complessivamente inteso, esercita un’influenza positiva tanto da far sì che il docente meridionale contribuisca efficacemente ai buoni risultati di quegli studenti. Per il Mezzogiorno il discorso si ribalta”. Perché, “l’impegno dei docenti, per quanto intenso, non riesce a compensare l’influenza negativa delle variabili non didattiche”. A proposito di contesto e di politiche nazionali dell’istruzione in tempo di autonomia.
“È la conferma di quello che Anief sostiene da sempre – commenta ancora il presidente del sindacato autonomo – ovvero che bisogna il prima possibile differenziare gli organici del personale docente, ma anche del personale Ata a supporto, in base ai problemi del territorio piuttosto che agevolare l'autonomia differenziata di alcune regioni, investire in risorse umane e finanziarie nel settore dell'istruzione, università e ricerca con una maggiore copertura delle borse di studio e delle aree più depresse, ad iniziare dal Meridione e dalle Isole, assumendo subito da GaE, da seconda fascia d’Istituto e dalle graduatorie di merito dove vi sono ancora tantissimi idonei al palo. Altro che concorsi regionali”, conclude Pacifico.
PER APPROFONDIMENTI:
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